Silvano Mazzarantani, in arte Novecento
di Marco Ribechi
(foto di Alessandro Ruggieri)
Vive in un spazio di 3mila metri quadri, al piano terra di un centro commerciale quasi dimenticato. Senza acqua né riscaldamento, soldi quasi niente, non ne vuole. A volte passa qualche amico di vecchia data ma a fargli compagnia sono soprattutto i suoi tre cani Bruno, Stella e Nera. Ha fatto dell’enorme stanzone il suo atelier, pieno di opere d’arte da far invidia ad una galleria prestigiosa. E’ solo ma dice di essere finalmente felice e libero, dedicandosi interamente all’arte, la sua vera vocazione. La sua vita è anch’essa un’opera tra viaggi, cambiamenti improvvisi e soprattutto donne. Si tratta di Silvano Mazzarantani, meglio conosciuto come Novecento, l’artista delle cose perdute. Silvano nasce a San Severino e oggi ha 58 anni. In una sorta di retrospettiva rivive i momenti del suo passato, sempre accompagnato dalla passione per l’arte.
Novecento nel suo laboratorio artistico
«Mi sono accorto di questa mia vocazione fin da bambino – spiega Novecento – Disegnavo con la matita dei ritratti di mia nonna mentre dormiva vicino al camino, appoggiata con la testa sul tavolo. Poi quando si svegliava lei me li strappava. Ho iniziato a coltivare la pittura come hobby quando a 14 anni mi sono trasferito a Torino. Lavoravo come cameriere e risparmiavo i soldi per comprarmi l’attrezzatura. A quel tempo copiavo le opere dei grandi artisti: non avevo mai potuto studiare, ero autodidatta. Uno dei miei preferiti era Van Gogh. Quando lo imitavo era una strana sensazione: dopo aver tracciato le pennellate di colore all’improvviso il quadro appariva da sé». Nella città della Mole Novecento resta fino ai 19 anni e subito la passione per le donne crea i primi guai. Si innamora della cameriera, che però era già sposata. La leva militare lo toglie dalla situazione spigolosa. «Mi sono imbarcato in Marina – continua l’artista con un velo di malinconia – Un periodo meraviglioso. Viaggiavo, vedevo posti colori, gente. Genova, Taranto, e poi l’India, Singapore e l’Indonesia. Ma è al mio ritorno che la mia vita è cambiata».
Stella, uno dei fedeli cani di Novecento
Novecento ha trasformato il seminterrato del centro commerciale in una galleria d’arte
Durante un ballo al teatro di Treia conosce sua moglie con cui resterà sposato per 27 anni. «Un colpo di fulmine. Non c’era altra uscita dovevo sposarmi – spiega Novecento – Poi ho iniziato a lavorare alla Parlamat. Guadagnavo bene ma il tarlo dell’arte era rimasto sopito nella mia testa. Allora faccio una pazzia: mi licenzio e affitto un localetto a Passo di Treia dove esporre le mie opere. Le posiziono in vetrina sopra un comò stile liberty. La mia sorpresa era che tutti si fermavano perché volevano comprare il mobile. L’avevo preso a 70 mila lire e alla fine l’ho rivenduto a 250. Fu così che iniziai a fare l’antiquario». Ma la bottega aveva alti e bassi. «Vivevo sulle stelle, mi innamoravo delle cose che vendevo – scherza Silvano – Ho passato alcuni anni difficili senza soldi e con una famiglia. Ma anche questo è il vivere di un artista. Gli artisti vanno considerati, non stanno né in cielo né in terra ma volano a mezz’aria. Questo mio sentimento ha finito col rovinare il mio matrimonio. Il negozio è stato aperto fino al 2004, mia moglie continuava a dire che se ne voleva andare ma alla fine un giorno ho preso su quel poco che avevo e me ne sono andato io, con in mano la “cappottella”. Dal 2007 vivo qui, senza soldi ma libero. Creo tutto il giorno, nella mia arte c’è tutta la mia vita».
Novecento nella parete di “Una giornata con la Katia”
Vari sono i periodi artistici di Novecento, quasi tutti ricollegabili a figure femminili. «Vivo per le donne. Ritengo che l’amore è per metà erotismo e poi c’è la donna a cui vuoi bene. Ma non basta una sola per tutta la vita. Le donne sono figure celestiali, senza di loro sarei sicuramente appassito». Uno dei primi momenti artistici di Novecento è legata alle figure delle chiacchiere: «Le chiacchiere sono delle donne che si credono belle e importanti, che passano tutto il tempo a parlare dietro le spalle. Per questo hanno tutte i labbroni. Appena separato ho fatto una mostra che ho dedicato alle donne di passo di Treia che mi parlavano dietro. All’opposto c’è la Katia, una mia amica di Civitanova. Lei rappresenta l’erotismo. Si scopriva una spalla e io impazzivo. Era sempre vestita di nero ma io la disegnavo coloratissima».
Uno dei quadri con il tema della luna
Ma l’attenzione di Novecento si ferma anche sui piccoli particolari della vita quotidiana. «Ho avuto il momento che definisco delle “farfalline” – scherza l’artista – Naturalmente c’è anche un doppio senso ma in realtà è iniziato mentre aspettavo il treno e ho visto una bella farfalla gialla che attraversava la ferrovia. L’ho potuta notare perché avevo deciso di non prendere più la macchina, altrimenti non me ne sarei mai accorto. Mi piace far vedere le cose semplici, ho la testa da bambino. Mi piace disegnare anche le barche, forse come sinonimo di libertà o di dolcezza legata al cullare delle onde del mare». Novecento lavora riciclando vecchi oggetti, compra solo i pennelli, anche i colori gli vengono regalati. «Altro tema sono le vanitose che dipingo con il collo lungo e i seni scoperti – continua mostrando la sua galleria – Poi c’è la luna che spesso ritraggo piena o a metà, con vicino una scaletta per salire sulle ali del romanticismo. Amo i sentimenti, non uso mai il nero nei miei quadri. Mi piace dipingere l’allegria, ad esempio uso molto il celeste. Non rappresento mai cose politiche».
Il centro commerciale Isabella Materassi di Casette Verdini dove vive Novecento
Lo spazio in cui Novecento vive è quasi invisibile per chi non lo conosce, si tratta del seminterrato del centro commerciale Isabella, a Casette Verdini di Pollenza, tra Macerata e Tolentino: «E’ un luogo che non c’è ma in realtà c’è – spiega – Vive grazie alla mia arte, alla mia presenza. Questo è il mio mondo, qui creo. Ho difficoltà ad uscire, ad incontrare gente, però mi fa piacere se qualcuno ogni tanto passa a trovarmi. Solo in questo posto ho trovato la pace. Nella mia vita ho fatto di tutto, ho avuto tanti amici ma qui ora, senza niente, mi sento umano. La società moderna è frenetica, i soldi portano alla rovina. Sono in regola con l’affitto ma non ho molto di più. Questo luogo è un’opera d’arte completa, non immagino di poter spostare nemmeno uno di questi pezzi. Mi piacerebbe che la mia casa fosse frequentata da giovani artisti, sperimentatori. E’ sempre aperta per chi vuole venirmi a trovare».
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Le foto dell’articolo sono state scattate da Alessandro Ruggieri, fotografo maceratese che ha conosciuto Silvano e lavorato come pittore nel seminterrato del centro commerciale Isabella nella primavera del 2009.

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