Bernabucci alla madre di Pamela:
«Diamoci la mano»
Lei rifiuta di stringergliela

MACERATA - Il presidente del Gus ha tenuto un intervento durante il Consiglio comunale aperto sull'immigrazione. Al termine ha tentato un gesto di riconciliazione. Daniel Amanze dell'Acsim: «Non riusciamo a capire che i migranti sono esseri umani come noi»

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Il gesto di Bernabucci di stringere la mano ad Alessandra Verni

 

di Federica Nardi

(Foto di Fabio Falcioni)

Nella mano di Alessandra Verni, madre di Pamela Mastropietro, che si ritrae quando il presidente del Gus Paolo Bernabucci fa la mossa per stringergliela c’è tutta la frattura sociale che oggi il Consiglio comunale aperto di Macerata sta cercando di riconciliare, dando voce ad associazioni, cittadini e politica sul tema dell’immigrazione. Una scena che ha concluso l’intervento di Bernabucci, che ha anche letto di fronte alla vasta platea dell’aula sinoidale della Domus San Giuliano una lettera di un artigiano maceratese (senza citarne il nome) che racconta di un’esperienza particolarmente positiva di formazione con alcuni ragazzi ospiti dell’associazione. «Sono stato in dubbio se fare o meno l’intervento – ha detto Bernabucci -, ma ha prevalso il senso di responsabilità e il rispetto verso le istituzioni. Contestiamo il sillogismo tra immigrazione e criminalità. Questa percezione popolare è al di là di analisi, studi e ricerche. Ribadiamo la disponibilità al confronto con il tessuto sociale perché si possa lavorare insieme per migliorare gli interventi che vengono fatti e agire sui disagi più evidenti sia della comunità che accoglie sia di chi viene accolto.

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Paolo Bernabucci

Il problema grande è di chi si ritrova senza più progetto, senza aver concluso un qualche percorso di integrazione. Per questi motivi abbiamo reso operativa una struttura per chi non aveva più alloggi, che conta circa 12 posti. Il Gus – spiega Bernabucci -, si sta facendo carico della sua gestione. È un percorso da rafforzare anche con il coinvolgimento del Comune che potrebbe usare risorse direttamente assegnate dal ministero dell’Interno. Dagli anni ‘90 siamo diventati un importante punto di riferimento per la qualità del nostro servizio. Abbiamo sempre operato in accordo e con il mandato delle istituzioni centrali e locali. Non abbiamo mai accolto “clandestini”, né ospitato persone che non dovevamo. I fondi sono subordinati a budget, rendiconti e progetti». Per concludere si è rivolto alla madre di Pamela: «Vorrei abbracciarla, perché lei è la persona che ha più diritto di essere arrabbiata».

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Daniel Amanze

Ma il tentativo di riconciliazione non è stato ricambiato. Prima di Bernabucci hanno preso la parola anche Anna Mambretti di Refugees welcome Marche, che ha raccontato del progetto che coinvolge alcune famiglie che ospitano i profughi, «per uscire dall’idea assistenzialista dell’accoglienza e promuovere un patto di convivenza». E poi Daniel Amanze dell’Acsim, l’intervento sicuramente più polemico dei tre. «Non riusciamo a capire che i migranti sono esseri umani come noi. Quando si parla di esplosione dei costi la gente non capisce quante risorse umane bisogna impiegare in questo tipo di accoglienza – ha detto Amanze -, nell’accoglienza diffusa inoltre beneficiano anche i territori, perché tutti i soldi dati dal governo vengono rispesi qui. Ma purtroppo oggi c’è la memoria corta, voglio vedere chi tra di voi critica se c’è n’è uno che ha creato un posto di lavoro per gli altri. Negli anni ’90 i cittadini stessi chiedevano ai nostri ospiti di fare quei lavori che gli italiani non facevano».

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