Abbassa la cresta
sennò te la taglio!

Il presunto “scandalo” della sforbiciatina all’istituto “Filippo Corridoni” di Civitanova e la ragione per cui è giusto schierarsi dalla parte della sforbiciante

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liuti-giancarlodi Giancarlo Liuti

  Va accolto con sollievo lo sgonfiarsi dello “scandalo” per la chioma crestata che un’insegnante di lettere dell’istituto “Filippo Corridoni” di Civitanova Alta avrebbe rasato – così s’era detto – a un quindicenne del second’anno di geometri (leggi l’articolo). Scandalo? Sì, all’inizio, con le lamentele di un genitore per lesa maestà crinita del proprio figliolo, con l’uscita pubblica di un noto psicoterapeuta che ha auspicato un intervento disciplinare del preside nei confronti della docente, col parere, codice alla mano, di un avvocato e con echi nelle cronache nazionali. Poi, via via, si è venuta delineando una realtà sostanzialmente diversa: nessuna rasatura, solo una sforbiciatina limitata a una ciocca, una “punizione” preannunciata, scherzosa e accolta dalle risa di tutta la classe, compresa, sembra, la “vittima”, che, mangiucchiando qualcosa, forse una merendina, si stava disinteressando alla lezione. Com’è finito questo ameno episodio? Con molteplici attestazioni di stima per la professoressa, da anni ritenuta valida sotto il profilo professionale e dotata di sensibilità umana nei rapporti con gli alunni. Vi saranno colpi di coda? Mi auguro di no. Anche perché qui si rischia di mettere in gioco un sacrosanto principio che nella confusissima e sbandatissima Italia di oggi sta perdendo terreno pure nella scuola: la differenza di ruolo fra chi ha il potere di guidare e chi ha il dovere di lasciarsi guidare. Un esempio terra terra? L’autista di un pullman e i passeggeri, che se fanno, come s’usa dire, “casino”, il viaggio finisce fuori strada. Ecco perché di fronte a questa sforbiciatina mi schiero dalla parte della sforbiciante.

  La cosa che tuttavia m’interessa di più riguarda le “creste” in sé, ossia quel modo di pettinarsi che consiste nella totale rasatura ai due lati del capo e, sopra, in una svettante striscia di ciuffi ben curati e resi solidi da generose dosi di gel, quasi a imitazione dei guerrieri Cheyenne, Apache o Sioux resi famosi dal cinema western. La maniera di acconciarsi i capelli ha avuto spesso una forte importanza simbolica. Si pensi ai “capelloni” del movimento giovanile degli anni Sessanta e Settanta, con quelle chiome lunghissime e trasandate che facevano parte di una ben più articolata contestazione dei  costumi borghesi. E si pensi alle “creste” che a partire dagli anni Novanta il fenomeno “punk” mise in circolo tramite l’aggressivo rock dei “Sex pistols”, le cui basi per così dire ideologiche erano provocatoriamente enunciate da Johnny Rotten: “Essere punk vuol dire essere un figlio di puttana che ha fatto del marciapiede il suo regno”. Sgradevole? Certo, ma espressivo di una radicale opposizione a uno stile di vita.

 Tutto è discutibile, ovviamente. Ma qual era il messaggio culturale e politico di quelle acconciature? Era di ribellione contro i valori anche estetici che persistevano nella società e ne perpetuavano il conformismo. E da quali modelli ideali traeva alimento? I “capelloni” dagli scritti e dalle canzoni degli ispiratori del Sessantotto come gli americani Kerouac, Corso , Ferlinghetti, Ginsberg, Bob Dylan e Joan Baez, le “creste” punk dalla dottrina anarcoide di quel Johnny Rotten di cui s’è detto. Sempre, in ogni caso, protesta. Una consapevole e militante protesta. E chi sono, oggigiorno, i modelli che inducono a farsi le “creste”? Sono “intellettuali” del calibro di Marek Hamsik del Napoli, Paul Pogba della Juve, Stephan el Shaarawi e Mario Balotelli del Milan, di cui francamente non si capisce cos’abbiano da protestare e contro che cosa si ribellino, vista la loro condizione di miliardari osannati da folle oceaniche. Non gli va bene questa società? Al contrario, gli va benissimo. La contestano? No, si augurano che duri, che rimanga com’è.

Nelle “creste” di oggi, insomma, non c’è alcun impeto sociale e civile che in qualche modo testimoni  una presa di coscienza individuale e al tempo stesso collettiva. C’è soltanto una piatta imitazione, c’è  soltanto la moda, quella futile moda che per la sua caducità Giacomo Leopardi definiva “sorella della morte”.  Mi pare un po’ poco, un po’ sciocco e, perfino, un po’ pericoloso. La sforbiciatrice del “Corridoni” di Civitanova ha sbagliato? Alcuni lo pensano, ma sono coloro – genitori, figli, sedicenti educatori – che si lasciano irretire da un andazzo nel quale la frivola sacralità della moda prevale sulla ben più seria sacralità della scuola e delle sue regole. E invece non c’è “cresta” che tenga, ragazzi! A scuola non ci andate per esibirvi ma per imparare a crescere dentro, nella mente e nel cuore, per formarvi un’idea del mondo, per predisporvi ad affrontare responsabilmente il futuro.

La parola “cresta” ha vari significati: appendice cutanea di color rosso vivo dei galli, ornamento di crine sulla cima dell’elmo, linea di massima altezza di una montagna, sommità spumeggiante di un’onda, la cresta sulla spesa, infezione agli organi genitali. Ma di significati ce n’è un altro: superbia, altezzosità.  “Abbassa la cresta!”, si dice a uno spavaldo. E se quella ciocca scherzosamente tagliata servirà a un’abbassatina di cresta, lasciatemi concludere che non mi dispiace.



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