di Maurizio Verdenelli
“Non andò mica così”. Non era la prima volta (anzi!) che in redazione al ‘Messaggero’ arrivavano smentite, rettifiche (purtroppo, talvolta, anche querele) ma quella, un quarto di secolo fa, fu davvero importante, fondamentale per la Storia della Liberazione di Macerata. Davanti a me un gentilissimo signore, il maresciallo in congedo dell’esercito, il parà Giovanni Minischetti, romano d’origine, trapiantato a Penna San Giovanni con la moglie, del posto. “Non andò mica così” continuò il maresciallo Minischetti “a liberare Macerata fummo noi della Nembo dopo aver sbaragliato i tedeschi sul Chienti a Colbuccaro”. Il fatto d’arme, di cui fino a quel momento gli storici ignoravano l’esistenza, era stato cruento: la mitraglia della Wermacht che teneva la riva del fiume aveva falciato quella mattina (ore 11.30 l’attacco) del 21 giugno 1944 la prima fila della Nembo che qualche giorno più tardi si sarebbe nuovamente ricoperta di gloria a Filottrano. Ventiquattro furono i caduti. Nove giorni più tardi il capoluogo venne liberato.
La Storia di Macerata fu riscritta rispetto a quel comunicato che anno dopo anno, l’ottimo capo ufficio stampa di allora del Comune, l’indimenticabile Fabrizio Liuti, distribuiva a giugno alle redazione con l’unica avvertenza di cambiare la conta dell’anniversario della Liberazione della Città affidata agli uomini della Banda Niccolò. La notizia, quell’anno, sul ‘Messaggero’ non era sfuggita Minischetti. Che con una raccolta di fondi personale e con la generosa disposizione di Roberto Massi, 21 anni aveva realizzato sul luogo di quel sanguinosissimo scontro un bel monumento che la violenza delle acque, due anni fa, ha poi danneggiato (il restauro è ora affidata alla generosità di un altro reduce di quel fatto d’arme: un reduce di San Ginesio).
La Storia della Liberazione di Macerata ha dunque sofferto fino a ieri di molte ‘dimenticanze’, spesso poco innocenti. E’ come se la Città avesse voluto lasciare alle spalle quegli anni turbati dal caso Scorpecci, lo spazzino Dante, uno dei Civili della RSI, linciato alle ‘Casette’ l’11 maggio 1945, al suo ritorno a casa. “Ti faccio fare la fine di Scorpicciu” fu per decine d’anni uno dei detti popolari più terrifici più comuni a Macerata.
Stesso luogo, 70 anni di differenza in queste due foto che ritraggono il blindato Usa a difesa della piazza nel 1944 e l’esposizione di oggi
Ed oggi questa Storia della Liberazione ‘in fieri’, mai scritta, si è arricchita da un’altra autorevole testimonianza, in occasione dell’inaugurazione dell’imperdibile mostra documentaria “Correva l’anno …1944 – La guerra in casa” agli Antichi Forni fino a venerdì prossimo. Una testimonianza che viene dal professor Nino Ricci: “Ricordo perfettamente ben due bombardamenti prima di quello del tre aprile 1944 da parte di 35 aerei della Raf che causarono 110 vittime civili, molti i bambini, 15 militari e molti feriti”. Tra questi anche l’Elvio Ferretti (che fu amputato ad una gamba), padre di Dante. “Pensavamo che il bambino, di appena un anno, fosse morto sotto le rovine della casa distrutta” ricordava Benito Lelli, il cognato “lo trovammo sotto la ‘ciuca’ (detriti ndr): lo aveva salvato, dato che era molto piccolo, una trave a mò di arco sopra di lui”. E così venne salvato il genio maceratese, 3 premi Oscar che avrebbe tenuto per sempre nel suo Dna quella terribile esperienza, presentendo appena qualche ora e fuggendo da Manhattan la mattina dell’11 settembre 2001 alla vigilia di un contratto per il film “Ritorno a Cold Mountain” diretto da Anthony Minghella.
“Bombardamenti, ancora, da parte della Raf” ha puntualizzato il prof. Ricci. Un fatto di cui a Macerata si era perduta la memoria storica e che è riemersa grazie ad un uomo cui la cultura maceratese deve tantissimo, essendo stato per molti anni direttore della Pinacoteca e al quale il Comune ha dedicato lo scorso anno a palazzo Buonaccorsi una grande antologica. Una segnalazione dunque importante che speriamo venga inscritta nella storia cittadina anche se questa ha perduto di recente un ‘pater’ come Libero Paci. Dell’atroce ‘fuoco amico’ di 70 anni fa invece è stato adeguatamente storicizzato e molte polemiche a metà degli anni ’90, essendo sindaco Gian Mario Maulo, suscitò l’udienza concessa ad uno dei piloti della Raf, un cortese signore inglese dai cappelli rossicci, puntualmente ‘immortalati’ dai fotografi fatti accorrere mentre insieme con il primo cittadino simulava a braccia aperte il volo del suo bombardiere su Macerata. Truppe inglesi e polacche al comando del col. Anders raggiunsero poi Macerata: alcuni entrarono nella simpatia della popolazione e trovarono qui moglie. E giocarono con ottimi risultati nella Maceratese trovando alla fine perfino lavoro in Municipio, come nel caso Iola (il nome vero, polacco, era impronunciabile) usciere popolarissimo in città poi ardente sostenitore di ‘Solidarnosc’ di cui mostrava il distintivo posto orgogliosamente all’occhiello della divisa da dipendente comunale.
“Alph track M3” un semicingolato pesante 6 tonnellate, ancora perfettamente funzionante dell’esercito Usa, metà carro armato, metà camionetta dalle gomme piene, reduce dallo sbarco in Normandia, ‘parcheggiato’ con tanto di mitragliatrici fino a stasera davanti al palazzo comunale come il 30 giugno di 70 anni un altro blindato, dello stesso Corpo di sbarco del col. Anders, segnala fino a stasera la mostra agli Antichi Forni, benissimo organizzata dall’associazione dei mutilati ed invalidi di guerra -in collaborazione con Unimc, la collezione Luca Cimarosa, l’Istituto della Resistenza, il museo della guerra di Falconara, il centro studi Balelli, l’archivio Luigi Ricci e la Biblioteca statale di Macerata. “Rientrerà nella notte a Loro Piceno nel museo delle due guerre curato da Luca Cimarosa: i costi dell’assicurazione sono altissimi…” dice il dottor Vittorio Zazzaretta che insieme con la moglie Gilda (Coacci) è il deus ex machina dell’evento, dopo l’inaugurazione del ‘nuovo’ Palazzo del Mutilato, qualche mese fa. “E il prossimo anno faremo una mostra che raccoglierà le esposizioni relative ai fatti del ’43 e quella del ‘44” promette Zazzaretta. Cimarosa si schermisce un po’ essendo militare (“Niente foto, per favore, ho bisogno dell’autorizzazione“) ma il museo di cui è il curatore è davvero da elogiare. “Presto i pezzi migliori alle produzioni cinematografiche” ammette. “La collezione ha fornito i pezzi forti di questa mostra” dice il professor Angelo Ventrone che con Annalisa Cegna ha presentato la mostra nell’aula consiliare del Comune, questa mattina, presente il sindaco Romano Carancini.
In mostra, oltre alle foto del fondo Balelli – mai come in questo caso ‘l’immagine è già un racconto’ per dirla con il glottologo francese Roland Barthez- pezzi assolutamente di grande impatto emotivo. “Un’emozione terribile –aggiunge Ventrone- offre la vista di questa mitragliatrice che stava sulle torrette del lager di Dachau, oppure le pallottole che hanno ucciso Aldo Buscalferri, o la camicia di Achille Barilatti, anch’egli martire della violenza nazista”. Nello stesso contenitore di cristallo anche il cappello di feltro di Buscalferri e la bandiera della banda Niccolò, del comandante Pantanetti”.
Poi divise ed armi, gagliardetti, editti. Anche una divisa della Wermacht che un soldato affamato in ritirata barattò per una pagnotta di pane a Castelferretti con un contadino. Uno scenario di fame ‘con la guerra in casa ‘, mutuando il sottotitolo della mostra, evoca poi un pigiama in seta… “la seta era quella dei paracaduti degli Alleati, che ha dato tanta stoffa anche ai maceratesi ridotti alla fame” sottolinea il professor Ventrone. Già, perché dalla mostra storica emerge vivo il quadro, eppure tanto dimenticato, di una comunità alla quale mancava tutto che in poche generazioni ha scordato tutto.
Maria Tamburrini
E nel silenzio generale, appena a settembre è deceduta Maria Tamburrini – a febbraio aveva compiuto 100 anni. L’”Angelo del centro storico” in quei tempi terribili si era prodigata, con grave rischio personale, nella panetteria di famiglia a ‘sfamare’ le famiglie al di là della drammaticamente ‘scarsa’ tessera annonaria.
Il ‘com’eravamo’ e ‘per non dimenticare’ è stato allora affidato dai curatori della mostra ai ragazzi delle scuole. Il lavoro di alcuni allievi dell’IPSIA ‘Corridoni’ di Macerata è stato stampato in una cartolina in esposizione. Salvatore Toscano, Vanessa Salvatori, Maicol Bonfigli, Fabio Cesolari e Filippo Marangoni sono i loro nomi.
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Ho visitato la mostra e ringrazio gli organizzatori e mi complimento per la ricchezza della documentalzione e del materiale originale esposti,che mi hanno commosso facendomi rivivere quel periodo tumultuoso e convulso della nostra storia che,seppure bambino,ho conosciuto “in diretta”.
Pignoleria estrema: HALF track ,semicingolato.
E’ una mostra per non dimenticare. Per far sapere ai giovani. Fuori delle posizioni ideologiche durate decenni ed utilizzate ancora oggi in un’epoca di povertà ideologica di una Sinistra, traditrice di ciò in cui ha creduto, che spara le solite frasi di “fascisti”, “Resistenza”, “razzismo”… Ma se sorgessero dalle tombe Buscalferri, Pantanetti, Pianesi, combattenti della Resistenza vera, saprebbero come trattare questi epigoni negativi di un passato glorioso.
La mostra ha il pregio di confrontare le posizioni di chi era nella Repubblica Sociale Italiana e chi era nella Resistenza. Ambedue gli schieramenti combattevano per degli ideali contrapposti. Molti andarono nella RSI non per Mussolini, ma per difendere gli ideali di Patria quando i vigliacchi Savoia e Badoglio scapparono, lasciando l’Italia disorientata in balìa dei Tedeschi. Gli altri, coordinati dai pochi Comunisti rimasti tali nel Ventennio, come Buscalferri, Pianesi, Capitani e pochi altri, organizzarono i primi nuclei combattenti in montagna.
E’ una mostra offerta a noi cittadini comuni, come comuni furono quelli che si batterono da una parte e dall’altra in una guerra civile dolorosa. Continuate a svelare ai giovani una Storia che è stata fatta dimenticare. Ho avuto commozione guardando i cimeli di Aldo Buscalferri e la bandiera di combattimento delle Bande Niccolò, che si sarebbe dovuto spiegare alla vista.
Ho visitato la mostra con Tullio Moneta ed abbiamo parlato delle armi esposte che abbiamo conosciuto in Africa. Egli non era però a Macerata durante il bombardamento vigliacco di una Città indifesa. Io, invece, ricordo, pur piccolino, da Corridonia, in braccio a mia madre, il fumo che sia alzava da Macerata: uno grosso al centro (Caserma Corridoni, vicolo della Nana), un altro più piccolo dalle Casermette: Fu la prima volta che sentiti nominare “Casermette” e quel nome mi rimase impresso per il fumo che vedevo. In quel momento già decine e decine di innocenti erano morti, mentre io ero vivo e non mi rendevo conto della tragedia.
Sì, grazie di questa mostra. Continuate a ricordare. Che ci si renda conto di ciò che stiamo vivendo e cosa fare. Perché il futuro è drammatico e dobbiamo restare calmi di fronte alle provocazioni.
Mi piace ritornare sull’articolo di Maurizio Verdenelli, una delle nostre migliori penne giornalistiche ed editoriali, per dire che ha illustrato molto bene la situazione del dopo Liberazione, ricordando l’atroce fine dello spazzino Dante Scorpecci, linciato davanti al bar Moretti, di fronte allo Sferisterio, mentre ritornava a casa dalla RSI, poiché la guerra era finita. La storia mi fu raccontata dalla figlia, allora diciassettenne, che voleva portare soccorso al padre circondato da centinaia di persone, e portata via di peso dai fratelli. La stessa storia mi fu raccontata dal Compagno Mario Pianesi, comunista nel Ventennio, mandato al confino e poi combattente nelle Bande Nicolò di Augusto Pantanetti, insieme a Enzo Berardi, Florindo Pirani, Lucio Monachesi, persone che ho conosciuto e stimato. Mario Pianesi mi raccontò come erano andati i fatti.
Una donna urlò dalla finestra contro Scorpecci all’inizio di Corso Cairoli. Si radunò una folla che spinse lo Scorpecci fino al Bar Moretti. Cominciò il linciaggio. Erano soprattutto i soliti vigliacchi imboscati e magari conniventi con i Repubblichini a volersi rifare una fedina penale pulita. Un po’ come i partigiani dell’ultim’ora, in armi quando i Repubblichini e i Tedeschi erano scappati. O i soliti ladroni tra i partigiani combattenti che con le armi in pugno taglieggiavano i contadini.
Alcuni partigiani erano lì, armati. Arrivarono anche alcuni Carabinieri, che, vista la folla inferocita, non intervennero. Per il povero civile repubblichino fu la fine. Morto, fu caricato su di un carrettino delle immondizie e appeso ad una pianta all’inizio delle Fosse. Tirato poi giù per non farlo vedere ai Polacchi.
Chiesi a Mario Pianesi il motivo per il quale i partigiani che avevano combattuto con onore non difesero la vita di Scorpecci.. “Cosa avremmo dovuto fare? Scaricare i mitra sulla folla? – fu la risposta. Risposi che io lo avrei fatto: la prima raffia in aria sarebbe bastata… Qualcuno ha detto che anche alcuni partigiani presero parte al linciaggio. Quando si scatena l’inconscio collettivo si diventa un branco di belve. Capisco la violenza su criminali responsabili dei massacri… Ma il povero Scorpecci non aveva fatto nulla di criminale. Mi sembra che lavorasse nella RSI come ciabattino.
Inviterei l’amministrazione comunale a collocare finalmente nel Palazzo Bonaccorsi tutti i cimeli della nostra guerra partigiana, come pure le testimonianze dell'”altra parte”, come è avvenuto in questa mostra. Cosicché il Museo del Risorgimento possa risorgere.
Vorrei rispondere al commento del Signor Rapanelli in cui racconta con dovizia di particolari la fine ingloriosa di Dante Scorpecci, linciato dalla folla l’11 maggio del 1945 in zona Sferisterio. La sua storia, che al Rapanelli è stata raccontata dalla figlia di “Scurpicciu” (perchè così era conosciuto a Macerata), a me è stata “tramandata” dalla nonna, Tartuferi Giuseppina, morta nel 2002 all’età di 80 anni, staffetta partigiana del Gruppo Bande Nicolò.
Nel quartiere Fosse dove lo Scorpecci era di casa e dove, durante il Ventennio, abitava anche lei con i genitori e il fratello minore, Vincenzo (classe 1924), al fascista della prima ora ( troppo facile definirlo “repubblichino”) era stato affibiato un altro triste quanto nefasto soprannome: “Olio”, per le generose quantità di olio di ricino che destinava agli avversari del Fascio, durante le “ragazzate” di chi, allora, si sentiva invincibile, difeso dalla legge (oggi diremmo “connivente”) e per questo, ai propri occhi, innocente. Ed è nel nome della fedeltà alla causa che Dante Scorpecci, in arte “Olio”, all’indomani dell’armistizio di Cassibile, dello smembramento della nostra Penisola in due, della fuga ignominiosa del Re e della chiamata alle armi da parte della Repubblica Sociale di tutti i giovani abili, iniziò la sua carriera di delatore. In casa con mia nonna, in quel settembre 1943, c’era un giovane diciannovenne, apprendista sarto, bello e solare che si nascondeva tra le braccia della sorella. A “Scurpicciu” la cosa non era sfuggita.
A causa della delazione di Dante Scorpecci, Tartuferi Vincenzo, entrò in clandestinità combattendo in tutto l’Alto Maceratese da sbandato (perchè di andare con i fascisti non ne voleva sapere) fino ad approdare nel gennaio del ’44 nella “Garibaldi Spartaco – Banda Nicolò” di Pantanetti che di lui scrive, cito testualmente, “…Preferiva lasciare a casa un compagno meno deciso o poco volenteroso e prendere lui il posto. Questo suo contegno, contegno di valoroso e d’intrepido lo portò al passo decisivo. Escluso da un’azione perchè impossibilitato a camminare (ferito a un piede), pianse perchè lo si inviasse. Scartato dal Comandante del Gruppo, si rivolse al Vicecomandante riuscendo a partire con lui, ed andò verso la morte!”.
Il 15 marzo 1944 il non ancora ventenne Tartuferi Vincenzo cadde, ferito a morte, in uno scontro a fuoco con le brigate nere a Gabella Nuova di Sarnano. Di lì a poche settimane il Gruppo Bande Nicolò sarebbe poi uscito decimato dal tristemente famoso Eccidio di Montalto, una delle peggiori stragi nazifasciste dell’intero territorio marchigiano.
Durante quella primavera, intanto, “Scurpicciu”, fiutando l’ormai prossima Liberazione di Macerata, sveste i panni del delatore e si dà alla macchia. Nel maggio 1945, a guerra finita, “Olio” pensa di averla scampata e torna nel capoluogo.
La versione che io ho delle fase successive il suo ingresso in Corso Cairoli, però, è discordante da quella del Rapanelli perchè Dante Scorpecci nel suo viaggio da Tolentino era stato seguito dal figlio di un partigiano, anch’esso vittima di delazione, morto in combattimento che voleva essere certo di avere davanti uno dei responsabili della morte del padre. Allora, e solo allora, col grido della donna che lo riconobbe, partì il linciaggio a cui Giuseppina e sua madre, Morbiducci Nerina, non parteciparono e che condannarono con forza per tutta la vita, anche e soprattutto davanti a noi nipoti. La mia bisnonna Nerina, a cui una dittatura assurda a sciagurata aveva strappato il “maschio di casa” dalle braccia, con la voce rotta dal pianto ripeteva sempre “…tanto nessuno me lo riporterà a casa, Enzo…”
Tartuferi Vincenzo, il mio prozio, Croce Militare al Merito e medaglia garibaldina aveva tutta la vita davanti ma ora, citando nuovamente il Tenente Pantanetti: “vive imperituro nei nostri cuori, nella luce di un orgoglioso rimpianto” per colpe non sue; e il suo sacrificio oggi è vilipeso da chi pretende di fare della storia italiana del Novecento un taccuino di guerra senza buoni nè cattivi, senza vincitori nè vinti. Io non accetto una simile “rendicontazione” perchè do per scontato che non possa esistere una Nazione senza libertà di espressione, stampa, associazione. Il Fascismo in quanto tale era un disvalore e chi gli si avvicinava in quei tempi, a maggior ragione chi lo aveva fatto proprio sin dalle prime ore, come Dante Scorpecci, e, pensando in grande, come Mario Carità, Pietro Koch, Alessandro Pavolini, Augusto Trinca Armati non potrà mai avere un posto nella stessa storia che racconta di Augusto Pantanetti, di Mario Pianesi, di Duccio Galimberti, di Dante Di Nanni, di Arrigo Boldrini, di Mario Musolesi e del loro sacrificio. Gli errori della Resistenza sono gli ORRORI DELLA GUERRA che disumanizza l’individuo scoprendo i lati peggiori di ognuno di noi ma chi, con cognizione di causa, non si rende conto di questo, mente sapendo di mentire o, peggio, è intenzionato a rivalutare la “vergogna e l’orrore del mondo” strumentalizzando e decontestualizzando la storia.
Invito per questo il Signor Rapanelli a recarsi, quando a tempo, al cimitero monumentale di Macerata. Cerchi la tomba di Vincenzo Tartuferi fu Luigi e di un suo compagno d’armi morto, bambino, come lui. Ci troverà inciso l’epitaffio “Eroi sublimi di un ideale purissimo su cui la Patria si inchina”.
Porti loro un fiore, magari un garofano rosso, e si ricordi che tutto quello che ha conquistato nella vita lo deve anche a quei ragazzi.
Non solo della figlia di Scorpecci, ma anche del Compagno Mario Pianesi ho ascoltato la versione della morte del ciabattino Scopercci, che ha pagato con la vit l’appartenenza alla RSI, ma non all’olio di ricino che usava somministrare insieme a tanti che poi fecero parte dell’antifascismo. Ho davanti agli occhi i corridoniani che erano fascisti e dopo il ’44 cambiarono casacca e credo. Ho davanti a me il libro ci Augusto Pantanetti dal titolo “Il Gruppo Bande Nicolò e la Liberazione di Macerata”. Scorro i nomi dei partigiani alla fine del libro. Erano tutti combattenti come quelli delle Bande Nicolò? Quanti erano gli imboscati? Quali erano i ladroni? Quanti gli assassini per motivi personali? E’ solo una domanda. Perché ho un paio di fascisti assassinati da partigiani e Gap solo per una questione di gnocca. Quindi, adiamoci cauti quando diciamo che il Bene è tutto da una parte e il Male dall’altra.
Decio Filipponi, comandante di una banda sopra Sarnano, si fece impiccare consegnandosi ai tedeschi per salvare gli ostaggi. A via Rasella si fece un attentato terroristico inutile, ma nessuno si presentò per salvare la vita di coloro che morirono alle Fosse Ardeatine. Il terrorismo è sempre vile, a qualsiasi ideologia appartenga. Qui, o in Africa, o in Irag. Nelle Bande Nicolò, come nel fronte di liberazione del Sud Sudan la prudenza imponeva di non coinvolgere eccessivamente le popolazioni alla rappresaglia che sarebbe seguita alle azioni militari guerrigliere.
Guardiamo al futuro. E’ inutile dire che il passato insegna. Non insegna un bel niente e chi arriverà farà gli stessi errori di schieramento del passato. Il futuro nero ancora deve venire. La stessa Resistenza e gli orrori della guerra civile non hanno lasciato traccia, salvo che invocarla quando non si riesce più a parare i colpi. E’ questa l’Italia nata dalla Resistenza? E’ questa la Casta politica per la quale sono moti tanti giovani e il giovane Vincenzo Tartuferi e per la quale non dovessero esistere più i Dante Scorpecci?
Io porto con la mia intenzione un fiore sulla tomba di Vincenzo Tartuferi, come su quella di Decio Filipponi, di Augusto Pantanetti, di Enzo Berardi, di Mario Pianesi, di Lucio, di Florindo e dell’ingenuo Dante. Poiché non riesco più ad amare, non riesco neanche più ad odiare.
Credo fosse difficile imboscarsi in montagna visto che il rischio rappresaglia era sempre dietro l’angolo, ma, lo testimonia il giornalista combattente Giorgio Bocca nel suo libro “Partigiani della montagna”, era molto più facile prendere una diaria dalla RSI e restarsene dentro qualche caserma tedesca a cacciare le streghe piuttosto che al freddo, spostandosi continuamente, senza cibo nè riparo in montagna o a rischio continuo di delazione, nelle città, da gappista.
Come Le ho scritto anche nel mio intervento precedente gli italiani di allora erano cresciuti a pane e leggi fascistissime, abituati a risolvere le controversie con la forza bruta e le prepotenze. Gli stessi resistenti erano figli di quel tempo e spinti dai medesimi istinti primordiali che oggi ci fanno urlare al linciaggio dello zingaro che ruba, del marocchino che spaccia, del rumeno che violenta, (persone che poi vogliono rivalutare e perdonare i repubblichini in toto!) hanno macchiato col loro comportamento, per dirla alla Vittorio Foa, il nostro “Secondo Risorgimento”, ma che a rimetterci sia l’intero movimento di Liberazione lo trovo, francamente, assurdo.
Legga bene il mio intervento, Signor Rapanelli: nè io nè la mia famiglia abbiamo mai detto che sia stato giusto uccidere in quella maniera “Scurpicciu” ma nemmeno definirlo un innocente come lei ha fatto, magari più innocente del Tartuferi o del Filipponi che la morte se la sono andati a cercare.
Il fratello di mio nonno è stato da sempre fascista, amava girare in divisa la domenica per le vie del centro, lo faceva sentire onnipotente ed era, persino, partito volontario per la Russia; è rimasto fedele alle sue convinzioni fino alla fine della guerra ma era di buon cuore e non aveva di che vergognarsi; nessuno si è permesso di fargli nulla, a conflitto terminato. Dopo l’amnistia è uscito dal carcere e ha vissuto la sua vita senza infamia e senza lode.
Sorvolerò sul suo concetto di “modo giusto di combattere” perchè se n’è già parlato abbastanza ma, le ricordo, che le tecniche di guerriglia sono usate anche dai civilissimi americani, dall’esercito israeliano, da molti di quegli eroi del Risorgimento che oggi celebriamo e il terrorismo delle bombe a grappolo, dei B52, dei campi minati è quello che noi definiamo “portatore di pace”. Quando poi però l’ostaggio viene decapitato, difficilmente ce la prendiamo con i nostri soldati perchè non hanno soddisfatto le volontà degli aguzzini.
In fede
P.S. Le ricordo infine che per avvalolare la mia tesi, ho dalla mia questa civile discussione che anche la Resistenza ci ha permesso di imbastire. E’ molto probabile che se ci fossero stati gli “altri” (visto che, secondo lei, Tartuferi e quelli della Banda Nicolò erano semplicemente gli “uni”) io non avrei potuto aprire bocca oggi.
E’ vero: la storia del fascismo e della Resistenza non è stata ben spiegata a scuola.
Faccio un breve sunto: il fascismo si impose con la violenza dei manganelli e delle purghe.
In quegli inizi degli anni venti, dalle mura di tramontana, i maceratesi videro i fascisti bombardare il porto di Ancona, uccidendo tanti anconetani che non li volevano in città.
Poi, quando Matteotti, che non era comunista, denunciò i brogli elettorali, i fascisti lo rapirono e lo uccisero. Picchiati e ridotti in fin di vita od uccisi furono i liberali Giovanni Amendola, Piero Gobetti e tanti altri.
Il fascismo non aveva valori ma disvalori: violenza ,guerra, confino, razzismo, intimidazioni. Giù le Fosse, quando arrivava un gerarca, i gendarmi venivano ad arrestare gli antifascisti.
Poi c’è stata la guerra, disastrosa, la fuga vigliacca della famiglia reale e di Badoglio e c’è stata la Resistenza, organizzata sì dai comunisti in gran parte, ma anche dai socialisti, dai popolari. Pantanetti, il comandante della Banda Niccolò, era repubblicano.
Ci sono stati gli eccidi; quello delle Fosse Ardeatine avvenne il 24 di marzo, l’attentato di via Rasella è del 23. Anche se avessero voluto consegnarsi ai tedeschi, quei partigiani non avrebbero avuto il tempo per farlo. Nessuno sapeva che in 24 ore sarebbero stati uccisi quegli innocenti. E che i tedeschi non volessero farlo sapere, c’è il fatto che le cave vennero minate.
Poi, è chiaro che il linciaggio fu una cosa orrenda. Nella Bibbia c’è scritto:” nessuno tocchi Caino”.
Non bisogna farsi giustizia da soli; anche lo stato che condanna a morte i colpevoli di reati gravissimi, diventa correo.
Penso anche all’urlo di quella donna. Che cosa rappresenta? Odio sì, dolore anche, paura nel vedere quell’uomo tristemente noto, desiderio di vendetta. Ci vogliamo dimenticare di come i fascisti hanno ucciso il comandante Mario Batà?
Quel mondo era violento, perché quello che venne predicato per tanti anni era un inno alla violenza ed al razzismo; superiamolo senza giustificazioni che fanno male. E, se si è veramente patrioti, non si può accusare la Resistenza per le Fosse Ardeatine. Un po’ di orgoglio per gli Italiani che hanno saputo ritrovare dignità e fierezza, andando in montagna a combattere contro gli oppressori. Abbiamo alzato la testa e ci siamo conquistati la nostra libertà.
Buon giorno oggi 11/05/2016 per me è una data molto importante perchè oggi l’11 maggio del 1945 veniva ucciso barbaramente mio nonno Dante Scorpecci un assassinio rimasto sempre impunito anche se tutti sapevano gli artefici.
Vorrei rispondere a due persone che anno mensionato mio nonno. l’amico Giorgio Rapanelli e l’altro sig. Luca Gattafoni. Tutti e due anno detto cose sbagliate perchè è dall’11 maggio del 45 che si sono dette cose sbagliate sull’omicidio di mio nonno. Io posso raccontarle perchè mia madre Scorpecci Elena figlia di Dante era presente al massacro e mi dispiace per Giorgio ma lei non parlava mai di questo fatto perché comunque si riapriva una ferita che poi credo ma rimarginata.
Le cose andarono cosi,non è vero che mio nonno si era dato alla macchia o era scappato da macerata ma era andato a Salo e potete controllare dagli archivi mio nonno era li non è vero che faceva lo spazzino non è vero che abitava sulle fosse o meglio la sua famiglia ci ha abitato qualche anno poi la casa crollò e gli fu assegnata la casa popolare in via pace lotti a 12 dove tutti noi nipoti siamo cresciuti mio nonno prima di partire per salo era custode al’impianto sportivo dei pini e prima ancora era guardia comunale solo che fù mandato a fare il custode perchè non faceva le multe ecco quanto era cattivo il fascista Dante ma ritorniamo ai fatti.
Dante era di ritorno da Salo e scese con il pullman ai giardini di Macerata (non tornava da Tolentino) mia madre e mio zio Umberto L’altro figlio Mario era a Brindisi militare gli andarono incontro perchè sapevano che lo stavano aspettando quindi la storia della signora è una bugia tirata fuori per coprire la verità non sapendo da dove arrivasse Dante mio zio si mise sotto l’arco di piazza Mazzini e mia madre andò verso i giardini dalle mura di tramontana Dante si fermò per un bisogno fisiologico dentro al vespasiano che stava dall’altra parte del marciapiede quindi mia madre non riusci a vederlo e seguto il suo cammino Dante invece poco dopo continuò per tornare in via pace avati al caffè moretti e non solo lo stavano aspettando i cosiddetti partigiani maceratesi che tutti sapevano chi erano qualche nome lo sò anche io perchè mia madre me li ha detti quando lo anno preso e mio zio si accorse del fatto cerco di intervenire ma gli fu sferrato un pugno o meglio una scarica di pugni allora lui corse in piazza alla questura raccontando il fatto che stavano linciando il padre ma gli fu risposto che non aptevano muoversi perchè gli ordini erano quelli nel frattempo mia madre che era quasi arrivata li al curvone dove c’è l’arco per poi andare in centro senti le urla della gente che diceva anno preso Scorpecci cosi di corsa torno indietro e quando arrivo sul posto una signora che non ricordo il nome la riconobbe e la meno buttadola in mezzo dove c’era il padre che prendeva botte da tutte parti ad un certo punto gli fu rotta una bottiglia in testa provcando un buco sul cranio e facendo perdere i sensi a Dante cosi lo legarono e cominciarono a trascinarlo in terra sempre colpendolo con calci ti tutto il corpo dopo di che si avviarono sempre trascinandolo per le fosse ma dopo un po lo misero dentro il carrettino degli spazzini tutto questo avanti agli occhi di sua figlia mia madre che anch’essa veniva trascinata perchè doveva vedere la fine che stava facendo suo padre quando lo alzarono per metterlo dentro al carretto degli spazzini Dante non aveva più la cartilagine del naso si diressero verso le fosse e arrivati li c’erano tre alberi su uno di questi fù impiccato o meglio appeso per il collo cosi che non morisse subito ma soffrisse ancora di più a quel punto mia madre che non ha mai voluto dire a me e mia sorella se avesse subito violenze sessuali oltre alle violenza subita riusci a svicolarsi e correndo arrivo a casa urlando stanno ammazzando mio padre allora il compagno comunista Renato Eugeni detto fico parti di corsa per andare sul posto e siccome era un omone si fece spazio tra la folla e tiro giù dalla pianta Dante che gli spirò tra le braccia.
Ecco questa è la vera storia dell’assassinio di Dante Scorpecci che si aveva quella fede era fascista ma come l’italia intera quando Giorgio dice che conosceva fascisti che poi per comodità sono andati dall’altra parte be quelli li conoscevo anche io e voglio dire a Gattafoni io avevo il bar Venanzetti a Macerata e dopo un po di tempo si sapeva che ero il nipote di Dante Scorpecci e molta gente come la sig. Lazzarini e tanti altri signori e signore anziani venivano a parlare con me e mi raccontavano di mio nonno di Dante che non era poi cosi cattivo anzi tutt’altro forse ha salvato dalle botte dei primi anni del ventennio qualcuno cosi come mi raccontava Renato de fico poi volevo sempre dire a Gattafoni quello che gli raccontava la nonna su mio nonno è bugia come tante altre perchè mio nonno Dante venne ad abitare a Macerata quando gia il Duce era al potere i miei nonni erano originari di Petriolo tanto che il primo figlio Umberto è nato a Petriolo nel 1924 la famiglia Scorpecci si trasferi a Mcerata quindi sono bugie i soprannomi ecc.ecc. e un’altra cosa gattafoni mio nonno ha un nome e un cognome no (scurpicciu)tienile per te certe offese.
ecco dopo 71 anni vi ho fatto conoscere come veramente andarono i fatti
Onore a te Dante Scorpecci (Ciao Nonno )
Roberto Garbuglia