di Giancarlo Liuti
Il clima quasi invernale dei giorni di adesso non favorisce gli slanci di solidarietà fra le persone, ma quanto è capitato al settantenne Pietro Cannistrà di Porto Recanati (leggi l’articolo) ha superato ogni limite e lascia intravvedere un clima sociale incline a forme di ottuso egoismo individuale, familiare, di censo e di categoria che non solo hanno ben poco da spartire con la solidarietà ma ne sono l’esatto e spesso drammatico contrario. In Italia, in Europa e nell’intero mondo occidentale, del resto, si va affermando una “modernità” nella quale può capitare di vivere a pochi passi gli uni dagli altri senza nemmeno conoscersi o, peggio, con gli uni che considerano gli altri come degli avversari. Può darsi, intendiamoci, che non sia sempre così. Tuttavia le eccezioni non sono frequenti e la parola “solidarietà” sta pian piano uscendo dal vocabolario.
Ma basta con l’opinabilità delle opinioni e veniamo alla vicenda accaduta poco tempo fa a Porto Recanati, dove esiste un edificio di otto piani – l’Hotel House – in cui vivono decine di famiglie multietniche e la tanto auspicata integrazione è un problema di non facile soluzione anche in tema di sicurezza. Ebbene, in qualche stanza dell’ultimo piano tirava a campare, da solo, il suddetto Pietro Cannistrà, un uomo di origini siciliane piuttosto avanti con gli anni e di malferma salute. Così, nel tardo pomeriggio di domenica 5 novembre, lui uscì di casa, andò a sedersi in una panchina dell’antistante piazzale per fare due chiacchiere con qualcuno e infine, al sopraggiungere della sera, decise di tornarsene a casa ma senza potersi servire dell’ascensore che lì purtroppo funziona un giorno sì e tre no (nell’ottobre di due anni fa l’operaio senegalese Lamine Cissé tentò di ripararlo ma insieme all’equilibrio perse pure la vita cadendo dall’altezza dell’ultimo piano, dove non esiste ringhiera e si sta a contatto col vuoto).
Ma torniamo a questo 5 novembre, quando Pietro Cannistrà, preso atto del blocco dell’ascensore, si rimise a sedere sulla panchina in attesa che arrivasse qualcuno in grado di aiutarlo. Qualche essere umano, forse, passò, ma immagino in fretta, senza occuparsi di lui e limitandosi a dirgli ciao. Poi, fattasi notte, nessun altro si vide. E Cannistrà, sentendosi venir meno, si sdraiò sulla panchina e si mise in braccio al destino. Pessimo destino, purtroppo. La sua cattiva salute, aggravata dagli acciacchi dell’età, non resistette al freddo della notte. E la mattina fu trovato più di là che di qua, in un letto di pietra gelido come la pietra di quella panchina. Soccorso e portato in ospedale vi esalò, dopo un’ora, l’ultimo respiro.
Della sua scomparsa si può dare la colpa a qualcuno? Direi di no, nel senso proprio di colpa. Semmai quel menefreghismo che proviene dall’occuparsi ognuno dei fatti propri. Ma è una colpa? Forse lo è stata in un lontano passato, quando nelle nostre campagne era ancora viva la generosa cultura contadina e nei nostri centri urbani la cultura dei mestieri e delle professioni agevolava il cameratismo fra gli artigiani, gli avvocati , gli insegnanti , i commercianti , gli addetti ai servizi pubblici. Ma oggigiorno, col primato assoluto del denaro, la situazione è cambiata e favorisce nelle varie attività la “concorrenza” fra gli individui, con ciascuno che oltre a uno stipendio o a una pensione va in cerca di occasioni magari modeste per ulteriori guadagni, ad esempio facendo rammendare dalla moglie, dietro compenso, lo sdrucito cappotto di un conoscente. E quanto spazio allora rimane al reciproco altruismo? Pochissimo. Tiriamo dunque le somme: il povero Pietro Cannistrà l’ha ucciso la mancanza di solidarietà.
L’ascensore non funziona, da mesi non riusciva a rincasare: muore su una panchina
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Grazie, Giancarlo Liuti, di avermi rovinato la serata (me la rovino spesso) con questa notizia. Noi abbiamo una certa età. Ai nostri tempi la società era unità. Ci si interessava di ciò che accadeva intorno a noi, a proposito e a sproposito. Ma eravamo vivi. Non capitava di morire e di essere scoperti dopo giorni. I centri storici erano vivi. Si sapeva tutto di tutti. E si interveniva. Oggi, neanche nei condomini ci si conosce. Molti anni fa mi raccontava un maceratese che sfondò con l’accetta la porta di una donna. Un baccano tremendo. La cosa che lo soprese è che nessuno tirò fuori la testa per vedere cosa accadeva…
Il problema dell’Hotel House è una animale in decomposizione. Difficile da risolvere. Non lo risolverà questa casta politica cialtrona. Non vedo nulla di nuovo. Siamo veramente soli.
Mi pare che i piani siano 17.
8 o 17..zero problem..solidarierta’ 0
Verissimo quanto scritto da Liuti… Sempre più spesso ci giriamo dall’altra parte, “fregandocene” del problema.
Ma a parer mio, la solidarietà è figlia del nostro carattere e della nostra coscienza, più che dell’attuale situazione sociale. Forse oggi si avverte maggiormente, vuoi per i sistemi d’informazione così presenti e capillari, vuoi per il divario sociale economico che si sta creando, ma maggiormente, davanti al problema, si preferisce fare “spallucce” come per dire “ci penserà qualcun altro” …. ci devo pensare proprio io????
Ecco io avverto questo disagio sociale che stride fortemente nei confronti delle tante iniziative e campagne sociali, mosse contro l’indifferenza delle istituzioni e della classe medio borghese.
Nell’era dei computer e della web technology, non si ha più tempo per guardare chi ci muore accanto, perché il nostro sguardo e il nostro interesse, è rapito dalle immagini sfavillanti e dalle oscenità che ci vengono propinate in ogni momento della giornata, da questi strumenti infernali, capaci solo di offuscarci le idee e le coscienze.
L’Hotel House è un edificio residenziale situato a Porto Recanati. Strutturato in 17 piani e 480 appartamenti, con una pianta a croce, al suo interno vive un sesto della popolazione del comune.
Il palazzo ospita circa 2.000 persone che raddoppiano nel periodo estivo e ha una forte connotazione multietnica: il 90% degli abitanti è infatti di origine straniera, rappresentando 40 nazionalità diverse. Anche a causa di questa concentrazione, il 21,9% della popolazione di Porto Recanati è straniera, percentuale massima nelle Marche e tra le maggiori in Italia. La solenne inaugurazione dei lavori avvenne il 22 luglio 1967, alla presenza del ministro della marina mercantile Lorenzo Natali, dei parlamentari Umberto Delle Fave, Arnaldo Forlani, Fernando Tambroni, Albertino Castellucci, Nicola Rinaldi e dell’arcivescovo di Ancona-Numana Felicissimo Tinivella.
Parlando in linea del tutto generale, la società si riempie di estranei perché questi ‘estranei’ vivono in condominio ma non pagano le relative spese, preferendo inviare i soldi nel loro Paese d’origine. Quindi si auto-estraniano, per così dire.
Il resto è pietismo, ipocrisia, etc., etc.
Ma perché non parliamo più di Enrico Mattei e Maria Montessori e dei tanti altri uomini e donne marchigiani che si sono distinti nel mondo dando fama all’Italia?