di Mario Monachesi
Con il termine fagiolo (dal latino phaseolus) si indica un genere di pianta della famiglia delle papilionacee, con circa 150 specie per gran parte provenienti dall’America centro-meridionale. Queste piante, sia rampicanti che nane, hanno foglie tondeggianti terminanti a punta e fiori bianchi o rosati, che danno vita a baccelli contenenti ciascuno numerosi semi. I baccelli (teghe) si distinguono in due raggruppamenti: quelli in cui si mangia il seme (fagioli veri e propri) e quelli in cui si mangia tutto (fagiolini). In Europa il fagiolo viene introdotto da spagnoli e portoghesi nel XVI secolo.
La specie più comune è il “borlotto”, perfetto per minestre e passati, caratterizzato da un sapore intenso rispetto agli altri; il “bianco di Spagna” è più delicato, adatto in umido e per insalate; il “cannellino”, piuttosto pregiato, è utilizzato per essere seccato o conservato in scatola. Nelle nostre campagne maceratesi un tempo venivano coltivati “li fascióli dell’acqua” (così detti perché avevano bisogno di molta acqua), “li fascióli dell’occhju” (sulla buccia avevano disegnato una specie di occhio), “li fascióli a dente de cavallu” e “lu fasciólu viangu, niru, marrone e strinatu” che venivano seminati in mezzo al granoturco, “li fascióli de la Regina Alto o de la Regina Basso” e l’impero bianco. Altre qualità erano e, in alcuni casi ancora sono, il fagiolo di Laverino, nell’area di Fiuminata, quello del cenerino del lago di Colfiorito o il fagiolo del Monachello che pare fosse presente sin dalla metà del ‘900 nella zona dei Sibillini.
“Li fascióli” sono assai nutrienti e, come tutti i legumi, sono ricchi di proteine (che li rendono un ottimo sostitutivo della carne) e di vitamine A e C; contengono inoltre ferro, calcio, fosforo e potassio. Un etto di fagioli secchi dà 24 grammi di proteine e solo 2,5 grammi di grassi; nel fagiolo c’è la lecitina, un fosfolipide che favorisce la riduzione del colesterolo. Per questo essi sono sempre stati i protagonisti della dieta (povera) della tradizione contadina marchigiana. In cucina “li fascióli frischi” vanno sgranati poco prima della cottura, “quilli sicchi” vanno invece tenuti a bagno in acqua tiepida per almeno 12 ore (si consiglia l’uso del bicarbonato di sodio). La cottura, sia per lessarli che per cucinarli in umido, va dai 40 minuti dei borlotti a un’ora e mezzo per i fagioli di Spagna, mentre quelli secchi hanno bisogno di cuocere dalle 2 alle 3 ore.
Tra le ricette più famose ricordiamo “li fascióli co’ le coteche”, “li fascióli co’ l’ossu de lu prisuttu”, la zuppa semplice di fagioli, la zuppa di pane e fagioli, “la minestra co’ li fascióli”, il risotto di campagna con fagioli, i fagioli con la panna, quelli gratinati, al sugo di pomodoro, ecc ecc. La ricetta “de li fascióli co’ le coteche”, ingredienti: fagioli bianchi secchi, cotenna di maiale, olio, prosciutto o pancetta, passata di pomodoro, cipolla, aglio, prezzemolo, sale, pepe. Preparazione: tenere i fagioli in ammollo per 12 ore, poi lessarli per 2 ore in acqua bollente, a parte cuocere le cotiche tagliate a pezzetti con prosciutto, pomodoro, olio, ecc. Alla fine unire il tutto e far cuocere a fuoco lento per un’altra buona ora.
Da oramai 36 anni questo legume viene omaggiato a Villa Potenza con una famosa sagra. Per chiudere qualche modo di dire sui fagioli:
“Li farzi adè come li fascióli: parla de rèto”;
“Caschi proprio a fasciólu”;
“Che ridi fascioló”.
Grazie a chi ha già letto e grazie a chi, rientrato a casa dopo una domenica trascorsa all'aperto, leggerà. Buona serata a tutti
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