di Giancarlo Liuti
Un tatuaggio non può essere fatto da chiunque su chiunque, occorre che questa diventi una vera professione e sia regolamentata. In tal senso la “Confartigianato Imprese” di Macerata ha sollecitato la giunta regionale a rendere operative le già previste disposizioni sui requisiti per chi esercita o intende esercitare l’attività di tatuaggio, piercing e dermopigmentazione. Un’attività, questa, che fino ad oggi può essere svolta magari bene ma in modo privatistico. Ecco perché a causa del suo progressivo diffondersi specie fra i giovani e dei pur modesti rischi sanitari che essa comporta non può sottrarsi a una disciplina di carattere pubblico.
A Macerata funzionano due “botteghe” in centro storico e a Civitanova tre, fra le quali, in via Regina Elena, quello di Giuseppe “Tattoo” Colibazzi, che va così a gonfie vele da essersi conquistato un prestigio addirittura internazionale grazie ai primati per la seduta più lunga su uno stesso soggetto, per aver trattato nove persone in un solo giorno e per cinquantasei ore consecutive di operatività. Caspita! Ma ciò non toglie –anzi, conferma – che in generale il tatuaggio debba essere regolamentato imponendo a chi lo esercita un minimo di conoscenza sia dell’anatomia umana sia di eventuali controindicazioni del soggetto da tatuare come le malattie della pelle, la tendenza ad emorragie o il diabete. Un’accortezza, questa, che dovrebbe avere anzitutto chi vi si sottopone. Sarà pur vero, infatti, che col proprio corpo ognuno può farci quel che gli pare, ma ci sono dei limiti. L’autolesionismo, ad esempio, non è un reato ma moralmente gli sta vicino.
Per quanto riguarda il “piercing” non sto ovviamente parlando delle innocue perline applicate ai lobi degli orecchi – ce le hanno quasi tutti, ormai, uomini e donne, giovani e meno giovani – ma di interventi un tantino più intrusivi come quelle infilate nella lingua che potrebbero dar dei problemi nel parlare o nella masticazione. Idem e ancor più per il tatuaggio, che un conto sono i ghirigori, le farfalle, gli scarabei o le parole d’amore disegnate sulle braccia e un altro conto sono gli “affreschi” a più colori impressi su vaste parti del corpo. Si pensi in proposito al notissimo “rapper” e “vip” televisivo Fedez, che ne è ricoperto dalla testa ai piedi. Lui, nelle foto “total body”, ama mostrarsi non come persona ma come un intero tatuaggio vivente, il che rischia di porre in secondo piano le sue notevoli attitudini musicali e poetiche.
E adesso lasciatemi dire che la supremazia in questo campo di Civitanova su Macerata dipende forse dalla diversità caratteriale delle due popolazioni: la civitanovese più espansiva e portata a mostrarsi, la maceratese più riservata. Sbaglio? In Italia i tatuati sono circa sette milioni, prevalentemente fra i trenta e i quarant’anni. I più giovani sono circa un milione e mezzo, i minorenni l’otto per cento. E le più tatuate sono le regioni del nord (nel sud, probabilmente, c’è altro da pensare). Una ulteriore particolarità è che tale “inclinazione” ce l’hanno quasi esclusivamente gli uomini, che in tal modo intendono esaltare la loro virilità. Invece la stragrande maggioranza delle donne si evidenzia il viso con altri e meno cruenti sistemi: labbra rosse e carnose, ciprie, ciglia finte.
Le prime notizie sul tatuaggio risalgono a cinque secoli prima di Cristo, in Asia, in Egitto e poi anche a Roma, dove l’imperatore Costantino, convertitosi al cristianesimo, lo vietò. Ed ecco saltar fuori l’incompatibilità fra tatuaggio e religione, un’incompatibilità che tuttavia ha avuto pause e ripensamenti (nel Quattrocento, ad esempio, i pellegrini che si recavano al santuario di Loreto usavano farsi tatuare simboli di fede). Una storia con alti e bassi, quella del tatuaggio. E in Italia ha avuto più bassi che alti. Nel tardo Ottocento, ad esempio, il celebre psichiatra Cesare Lombroso l’avversava sostenendo che tatuarsi era sintomo di propensione a delinquere. E da noi non vi furono “botteghe” di tatuatori fino agli anni sessanta del Novecento. Ma subito dopo il tatuaggio s’è preso una sonora rivincita, dapprima fra i giovani hippy e infine, come adesso, in vari strati sociali e in varie età. Per quale ragione? Ne azzardo una, forse sbagliata. In quest’epoca caratterizzata dal “tutti uguali” dell’intruppamento consumistico si sta appannando l’identità individuale di “persona” e uno dei modi per recuperarla può essere quello di chi tatuandosi mostra a se stesso e agli altri di essere unico e comunque diverso. Una sciocchezza, la mia? Può darsi, ma non sono il solo a pensarlo.
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Come rischio sanitario per il super tatuato, ci vedo le affezioni alle vie respiratorie, vista la propensione all’uso della manica corta anche con temperature non proprio primaverili.
Qui, nelle costruzioni e nei luoghi di intrattenimento, nei miracoli e nel comfort di una tecnica che annulla le distanze, nelle formazioni della vita comunitaria e nelle istituzioni visibili dello Stato, si manifesta una pienezza dello spirito cristallizzato e fattosi impersonale così soverchiante che – per così dire – la personalità non può reggere il confronto. Da una parte la vita viene resa estremamente facile, poiché le si offrono da ogni parte stimoli, interessi, modi di riempire il tempo e la coscienza, che la prendono quasi in una corrente dove i movimenti autonomi del nuoto non sembrano neppure più necessari. Dall’altra, però, la vita è costituita sempre più di questi contenuti e rappresentazioni impersonali, che tendono a eliminare le colorazioni e le idiosincrasie più intimamente singolari; così l’elemento più personale, per salvarsi, deve dar prova di una singolarità e una particolarità estreme; deve esagerare per farsi sentire, anche da se stesso.(Georg Simmel)
Esiste anche il tattoo dress, il vestito tatuaggio.
Un esempio di collezione primavera-estate 2016:
http://donna.fanpage.it/abiti-o-tatuaggi-sulle-passerelle-di-milano-spopolano-i-capi-effetto-tattoo-foto/.
Può essere che col lancio di adeguate collezioni autunno-inverno s’arrivi ad abbattere anche il rischio sanitario segnalato dal Micucci.
Giorgi ti ringrazio per il link. Quest’anno ho dovuto disegnare la collezione primavera estate per un’atelier newyorchese e non avuto tempo di recarmi a Milano per godermi i meravigliosi gemelli DSquared2.
I tatoo dress che non conoscevo sono davvero fantastici, e rispondono benissimo alla domanda che Liuti sembra porsi. Effettivamente questi tatoo dress, mettono in evidenza tutta la virilità di cui i modelli si fanno portavoce. E poi è una caratteristica di Dsquared2 mettere in evidenza la virilità maschile che ben si adatta ai suoi abiti femminili e viceversa la femminilità dei suoi abiti maschili che li rendono adatti ad un gioco sul tipo: “ Indovina che indosso? “ Sia io che il mio compagno e la sua compagna che flirta con la mia compagna amiamo scambiarci gli abiti indossando spesso noi maschietti abiti femminili e le babies abiti maschili. Quando usciamo tutti insieme appassionatamente i nostri boyfriends, non sanno mai chi indossa un vestito maschile od uno femminile. Grandi Gemelloni, vi amo. Speriamo che Colibazzi lo venga a sapere il più tardi possibile.
Per Giorgi. Il tattoo dress è ideale per andare ai colloqui di lavoro.
Una modo odiosa!!
Magari la farfallina di Belen può andare anche bene!!!