di Liana Maccari*
Tra i ricordi di Maurizio Verdenelli il più antico è anche il più attuale: l’amicizia con Ubaldo Lay, che, alla fine della guerra, era disoccupato in cerca di lavoro, e non ancora il famoso tenente Sheridan, divo della televisione. Maurizio Verdenelli ha festeggiato i 50 anni di giornalismo, al Casale dell’Acquabona a Montefano, con amici di vecchia e nuova data. Sono stata ospite della festa, dopo che lui ha presentato il 26 agosto scorso il mio romanzo “Corri a scuola, durante il terrorismo”, a Urbisaglia, un evento nel campo della letteratura di attualità. Una poesia, che ho avuto il piacere di leggere, di Maria Laura Pierucci, in dialetto sanseverinate: “U terremotu”, ci ha ricordato l’evento da un anno protagonista dei giornali.
Cena e giornalismo si intrecciano, a partire dal menù, che ricorda le tappe della passione e della carriera di Verdenelli, iniziata a Perugia con la Nazione nel 1967 da ancora studente del liceo Classico, poi le incursioni toscane per il giornale fiorentino di Enrico Mattei (omonimo del fondatore dell’Eni), con il Messaggero arriva la trasferta a Roma e la corrispondenza per l’Umbria del Corriere della Sera, poi l’Abruzzo a capo della redazione di Chieti e infine le Marche come inviato speciale per i grandi venti del Centro Italia del Messaggero. E dunque strangozzi al tartufo, la piccante ventricina abruzzese, il pollo coi peperoni alla romana, i vincisgrassi alla maceratese, la panzanella toscana e molte altre specialità. Sorprendente il cuoco, il giornalista Gabriele Censi, eclettico in cucina, dove ha aggiunto alle ricette tradizionali variazioni con mille erbe e un’ottima salsa di tarassaco. Nel dopocena ha ripreso la sua veste professionale, insieme al festeggiato e al collega Marco Ribechi, e trasformato l’agriturismo in uno studio televisivo, per le interviste ai sindaci presenti, Mario Baroni di Muccia, Pietro Cecoli di Monte Cavallo e Venanzo Ronchetti, ex sindaco di Serravalle, e agli scalatori del team Aconcagua, decisi a salire sulla vetta più alta dell’America, per raccogliere fondi da destinare al comune terremotato di Monte Cavallo (leggi).
Difficile orientarsi nella corte dei miracoli di un personaggio, tra maestro e istrione, come Maurizio Verdenelli, che è come chiedersi cosa sia stato e cosa sia oggi il giornalismo. Tra colleghi, fotografi, politici, sportivi, amici e amiche di famiglia e quella mutevole categoria di persone che possono definirsi un evento. Con i due coraggiosi libri sul caso Mattei, di cui riprende la definizione di “santo petroliere”, ha affrontato da autore riflessivo l’oscuro territorio dei misteri d’Italia, ed è entrato nella categoria che, solo riduttivamente, si può chiamare “scrittori di gialli”. Grazie ad essa ho avuto come commensale l’avvocato Luciano Magnalbò, autore di due romanzi d’indagine, divertenti e molto snob. Insieme al poeta Maurizio Angeletti, rivelazione di Macerata Racconta, abbiamo conversato dell’anima e del futuro dei giornali. Mentre eravamo a cena, il professor Luciano Carletti, passotreiese, ha raggiunto le 250mila visualizzazioni, per il video web di musica popolare, in cui suona la fisarmonica in un ambiente idillico-pastorale, tra greggi e prati in fiore, la sua prossima performance un concerto sul terremoto sui versi della Pierucci. Un grande merito anche alle eccezionali capacità del fotografo Genesio Medori, autore di molte foto in cui ha immortalato ogni momento della serata. Circondato di ricordi, di amici, di articoli da scrivere, di donne anche, Maurizio Verdenelli, finalmente all’aperto, di fronte al ben restaurato rustico casolare, ha letto con un sorriso il magico augurio: “50 anni sempre sul pezzo. Auguri Maestro”.
*Liana Maccari, scrittrice treiese
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Giusto riconoscimento per un professionista puntuale e qualificato, che ha scandito tanti anni della nostra Storia del Maceratese.
I “Maestri” sono indispensabili agli altri perché non insegnano, ma formano!! Buona salute ‘vecchia’ … stella cometa di tante generazioni!
Auguri, Maurizio, per i tuoi prossimi 50 anni di giornalismo ad alti livelli.
«Ma dove trovi tanta energia?»
(la donna al tenente Sheridan in un Carosello degli anni ’70)
ora la morte può rubarci ben poco: solo la vita, non l’aver letto Maurizio Verdenelli…
Caro Maurizio, come sai non potevo essere alla tua cena. Ma sai anche che ero presente, nell’amicizia e nel tempo.Guido
Ringrazio Massimo Giorgi anche e soprattutto per il riferimento al tenente Ezechiele (Ezzy) Sheridan, creato da Mario Casacci e da Alberto Ciambricco. Con Alberto ho condiviso cinque anni indimenticabili della mia vita, tra Fabriano e Roma: amicizia, cultura, gialli, tv ed una biografia, la sua, che firmai. “Tutti i grandi attori di allora chiedevano di poter lavorare negli episodi del più famoso poliziotto del piccolo schermo con milioni di telespettatori: tra questi pure Alberto Lupo ma la sua malattia spense un sogno già programmato” mi rivelò una volta Ciambricco che da alto dirigente FS (era scrittore per hobby) aveva organizzato il viaggio in treno di papa Roncalli a Loreto ed Assisi. La mia amicizia con Alberto, un grande marchigiano che a Roma non smetteva di amare la sua Fabriano, procurò a Franco Zazzetta presidente della Compagnia ‘Calabresi’ ed appassionato giallista, l’ambita occasione di chiudere la rassegna ‘Perugini’ con un thriller inedito del ‘padre’ di Sheridan, al teatro Lauro Rossi. Ubaldo Bussa, alias Ubaldo Lay e cioè il tenente Sheridan nella realtà era stato sottotenente dell’esercito italiano alle dipendenze, guarda caso, del tenente Ciambricco. Che finita la guerra, lo aveva ‘promosso’ di …grado inserendolo da protagonista nel cast della fiction più popolare della Rai di quegli anni. La fama di Ezzy esplose in tutto il Paese: un nipote di Bussa si fece poliziotto per imitare lo zio. Divenne anch’egli notissimo per l’arresto del boss Bernardo Provenzano. Il suo nome? Nicola Cavalieri. Ho seguito Alberto in tante occasioni, ai Premi che continuava a vincere e lui seguiva me: aveva un tale vigore! Una sera gli telefonai a Roma: “Alberto vuoi intervenire telefonicamente ad una trasmissione tv a Perugia?”. Mi sorprese quando mi rispose che per la prima volta “proprio non poteva”. Aveva un tono di voce, al solito alto tuttavia come mutato. Due giorni dopo morì. Aveva 88 anni e nascondeva una lacrima ogni volta che mi ricordava che nella bara dell’amata moglie aveva deposto il rosario donatogli dal Papa Buono, fino ad allora conservato come il cimelio suo più prezioso tra migliaia di una vita straordinaria (sfuggendo alla morte undici volte!).
Ecco, caro Massimo Giorgi, ora al tramonto della mia esistenza, vorrei una morte come quella di Alberto: consapevole, la fronte alta, ‘da vivo’ come raccomandava sorridendo Ennio Flaiano.
Fa sempre piacere suscitare profluvi di ricordi ed alti sentimenti.
Veramente il tenente Sheridan si è concluso nel ’72 e Alberto Lupo si è ammalato nel ’77-
La perfetta osservazione di Franco Pavoni mi induce a rivelare un altro segreto della saga del tenente Sheridan, così come dal racconto personale di Alberto Ciambricco. Sheridan fu fatto morire per un ..accordo politico: il centro sinistra (non faccio nomi di partiti, ma uno in particolare lo avrebbe preteso) ottenne più spazio in Tv nei programmi di maggiore ascolto e popolarità. Che allora, come adesso, sono le fiction. Il tenente Sheridan era ….ascritto da tempo in area centro/centrodestra: lo stesso Ciambricco era dichiaratamente liberale (cfr PLI) per preferenze, frequentazioni, rapporti professionali. Così lo spazio del poliziotto fino ad allora più celebre d’Italia fu occupato da altri: la Tv era pubblica e i partiti cominciavano a spartirsela. Tuttavia non avevano fatto i conti con l’opinione pubblica, tutta favorevole al tenente fatto morire ‘politicamente’ (nella finzione scenica al termine di un episodio: perduto per sempre in una cascata? Così mi pare mi disse Alberto: lei, Pavoni, è d’accordo?). Qualche anno dopo, dunque, alcuni sondaggi mostrarono la volontà dell’opinione pubblica di riesumare Sheridan e la Rai pensò di farlo contattando l’attore più popolare del momento: Alberto Lupo. Che, dopo averci a lungo pensato, disse di sì…
PS: Per Ubaldo Lay quel salto nella cascata aveva rappresentato una seconda morte artistica. La prima, quando un problema alla gola gli aveva stroncato la carriera di ‘grande voce’ (l’aveva melodiosissima) della prima Radio Libera italiana, nella Bari liberata. Stava dunque pensando di lasciare definitivamente, il s.tenente Bussa, quando ad una cena di artisti a Roma incontrò un suo ‘vecchio’ compagno d’armi, il ten. Alberto Ciambricco, geniale marchigiano dai capelli rossi….
Anche Sheridan fu dunque vittima del comunismo? Vogliamo saperne di più.
Giorgi, la sinistra impiegò più di 20 anni a capire l’importanza della RAI, che aveva lasciato in monopolio alla DC con assoluta indifferenza, ritenendola povera di contenuto intellettuale, necessariamente priva di ideologia, un passatempo piccolo-borghese… esempio della potenza della televisiun è la testimonianza proprio di Ubaldo Lay che confessava di passare spesso in macchina col rosso, perché i vigili appena lo riconoscevano, gli dicevano: “Signor tenente, scusi… vadi pure…”
Capisco, Pavoni, ma l’aver compreso l’importanza della RAI non giustifica l’essersi fatti mandanti politici dei due colpi di pistola che raggiungono Sheridan nell’ultima puntata de “La donna di picche”. Si sarebbe invece dovuto convincerlo con le buone a dire ogni tanto qualcosa di sinistra.
però una cascata l’avrà fatta…
Non so… ma verso quella cascata non m’addentrerei, dev’essere in uno degli angoli più oscuri dell’oscuro territorio dei misteri d’Italia.
Non c’è due senza tre e considerato che mi è parsa di dubbio gusto l’ironia sui morti, devo ‘in primis’ ad Alberto Ciambricco e ad Ubaldo Lay una più puntuale testimonianza. La cascata cui facevo cenno in riferimento alla fine del tenente Sheridan sarebbe stata presente nella nuova sceneggiatura che faceva riemergere dalle acque il poliziotto più famoso della tv italiana (che sarebbe stato interpretato da Alberto Lupo) che i ‘cattivi’ pensavano di aver eliminato definitivamente gettando il corpo nel fiume. Sono trascorsi circa dodici anni dal racconto che mi fece Alberto e quindi mi scuso per la precedente, seppur ‘denunciata’, imprecisione che un certo sforzo mnemonico mi fa ora correggere ad integrazione di una storia inedita, non irrilevante, su un popolarissimo personaggio televisivo del dopoguerra. “A piazza Bologna, a Roma, dove abitavo, ogni festa che davo con Ubaldo era interrotta dal suono del campanello da parte di chi reclamava l’intervento del ‘tenente’ dall’impermeabile chiaro: furti, perlopiù, l’Italia era ancora pacioccona” mi raccontava sorridendo Ciambricco.
PS: Non fu il Pci – peraltro mai menzionato nei suoi ricordi da Ciambricco- a mettere da parte Ezzy Sheridan che fu salvato a differenza …dell’Uomo Ragno dalla pubblicità!
Veramente quello inghiottito dalla cascata era un altro-
Le cascate Reichenbach (Reichenbachfall) sono una serie di cascate del fiume Aar vicino Meiringen a Berna in Svizzera. Fanno un salto di 250 metri.
Queste cascate sono state rese famose dallo scrittore scozzese Sir Arthur Conan Doyle, che nel racconto L’ultima avventura vi ambientò la famosa battaglia fra Sherlock Holmes ed il Professor Moriarty, durante la quale entrambi vengono ingoiati dalle acque.
Dunque le mani del Pci non si macchiarono del sangue di Sheridan, meno male. Però si soffre comunque, nel ripensare a quanto tempo fu poi necessario all’Italia, ancora pacioccona ma orfana di Sheridan, per ritrovare una figura forte a difesa del cittadino. Ma per fortuna – tutto è bene quel che finisce bene – alla fine il Gabibbo arrivò.
Pavoni, tra gli inghiottiti dalle cascate è facile confondersi, così come facilmente ci si confonde tra l’ironia sui morti e l’ironia sui morti della fiction.