Giochi e artifici illuminotecnici:
così lo Sferisterio perde l’identità

IL COMMENTO di Silvano Iommi in vista dell'inaugurazione della nuova Light design strategy di uno dei simboli di Macerata: «Assistiamo a un processo di regressione culturale finalizzato all'accecamento cognitivo e visivo della capacità di leggere e riconoscere un'architettura anche di notte»

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Lo Sferisterio illuminato nella foto di Fabio Falcioni

 

Lunedì alle 21,30 saranno ufficialmente inaugurate le nuove luci dello Sferisterio di Macerata firmate dall’Accademia di Belle Arti. Cronache Maceratesi ha mostrato qualche “anteprima”, dato che i tecnici lavorano anche di notte per testare l’effetto della nuova illuminazione di uno dei monumenti più rappresentativi della città. Ma non a tutti sono piaciute. L’ultima foto “in notturna” è quella di uno Sferisterio completamente rosso. In attesa di conoscere la versione definitiva, ecco l’intervento dell’architetto Silvano Iommi che, come molti altri, nutre delle perplessità sul progetto.

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Una delle “varianti” della nuova illuminazione dello Sferisterio di Macerata (foto Benfatto)

 

di Silvano Iommi

Appare straordinario che alla vigilia del bicentenario della posa della 1° pietra dello Sferisterio non si concentri la riflettere sul modo di fruirlo, valorizzarlo e conservarlo ma, invece, si investono considerevoli risorse sul modo di trasfigurarlo virtualmente attraverso giochi e artifizi illuminotecnci. Allo stesso modo è sorprendente osservare che due secoli dopo, sia ancora una Accademia di Belle Arti (deprivata della sezione architettura dalle riforme novecentesche), ad occuparsi attraverso il progetto “Light design Strategy” della illuminazione esterna dello Sferisterio. Una coincidenza infatti che induce a ricordare che tra il 1820 e il 1822, ben tre Accademie di Belle Arti furono coinvolte nella selezione del progetto architettonico migliore per l’erezione del “Circo” o “Anfiteatro” maceratese.

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Il rendering delle nuove luci dello Sferisterio

Ma andando con ordine nel sintetizzare questa complessa ma istruttiva vicenda progettuale, culturale e sociale, merita ricordare alcuni significativi passaggi sui quali dovrebbero riflettere e imparare le attuali classi dirigenti della città, almeno quando approcciamo le tematiche progettuali per opere pubbliche significative sul piano dell’immagine urbana. Era il 1819, tre anni dopo le prime schioppettate risorgimentali e in piena crisi economica che avevano prostrato la città, quando un gruppo di cittadini appartenenti alla nascente e colta borghesia, prende l’iniziativa di mobilitare le energie intellettuali, morali e materiali, necessarie alla realizzazione di una “macro-struttura polifunzionale” (ludico, sportiva, ricreativa e commerciale), destinata a diventare famosa nel tempo con il nome di Sferisterio. Il primo obbiettivo posto dal gruppo dirigente della neonata Società privata che si obbligò a realizzare un’opera ad alta valenza urbanistica e architettonica, fu quello di bandire un concorso di idee aperto a tutti gli architetti allora operanti nella zona; lo scopo dichiarato era quello di avere un’opera che “i contemporanei non potessero deridere e i posteri non dovessero criticare”. L’elevato senso civico e culturale dei Delegati e Rappresentanti della “Società dei caratanti”, così si chiamava a quel tempo, spinse quel gruppo di dirigenti eletti (tra i primi furono: Pantaleone Pantaleoni, Candido Paoletti, Leopoldo Armaroli, Pacifico Guarnieri, Nicola Ranaldi, Francesco Conventati, Domenico Pianesi, più altri), a decidere di inviare tutti i progetti presentati dagli architetti partecipanti (Innocenzi, Spada, Augustoni e Casella), prima all’Accademia di Belle Arti di Brera a Milano, che fornì generosamente suggerimenti e consigli ma non poté esprimere un giudizio formale definitivo perché il Ducato di Milano non era competente territorialmente su opere riguardanti Stati stranieri com’era quello Pontificio.

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Prove di light design strategy anche sulla ferrea torrre littoria a piazza Mazzini del 1936

Si passò allora all’altrettanto lodata Pontificia Accademia Clementina di Bologna dove, però, si temevano gli effetti indesiderati di quelli che, nel rapporto dell’avv. Paoletti alla “Congregazione generale dei Soci” dell’aprile 1821, venivano definiti “i nascosti veleni”, cioè le pressioni esterne tese a favorire l’uno o l’alto candidato. Tuttavia, la Clementina fu anch’essa prodiga di suggerimenti e rettifiche migliorative dei due progetti rimasti in gara (Innocenzi e Spada), ma alla fine non fornì alcuna preferenza esplicita tra i due. Fu così che tra mille precauzioni e diffidenze, nel luglio del 1821 si decise di inviare tutto il carteggio progettuale accumulato all’Accademia di San Luca a Roma (città già allora considerata un porto delle nebbie). Nonostante altri buoni consigli e suggerimenti gli accademici romani riuscirono, in sostanza, a “gettare la palla in alto” tanto da indurre la Società del Circo a decidere (con un certo intervento del Card. Spinola), di affidare direttamente l’incarico professionale ad un giovane sanseverinate di influentissima famiglia il quale, diplomatosi a Roma nel 1820, non aveva nemmeno partecipato al suddetto concorso di progettazione. Fermarci a questo punto della ricostruzione storica dell’intricata vicenda, è qui sufficiente sottolineare l’enorme sforzo compiuto da quella nascente e illuminata classe dirigente, nella difficile ricerca della qualità progettuale nell’interesse dello sviluppo, del decoro e del prestigio della città, considerata come loro “Patria”.

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Stemma cittadino con scolpita la stretta di mano solidale sulla sommità del frontone dello Sferisterio

Dunque, oggi, dopo due secoli di questa storia così particolare, la presentazione del progetto di “Light design Strategy” proposto per la città (già realizzato al Monumento dei Caduti e in corso d’opera allo Sferisterio), appare come una regressione culturale che acceca la capacità di leggere e riconoscere anche di notte un capolavoro del purismo architettonico neoclassico. Quello che abbiamo visto sino ad ora e che, come ci si dice, vedremo anche in futuro in tante zone della città, è una esaltazione sensoriale attraverso visioni virtuali che cancella l’identità dei manufatti architettonici e dei contesti fortemente storicizzati. L’uso della luce radente dal basso, esattamente contraria rispetto alla luce naturale del sole o della luna che sempre, per l’occhio umano, proviene da sopra la linea dell’orizzonte visivo e prospettico , ha una sua ragione solo in contesti scenografico-teatrali, cinematografici, di esaltazione ludico-commerciale con artifizi illuminotecnici fissi, oppure per i cosiddetti “spazi spazzatura” (es. aereoporti ecc..). Trasfigurare i connotati e i caratteri originari dei “luoghi” storico-identitari equivale a trasformarli in anonimi “non luoghi” in cui lo spazio è considerato una pura espansione geometrica priva di “genius loci”. E’ certamente vero che la maggior parte delle città e dei monumenti architettonici italiani hanno una illuminazione sbagliata, ma questo significa solo che l’illuminazione (come l’arredo urbano di cui è parte integrante), deve essere progettata sapientemente non per ricercare effetti stravaganti o di particolare eccitazione sensoriale, ma in modo da restituire una immagine quanto più vicina possibile a quella reale. Questo tema è stato sempre presente anche nel dibattito cittadino ma, data anche la sua complessità, i nostri avi maceratesi, senza alcuna arroganza o azzardi sperimentali di natura didattica, si sono limitati a creare con le luci, ma anche con i giuochi d’acqua e “fuochetti”, effetti scenografici effimeri, temporanei, per celebrare eventi senza danneggiare i monumenti e deprimere il loro significato.

(Le foto d’epoca provengono dal fondo Balelli della Biblioteca Comunale Mozzi Borgetti)

Nuove luci per lo Sferisterio, lunedì l’inaugurazione

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Corso della Repubblica, anni ’40

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1946, corso Cavour e chiesa dell’Immacolata

 

 

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San Giovanni illuminata

 

 

 

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Notturno piazza Strambi

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Lanterna sulla torre littoria in piazza Mazzini

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1933

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Convitto anni ’50

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Corso illuminato nel 1921 per il centenario della Misericordia

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Fontana a cascata luminosa in piazza della Libertà

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Ex palazzo Pianesi, 1950 (collezione privata)

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El Grito in piazza San Giovanni

 

 

 

 

 

 

Nuove luci per lo Sferisterio, lunedì l’inaugurazione

Sferisterio, si accendono le luci



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