di Carlo Cambi
Il Generale Cordoglio sta già lucidando le sue mostrine e le pattuglie della Pubblica Indignazione sono in allerta. Manca solo la Società di Solidarietà e il piano di emergenza è pronto a scattare. Mi occupo del caso Parima solo perché lo ritengo emblematico. Si dirà – ne sono certo – che io non ho particolare simpatia per il nostro Sindaco Romano Carancini. Posso assicurare: non è così. Anzi, provo per lui un misto di pietas e di rassegnata considerazione perché si trova a fronteggiare guasti che vengono da molto prima che si pigliasse l’onere, ma anche l’onore, di amministrare la città. E perché talvolta sembra trovarsi inconsapevolmente sulla sponda sbagliata finendo per diventare parte del problema invece che individuare la soluzione. Riferisco una chiacchiera da bar che però è – se vera – emblematica. Mi racconta una signora – è la madre del titolare di un negozio storico di Corso della Repubblica – che ha invano chiesto udienza al primo cittadino per mesi. Fin quando un incontro fortuito non l’ha fatta ritrovare faccia a faccia con il nostro Sindaco. E’ accaduto durante la giunta itinerante per le corsie dell’Ospedale. La signora ha esposto al Sindaco il suo punto di vista sul centro storico elencando il – purtroppo – consueto cahier de doleance: il centro è sporco, le botteghe chiudono, la città non ha attrattività. Carancini – pare – ha ascoltato rintuzzando le argomentazioni “popolari” della signora, che peraltro si esprime in un bel maceratese autentico, sostenendo che non è vero che il centro sia sporco, ma che anzi i turisti lodano la bellezza della città, che se i commercianti chiudono evidentemente non sanno fare il loro mestiere e che la città conserva un suo primato. E comunque lui ,Sindaco più che tanto non può fare. La signora di rimando ha fatto notare che a Treia, dove lei adesso vive, si può mangiare per terra tanto è pulito e che siccome va sovente a Tolentino lì i negozi prosperano e il giro d’affari non ha risentito oltremisura della crisi. Pare che il nostro Carancini, forse un po’ piccato anche per il fatto che Treia e Tolentino non sono della sua covata politica, abbia risposto alla signora: Bene se le cose stanno così dica a suo figlio di chiudere a Macerata e di aprire a Treia o a Tolentino. Non so dire se le cose siano andate davvero così, vorrei chiederlo a Carancini, ma avere udienza è complicato. Perciò diciamo che quanto riferisco è una libera interpretazione, ma forse rivelatrice di un retro pensiero. Che si è appalesato d’amblet nella crisi della Parima.
Domenica i dipendenti della Parima hanno trovato i cancelli chiusi (clicca sull’immagine per guardare il video)
Ha dettato alla stampa il nostro Sindaco (lo riporta con la consueta perizia qui su CM Filippo Ciccarelli) “Ho saputo tra sabato e domenica notte. Chiudere in questo modo violento è inaccettabile per la città e per i dipendenti. Le catene ai cancelli sono uno schiaffo ai dipendenti”. Per la verità anche il restauro mai finito ai Cancelli sono uno schiaffo ai residenti, ma questa è un’altra storia. A me quando ho letto la notizia della chiusura della Parima sono venute in mente altre considerazioni. La prima la piglio da Humprey Bogart e ne faccio una parafrasi. M’ immagino Carancini al telefono (chissà se poi li ha chiamati) con i proprietari e loro che allungano la cornetta e fanno udire il nulla, il silenzio, il deserto delle macchine ferme e gli rispondono: “E’ il mercato bellezza, e tu non puoi farci nulla!”.
Vengo invece alle riflessioni fattuali. E’ accaduto negli ultimi mesi che in centro storico abbiano aperto, oltre ad un laboratorio che è uno dei vanti di Macerata, due forni artigianali. C’è anche un altro locale che offre buon pane su per le scalette. Con uno di questi giovani fornai siccome sta attaccato a casa mia ho una certa consuetudine. Matteo è felice del suo lavoro e di come gli vanno le cose. Il suo microforno è in largo Affede un angolo dimenticato del centro storico. Ma fa la pizza buona, fa il pane di una volta e le cose marciano. E’ diventato, grazie alle sue birre artigianali, al pane fatto col lievito madre il punto di riferimento di tanti ragazzi. Con Fabio e le ragazze, Azzurra e Antonietta, del Doppiozero ci incontriamo spesso: anche loro che pure se la sudano sono abbastanza contenti di come gira il locale. Buon pane, ottimi dolci, proposte gastronomiche di livello e tanto impegno nel diffondere, con il sorriso, la cultura del buono. E mi dicono che anche l’altro forno artigianale – che non conosco e me ne scuso – che ha aperto funzioni bene. Poi ho con Giorgio Valentini mitico negozio in corso Garibaldi e forno invia Mozzi una frequentazione diuturna. Anche lui fa, svegliandosi con le stelle, e vende il suo ottimo pane e Marianna si è pure inventata le torte da cerimonia, decorate secondo la moda imperante del cooking design. Sono bellissime e buonissime.
Mi sono chiesto: ma com’è che la Parima chiude e invece questi forni marciano? E un’altra domanda: com’è che la Parima distribuendo nei supermercati e pure nei discount e praticando prezzi molto bassi del pane spranga (con violenza direbbe il Sindaco) i cancelli e invece questi artigiani che hanno un bacino d’utenza molto ristretto, che hanno necessariamente prezzi più alti vanno avanti – sia pure con pesantissimi sacrifici e tanta fatica – dignitosamente sul piano economico e felicemente sul piano della soddisfazione personale? E’ sufficiente il discrimine della qualità? Certo è una parte della spiegazione. Ma in tempi di crisi sarebbe logico immaginare che il prezzo faccia premio. Allora ho portato avanti una riflessione appena più ponderata. E sono arrivato a queste conclusioni. Vede signor Sindaco proprio in tempi di crisi il forno, il pane tornano ad essere il luogo dell’incontro e l’alimento essenziale. Vede Sindaco, forse i suoi uffici non gliel’hanno detto, ma i supermercati e i centri commerciali ora stentano perché le persone sono tornate a fare la spesa due, tre volte al giorno: comprano l’indispensabile, se possono lo vogliono buono, non possono e non vogliono sprecare. Vede Sindaco forse lei non lo sa – e forse lo ignorano anche i sindacati – ma il ciclo del pane industriale distribuito attraverso i supermercati fa sì che la merce invenduta venga ritirata e distrutta per tre motivi: il primo è perché lo impone la legge, il secondo perché stoccare il pane avrebbe un costo troppo alto per il supermercato, il terzo perché il pane fresco o supposto tale è usato come merce civetta e venderlo il giorno dopo richiederebbe di abbassare ulteriormente i prezzi. Ma al calare della domanda i forni industriali non possono adeguare la produzione perché le loro economie di scala – dato che i margini sono ridottissimi – sono tarate sulla produzione standard di certi quantitativi. Al di sotto si chiude. Ora però c’è da riflettere su quale città chi ha amministrato prima di Carancini ha immaginato.
E’ stata prodotta una Macerata massificata, si sono continuati a far aprire supermercati (e tutt’ora si continua a farlo), si è svuotato il centro dalla residenzialità, si è cercato di convincere gli elettori che questo era progresso. In realtà – basta studiarsi i bilanci – tutti sanno che i supermercati si aprono non per vendere le merci – almeno non in tempi come gli attuali con una drastica riduzione dei consumi – ma per generare cash flow e giustificare il vero affare che è quello edilizio. Su questa strada le giunte maceratesi degli ultimi trenta anni hanno proceduto spedite, su questa strada la giunta Carancini ha corso più degli altri. Peccato che la realtà sia un’altra. E cioè che la gente il pane lo compra misurato, lo vuole buono, e magari se avanza non lo butta più. Solo che quello del forno artigianale è prodotto per durare, quello industriale è prodotto per apparire. E vede, Sindaco, questa parabola del pane si presta anche a spiegarle perché ci teniamo tanto a che il centro storico sia valorizzato, ripopolato, torni ad essere il luogo dell’identità della città. E perché insistiamo nel dire che la perdita di centralità di Macerata nel contesto provinciale risiede nel fatto che avendo perduto Macerata il suo centro non può pensare di esercitare forza centripeta rispetto al territorio. Faccio solo un inciso. Se la direzione Inali di Macerata sarà declassata è un effetto non una causa di tutto questo.
Non aver immaginato per Macerata una vocazione anche produttiva, averla voluta terziarizzare al ribasso (questo è l’apertura dei centri commerciali: non è un’economia di servizio a valore aggiunto, è un’economia a sottrazione di valore come dimostra il fatto che quando il negoziante produce bene e mantiene la sua funzione anche di relazione sociale – è il caso dei forni – la massificazione non morde), non aver avuto un modello di sviluppo armonico della città, aver puntato solo sull’edilizia che ha consumato suolo senza aggiungere nessun valore, neppure architettonico, alla città, ma anzi determinandone lo smottamento a valle sempre in quella logica di massificazione che ora presenta il conto, fa sì che l’Inail non serva in una logica – indispensabile – di risparmio di spesa. Vede signor Sindaco la crisi della Parima – al di là dei modi – nella sostanza è un’accusa precisa al vuoto progettuale che c’è sulla città come sistema economico, è la sanzione dell’incapacità di chi ha governato e governa Macerata di immaginare il ruolo della città, di ascoltarne le vocazioni e su queste costruire il valore della città. Vede signor Sindaco se la Parima chiude e i forni restano aperti significa che insistere sulla riqualificazione del centro storico non è la semplice battaglia di un pugno di residenti e di qualche commerciante. No, è la disperata richiesta che sul futuro di Macerata si apra un serio confronto, ma è anche la prova – ora provata – che un modello di sviluppo alternativo e più armonico è possibile. Vede Sindaco ora avremo il problema di ridare occupazione ai lavoratori della Parima. Si punterà alla cassa integrazione, poi ci sarà il solito rituale sindacal-assistenziale e alla fine ci chiederemo, noi attoniti i lavoratori giustamente disperati, che fare? Per esempio riportare la gente in centro in modo che chieda pane buono e in modo che quei forni diventino botteghe dove riallocare una parte del personale della Parima. Certo detta così è una semplificazione estrema, ma è per capirsi. Perché vede Sindaco ciò che accade alla Parima, tra l’altro uno dei pochissimi siti produttivi che erano rimasti in prossimità della città, accadrà per molti altri casi. La crisi, questa crisi non può più essere governata sull’onda dell’emergenza. Serve uno scatto in avanti, serve una nuova progettazione della città intesa come corpo vivo e non solo come ammasso di spazi e di mattoni. Il seminario di Symbola che pure Macerata per un suo pezzetto ha ospitato doveva indurre a una riflessione: siamo sicuri che il nostro modello non si arrivato al capolinea? Ecco signor Sindaco ho come l’impressione che avendo gestito l’esistente, avendo non progettato il futuro della città il mercato abbia risposto a questa miopia pan per focaccia. O forse semplicemente la Parima ha aderito al suo consiglio: se n’ è andata altrove!
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Forse l’articolo avrebbe dovuto avere un altro titolo, perchè poco parla del pane della Parima e moltissimo del Centro di Macerata. Io dico due cose: da anni non mangiavo più pane Parima perchè immangiabile purtroppo , quindi loro ci hanno costretti a cambiare forno (o fornitori al supermercato) con la logica conseguenza della chiusura per calo di vendite.
In merito alla Centro Storico, al di là delle librerie e di qualche bar, sono rimasti pochissimi negozi di abbigliamento: posso pensare di andarci 1 o 2 volte al mese, ma non ne sento il bisogno di una maggiore frequenza e presenza. Non faccio nomi del commerciante, ma questi mi predisse negli anni novanta lo svuotamento dei negozi del Centro per mancanza di ricambio generazionale: suo figlio stava bene (1 e 2 casa) per cui preferì andare a fare l’impiegato , tra l’altro aveva i sabati e le domeniche libere……..
Altro caso su cui riflettere: c’è un negozio di generi alimentari molto spesso affollato in centro, con prodotti a prezzi equi e di qualità: com’è che persone della periferia come me vanno lì a fare acquisti?
A Macerata siamo bravi a criticare, ma le proposte dove sono: aprire il Centro Storico alle macchine e poi dove le parcheggiamo? Pulire di più le strade, bene! Poi, che altro si propone?
A me l’articolo mi sembra geniale! Complimenti all’autore, condivido pienamente!!!
Cambi numero 1!!!! Cmq è miope questa città e i suoi cittadini, mal’oculista non basta… tocca mandalli a casa noi alle prossime elezioni!!!
Dalla cucina ad ogni altro argomento!!!! Ma non è ora che Cambi?
Scusate se torno a scrivere. Devo dirmi amareggiato, perchè l’Autore dell’articolo ha proposto un suo tema, io ho provato a fare una minima critica, ma dopo qualche ora trovo tre risposte conteneti solo slogan ma nessuna argomentazione. E poi ci lamentiamo dei nostri politici? Forse rappresentano degnamente quelli che siamo o forse a nessuno interessa l’argomento? Che tristezza, meglio parlare della Maceratese!!!!!!
Er pane è bbono co… diceva er sor Aldo
Senza cità Bruschetta e Panzanella,
è bono in ogni tipo de’ spuntino,
a comincià dar classico crostino
fatto co’ buro, alice e mozzarella.
È bono cor guanciale a Panontella,
co’ le noce, co’ l’uva, intinto ar vino,
cor miele, co’ la fava e’r pecorino,
e indorato co’r buro a la padella.
È bono ne’r caffè, co’ la ricotta,
co’r gelato, l’aranci in insalata,
co’r prosciutto, li fichi e la caciotta.
Co’ tonno e cipolletta, co’r salame,
co’ le castagne, co’ la cioccolata,
ma soprattutto è bono co’ la fame.
Complimenti a Cambi per il documentato ed originale articolo che, come maceratesi, può arricchirci se ed in quanto saremo capaci di leggerlo con un sereno spirito autocritico. Infatti, le illuminate considerazioni di Cambi ci consentono di “guardarci” con occhi diversi. La verità è una soltanto: stiamo raccogliendo i frutti avvelenati del quarantennio ciaffiano e del ventennio di governi di marca centrosinistra. Purtroppo i maceratesi hanno davvero poco da lamentarsi; come diceva Cocciante: “era già tutto previsto”!
Noi a Corridonia abbiamo pane artigianale. Tanto per citare il più antico forno: se mangi una sola volta il pane di Marinozzi, poi non mangi più quello della Parima.
Dopo questa opinione ne dico un’altra: la situazione di Macerata se la sono creata i maceratesi. Sono nella cacca… Cosa dovrebbe fare un maceratese serio? Mettersi davanti ad uno specchio, guardare la sua immagine riflessa, puntare la pistola esattamente alla tempia e fare fuoco: bum!
Andiamo sulla realtà: prima o poi iniziera la violenza della gente incazzata e senza speranza. Già hanno cominciato a menarsi due consiglieri in consiglio. Magari in futuro saliranno in Comune i cittadini incazzati e meneranno tutti i consiglieri direttamente in consiglio comunale…
Che ne dite? Non vi piace? Neanche a me. Solo che io ho una pensione da bancario, mentre i buttati sul lastrico della Parima hanno solo la possibilità di mangiarsi le budella.
Un giornale oggi scriveva che i nostri parlamentari sono i più pagati d’Europa con 16 mila euro al mese. La terza carica dello Stato, ossia la Boldrini, prende qualcosa in più… Quando si interessava dei rifugiati guadagnava 8 mila euro al mese, alberghi, vitto, viaggi pagati. Ah, quanto è bello fare la morale della solidarietà ai cittadini con la pancia piena. A Sinistra hanno la bocca e quindi magnano come tutti gli altri.
Poiché la Boldrini verrà allo Sferisterio, gli ex-dipendenti della Parima aspettino la terza carica dello Stato al varco e, raccontandole le loro ambasce, le facciano fare un piantarello, come Porto Civitanova.
articolo lucido e condivisibile. siamo sempre alle solite, hai voglia a rimpiangere i centri storici pieni di vita e di botteghe: tra impedimenti intrinseci di logisitica (nel ‘400 non ci si muoveva con il SUV) e di burocrazia la situazione di Macerata è condivisa da molti altri centri storici in giro per lo Stivale. E poi dobbiamo metterci d’accordo, per la vulgata odierna le piccole imprese sono un ricettacolo di evasione e scarso rispetto delle regole da stangare con controlli a tutte le ore…sarà il caso di riconoscere ai piccoli e medi imprenditori un ruolo centrale nella vita di questo paese invece di additarli come origine di tutti i mali?
Il Prof. Carlo Cambi ha proprio ragione. La sua analisi non può non essere condivisa!
E’ vero: la città non ha un progetto. O meglio chi amministra la città, compresa l’opposizione, non ha un progetto di recupero e di valorizzazione del centro storico. Non si è compreso che nel centro storico è imperniato il rapporto inscindibile tra civitas e urbs.
Il centro storico deve essere concepito e riconosciuto innanzitutto come un luogo in cui si abita e si vive e come un bene culturale e un bene economico che la società contemporanea deve conservare e tramandare a quella futura in quanto manufatto complesso che rappresenta nella propria fisicità la storia di una società locale, la sua provenienza dal tempo, una diffusa autenticità, in un certo senso un controspazio positivo della città contemporanea, che stenta a trovare la capacità di costruire un ambiente propizio alla vita sociale ed organizzata.
Il recupero e la valorizzazione della città storica necessita di un progetto pubblico, un progetto condiviso inteso come una forma d’azione mirata a uno scopo, che si realizza come processo cooperativo tra differenti attori della città (abitanti, comune, università, diocesi, commercianti ed artigiani, associazioni di categoria, associazioni di volontariato, ecc.), un progetto che non può essere indirizzato soltanto sullo spazio fisico, ma sulla società e l’economia attraverso interventi orientati prioritariamente al recupero della residenza e alla ri-costruzione di spazi – anche micro – di socialità e di imprenditorialità.
….. è illuminante la metafora del pane nel Convivio di Dante:“…quello pane orzato del quale si satolleranno migliaia, e a me ne soperchieranno le sporte piene. Questo sarà luce nuova, sole nuovo, lo quale surgerà là dove l’usato tramonterà, e darà lume a coloro che sono in tenebre e in oscuritade per lo usato sole che a loro non luce.”
Che tristezza!!! L’ennesimo dibattito politico tra opposte fazioni con tanto di fans, sulla pelle di 21 povere famiglie messe in mezzo alla strada da un giorno all’altro. Quoto Lapponi, l’articolo è completamente fuori tema. Ci sarà stata anche una diminuzione dei consumi, ma il pane che oggi troviamo sui banchi dei supermercati non proviene dal centro storico, ma da altri siti della stessa proprietà. Si può parlare degli aspetti industriali, qualitativi, di marketing ecc. Primo, facciamolo fare a chi ha messo piede almeno una volta in un’azienda. Perchè la Parima era un’azienda e non si può mettere a confronto con una bottega artigianale. Secondo, ci sono state carenze da parte della Parima negli ultimi 20 anni, ma il problema dell’improvvisa chiusura non è legato a questo. Quando si fa impresa oltre alle problematiche legali e sindacali ci sono quelle etiche che ogni imprenditore ha nei confronti dei propri dipendenti. E la proprietà ha dimostrato un bassissimo livello morale. Questo è il vero problema di questa vicenda.
https://www.cronachemaceratesi.it/2013/06/18/i-grillini-fuoriusciti-il-problema-del-centro-storico-e-la-classe-politica/340176/
Devo dire che in linea di massima l’autore dell’articolo ha fatto una reale fotografia della situazione e quindi l’articolo lo condivido pienamente.
La soluzione per Macerata? Sintetizzo in un’unica parola (la faccio semplice) ARTIGIANALITA’.
Credo che Macerata e l’Italia tutta può emergere se e solo se riscopriamo quello che sanno fare gli Italiani cioè l’artigiano. Il prodotto artigianale è arte. Il forno di Matteo (un mio coetaneo di studi) è buono perché è stato fatto con passione, perché è artigianale. Ogni pagnotta è un’opera d’arte e il consumatore l’apprezza. Tutti i prodotti industriali per essere venduti danno margini di profitto ridotti perché il costo deve essere minimo e quindi a discapito della qualità (lo impone la concorrenza).
Quindi se la Parima ha chiuso è normale, perché in Italia i costi di produzione, le tasse, ….., incidono profondamente. Solo i prodotti unici che sanno “solleticare” il piacere del consumatore avranno successo.
Ecco perché credo che si debbano rispolverare i vecchi mestieri coadiuvati dalle più sofisticate innovazioni.
Quello che deve fare il settore pubblico è incentivare queste forme di lavoro, mettendo a disposizione laboratori, istruttori adeguati e ogni eventuale forma di aiuto che nel lungo periodo ripagherà l’investimento. Si deve ricostruire la mentalità di una volta (basta con l’usa e getta, non è più sostenibile in tutti i sensi).
Allora potrete immaginare una Macerata con le sue botteghe di eccellenza e perché no magari proprio nel centro storico.
Ma servono fatti non chiacchiere.