di Mario Monachesi
Dall’inconfondibile colore rosso, rosso vermiglio, rosato o nero e dalla forma rotondeggiante e a cuore, la ciliegia è il frutto regina della primavera. Alcune qualità arrivano anche fino a luglio. Il suo albero è originario dell’Asia Minore, la sua presenza in Italia risale al II secolo a.C. La leggenda vuole che sia stato Lucio Licinio Lucullo a portarla dalla Cappadocia, più tardi Plinio il Vecchio ne descrisse dieci varietà nella sua “Naturalis Historia”. Il nome deriva dal greco Kerasos, a sua volta legato alla città turca di Cherasonte. Di questa pianta ne esistono due specie, il “Prunus Avium” che produce la ciliegia normale, quella che siamo abituati a mangiare come frutta (Duroni o alla maceratese “Colognà”, più grandi) e il “Prunus Cerasus” (Amarene, visciole o marasche, piu piccole, le tenerine, per vini o sciroppi). “Bono lo vi’ de visciole”.
Per la chiesa cattolica la ciliegia ha anche il suo santo protettore: San Gerardo dei Tintori ( nato fra il 1134 e il 1140 e morto nel 1207) e la ricorrenza viene festeggiata ogni 6 di giugno.
Se l’annata è stata piovosa, quindi umida, la “cerèscia” può presentare al suo interno l’ospite, cioè “lu vèrmene”. Qualcuno scherzando diceva: “Pastu unicu, carne e frutta”, qualche altro il venerdi ammoniva: “Ogghj non se pò magna” (per via della “carne”). A proposito di questo “inquilino”, Marilyn Monroe nel film “A qualcuno piace caldo” diceva: “È la storia della vita: se c’è una ciliegia col verme tocca sempre a me”.
Alcuni proverbi recitano: “Chj magna le cerèsce e bée lo vi’, va presto a ttroà’ lu vicchì” (becchino); “Do’ sta le cerèsce mature, no’ manca li passiri”; “Magghju porta l’assagghju (assaggio), jugnu (giugno) cerèsce in pugnu”; “Li vasci (baci) adè come le cerèsce, unu tira l’atru”. Il proverbio “Le cerèsce rubbate adè le più dorgi” spiega alla perfezione cosa avveniva un tempo nelle nostre campagne. Soprattutto tra i ragazzi era usanza e divertimento andarle a rubare. Di sera o durante le ore del giorno in cui i contadini o riposavano o erano impegnati in lavori su altri campi, essi assalivano allegramente le piante e facevano scorpacciate di questo dolce, gustoso e anche…sensuale frutto. Tutto bene fino a che “lu condadì pijiatu de mira” non se ne accorgeva, via a precipitose fughe di salvezza. Se qualcuno veniva beccato, erano randellate piu o meno forti. E magari anche minacce: “Quanno veco a babbitu je lo dico e de bbòtte te ne faccio rdà l’atre!” Cantava qualche anno fa Mina: “E tu ridevi e rubavi ciliegie / le nostre labbra accese / una cosa sola si era noi…” (da “Giorni”).
Essendo “le cerèsce” leggermente lassative, dopo queste abbondanti mangiate, “li mal de trippa se sprecava”. La ciliegia ha molte proprietà, è considerata un buon rimineralizzante per i contenuti di calcio e potassio, contiene vitamina A e C e annovera un basso indice glicemico. “Le vardasce usavano “mettesele a coppia su le ‘recchje” a mo di orecchini, “li vardasci”, invece, facevano a gara “a chj sputava l’ossu (nocciolo) piu lontano”. Un record narra di circa 30 metri. Quando in casa il pasto finiva con le ciliegie, per le ragazze da marito usanza era di contare i noccioli rimasti recitando: “‘St’anno, l’annu prossimu, un gnornu, mai”. Temutissimi, per ovvie ragioni, erano i multipli di 4.Famoso era negli anni passati un gioco tra padre e figlioletto sulle ginocchia. Padre: “Cerescià me dai ‘na cerèscia?” Figlioletto: “No”. Padre: “No? Guarda che te sego la pianda”. Figlioletto: “Sega, sega, sega…” Il babbo dalle ginocchia faceva cadere (senza alcun pericolo) il bimbetto giù.
Tra gli altri, Pablo Neruda l’ha cantata in poesia: “Vorrei fare con te quello che la primavera fa con i ciliegi”;
Il regista Abbas Kiarostami ha girato nel 1997: “Il gusto della ciliegia”, Palma d’oro al 50° festival di Cannes;
La scrittrice Jeanette Winterson ha pubblicato nel 1989 il romanzo “Il sesso delle ciliegie”;
Lucio Battisti ha inciso: “La collina dei ciliegi”.
Per finire, una chicca su come si sviluppano questi articoli. All’anziano di turno sotto intervista, dopo mille domande, ho chiesto: “Che si può dire ancora sulle ciliegie?” Evidentemente esausto mi ha risposto: “Un caulu, le cuji e magni!”
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