Che il bene sia meglio del male è un’ovvietà, ci mancherebbe altro. Ma in ogni male c’è sempre qualcosa di meno male o perfino di bene, qualcosa che non va ignorato né disprezzato perché può aiutarci a combatterlo, il male, e accendere in noi la speranza di venirne fuori. Altrimenti ci si chiude in una cupa e rabbiosa rassegnazione che impedisce qualsiasi passo avanti lungo la pur difficile via di un possibile miglioramento. Si prenda la politica, che oggi la gran parte della gente considera il male assoluto. Intendiamoci, sarebbe sciocco negare che la cattiva politica ci sia stata e potrebbe esserci ancora. Ma è un errore negare l’evidenza di alcuni segnali positivi che ultimamente sono giunti proprio dall’interno della stessa politica. Solo effimere scintille? No. La nomina di Piero Grasso e di Laura Boldrini a presidenti delle due Camere, ad esempio, è ben più di una scintilla, come lo è il fatto che dalle elezioni sia uscito un Parlamento molto più giovane e con molte più donne dei precedenti, come lo è il nuovo ministro all’integrazione Cécil Kyenge, un’italiana di origini congolesi, e come lo è il varo di un governo di temporanea solidarietà fra forze ritenute incompatibili. E incompatibili lo sono davvero, ma il dramma della crisi economica e sociale che sta facendo pagare un prezzo così alto a milioni e milioni di persone ha imposto (come altre volte in passato: il dopoguerra, la Costituzione, le “larghe intese” negli “anni di piombo”) lo sforzo, diciamo pure il sacrificio, di una coesione per certi versi innaturale.
Durerà il governo di Enrico Letta? Ce la farà – e per quanto tempo? – a realizzare le ardue misure del suo programma? Il futuro è nel grembo degli dei. Già non mancano scricchiolii, frutto di rischiosi calcoli di potere ma soprattutto del fatto che contro il gravissimo male della crisi economica nessuno può vantarsi di possedere bacchette magiche. Ma perché ostinarci a non sperare? Perché non vedere quelle magari deboli luci che pure ci sono? L’ha detto anche Papa Francesco: più l’ostacolo è grande, più occorre la speranza – “spes ultima dea” – di poterlo superare. Altrimenti se ne rimane inesorabilmente schiacciati. La speranza, già, che accanto alla fede e alla carità è una delle tre fondamentali virtù del vero cristiano (ma quanti ce ne sono ancora, di veri cristiani?).
La crisi economica e sociale non l’ha provocata l’Italia, anche se l’Italia ne è vittima più di altri Paesi occidentali a causa dell’enormità del suo debito pubblico e dell’inadeguatezza, specie fino a quel fatidico novembre 2011, delle politiche di governo. Ma la storia dimostra che le crisi – quella del 1929 fu tremenda – hanno un inizio e una fine, e adesso, dopo anni di stasi e di recessione, non mancano segnali di una pur lenta uscita dal tunnel, come il buon andamento dell’occupazione negli Usa (la crisi, non dimentichiamolo, è partita proprio dagli Usa), l’approssimarsi di una politica europea meno bloccata sul rigore finanziario e più aperta alla crescita, la tenuta delle borse e il vistoso calo, da noi, dello “spread”.
Il buio, intendiamoci, resta. E ne fanno fede i dati statistici riguardanti la mancanza di lavoro, la disoccupazione giovanile, l’assottigliarsi del reddito delle famiglie, la chiusura di aziende e l’allargamento dell’area della povertà. Dati diffusi quotidianamente e insistentemente dall’informazione televisiva e cartacea. Dati che rappresentano la realtà oggettiva di un Paese allo stremo. Ma che pure in Italia, nonostante tutto, cominci a farsi strada una pur vaga speranza lo dimostra l’indice Istat sul clima di fiducia dei consumatori, che nell’ultimo mese è salito di un punto rispetto al mese precedente, con giudizi e attese sulla situazione generale che migliorano, i primi di undici punti e le seconde di nove. Non è un dato anche questo? Le scintille, insomma, ci sono. E, se alimentate dal sentimento comune, possono accendere fuochi. E lasciarsi sopraffare da stati d’animo di un catastrofismo totale e rabbiosamente rassegnato non fa altro che indurre alla resa.
Venendo a Macerata non si può non definire pessima quella politica che per tre anni, subito dopo l’elezione a sindaco di Romano Carancini, vincitore di due primarie e infine premiato dal voto popolare, ha cercato di logorarlo – senza però avere il coraggio civile di sfiduciarlo e di tornare alle urne – con insidie provenienti sia dalla sua coalizione sia dal suo stesso partito, il Pd. Inutile, ora, tornare sulle reciproche ragioni e sui reciproci torti di uno stato di cose che comunque è assurdo perché proclamare ogni volta il sostegno al sindaco e ogni volta contestarne le scelte è la più pessima – perdonate lo sfondone grammaticale – delle politiche. Anche qui, tuttavia, dal male è sprizzata in extremis una scintilla forse di bene: l’ingresso in giunta di Narciso Ricotta, l’ex capogruppo consiliare del Pd che Carancini ha definito “la mia spina nel fianco” e che adesso, col suo seguito, può trasformarsi, chissà, in un “fiore all’occhiello” dell’esecutivo comunale. Illusione? Può darsi. Nel Pd ci sono i margheritiani, i bersaniani, i meschiniani e, neonati, pure i renziani, dai quali si mormora che possano giungere altre “spine nel fianco” capaci di far precocemente appassire i “fiori all’occhiello” (il vero problema, forse, è la mancanza di “maceratiani”, cioè di coloro che badino esclusivamente agli interessi della città). Vedremo. Ma continuare a pensare, imperterriti, che nulla è cambiato, e la politica cittadina resta pessima come prima, e non vi sono tentativi di migliorarla, e limitarsi al muggito del “tutti a casa!” significa spegnere a priori ogni speranza che la città abbia finalmente un governo più stabile ed efficiente.
Un altro tema: l’immigrazione, che la maggioranza della pubblica opinione considera un male e non si può negare che gli effetti della crisi economica comincino a renderlo tale, giacché gli immigrati sono la fascia sociale più debole e alcune fasce di maceratesi autoctoni si vanno sempre più indebolendo e ben si conoscono le conseguenze perniciosissime delle guerre tra poveri. Magari si dimentica che quando l’edilizia tirava, le sue risorse provenivano in gran parte dal lavoro degli immigrati. E magari si sorvola sulla circostanza diciamo “fisiologica” che nella cosiddetta gente comune serpeggiano sentimenti xenofobi talvolta contigui al razzismo. Non a caso è bastato che a Macerata, nella zona di Corso Cairoli, siano state notate alcune giovani donne di colore forse prostitute e subito è scoppiato lo scandalo, come se in questa “Città di Maria” le prostitute non ci siano mai state (già negli anni cinquanta ce n’erano quattro o cinque, e giravano, e distribuivano sorrisi adescatori, ma quelle erano bianche di pelle, e la “Città di Maria” non se ne indignava). Dopodiché, sull’onda della protesta popolare (si è parlato di racket in mano alla delinquenza organizzata, di pulmini facenti la spola con le zone rivierasche, di pur improbabili tariffe da dieci euro (!) in linea col sistema delle offerte speciali da supermercato, senza dire, tuttavia, in che luogo, poi, quegli amplessi a pagamento venissero consumati, se nei loschi pulmini in sosta davanti alla stazione o anche, in pieno giorno, sotto il loggiato dello Sferisterio), la questura ha effettuato controlli, da cui è risultato che si trattava di quattro nigeriane, tre con regolare permesso di soggiorno e domiciliate in via Pace, e una in corso Cairoli e senza permesso, per cui ne è stata disposta l’espulsione. Tutto qui.
Ma ecco che anche sul problema dell’immigrazione – e un problema, sia chiaro, lo è – non mancano luci, stavolta ufficiali e incontestabili. Luci, intendo dire, che lo rendono meno identificabile in un male assoluto di quanto comunemente si creda e si tema. Mi riferisco ai dati del censimento del 2011 che sono stati resi pubblici il mese scorso, dati dai quali risulta che gli immigrati extracomunitari sono, in tutta la provincia, 32.314, pari al 10,1% della popolazione totale. Non pochi, visto che il Maceratese è, in questo, al diciottesimo posto fra le centodieci province italiane (ma stiamo fra le prime dieci in fatto di qualità della vita, e questa è pur sempre una luce). Poi ci sono i clandestini, che ovviamente non possono essere censiti. Quanti sono? Mistero. Un’approssimativa valutazione a livello nazionale li stima intorno al 20% degli immigrati, vale a dire uno su cinque. Non so in base a quale calcolo suo personale un commentatore di Cm ha affermato che a lui ne risultano, nel Maceratese, almeno trentamila, il che raddoppierebbe (sic!) il totale degli immigrati. Ma lasciamo perdere e rimaniamo sui fatti. Dove stanno, dunque, le luci? Stanno che di questi 32.314 censiti (ma dentro ci sono anche ottomila minorenni e migliaia di casalinghe) ben 23.250 presentano la dichiarazione dei redditi e ben 14.242 versano i contributi all’Inps, mentre 3.967 sono imprenditori regolarmente iscritti alla Camera di commercio. Rispetto al censimento precedente, quello del 2001, il numero degli immigrati è certo aumentato, ma, censimenti a parte, la crisi si fa sentire pure per loro e dai dati locali del 2012 essi risultano diminuiti di alcune migliaia. Mi ripeto la domanda: dove stanno le luci? Stanno nel fatto che in tema di regolarità fiscale e contributiva gli immigrati si comportano più o meno come gli italiani purosangue, ossia come la nostra tanto decantata società civile. Ci sono i clandestini, d’accordo. Ma i nostri evasori non sono anch’essi dei clandestini?
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Considerazioni condivisibili le Sue sig. Liuti ed in linea con quanto auspicato dall’Assessore Stefania Monteverde in un recente intervento su Emmaus, nel quale invitava i cittadini a non utilizzare il web per fagocitare la rabbia contro i politici e la politica.
Però da chi governa ci si deve aspettare oltre l’autoincensamento per le buone iniziative (ad es. la stagione lirica, il wi-fi free, la rete teatri) anche l’autocritica per le grosse occasioni perse (il mancato accordo Smea dovuto ai compensi ingiustificati dei dirigenti, la sanzione tariffaria del Consmari gestita con ricorsi giudiziari respinti anziché con l’invocata transazione, le nomine partitocratiche alle municipalizzate e consorziate).
Piuttosto che riconoscere gli errori e lo stallo dell’attività di governo, a due anni dalla scadenza del mandato, ci viene propinato un improbabile programma faraonico di 7, 10, 12 punti, che suona come una campagna elettorale senza elezioni…e’ forse questa una scintilla in grado di accendere una speranza?
Condivisibile, oggettivo e molto equilibrato il suo articolo, soprattutto in alcuni aspetti. L’unica cosa che non condivido è il discorso sulla “novità”. Vede, per me la novità non la fa l’età anagrafica, né il sesso, anzi il “conteggio” sul numero delle donne da accreditare a questo o a quel governo, come donna, mi umilia più che gratificarmi. La novità dovrebbe farla le idee al passo con i tempi, la concezione della partecipazione politica, non come mostra di se, del proprio nome o appartenenza a questa o a quella squadra, ma come servizio nei confronti dei più deboli, non solo a parole ma con i fatti, l’educazione e la propensione a giudicare i politici tutti, e gli uomini in generale, per le loro azioni concrete e non in base al partito di appartenenza. Utopia? forse. Mi consola pensare che la storia non l’hanno fatta mai i mediocri, ma gli utopisti,” i pazzi” e i santi.
Articolo condivisibile, ma consiglio di andare a vedere su You tube gli articoli di Paolo Barnard ed in particolare quello intitolato “Perchè le elezioni sono solo una farsa” per capire che c’è ben altro della cattiva politica. E quello che troverete lascia l’amaro in bocca e poco spazio per la speranza .
Eliana Leoni Marcelletti
L’opinione di Nanà.
L’oggetto principale delle rappresentazioni teatrali che ho avuto modo di vedere in oriente è rivolto verso “l’eterna lotta tra il bene ed il male”. Ed in questa perenne lotta, quella millenaria cultura, ci insegna come più spesso di quanto pensiamo o vogliamo, dal male può nascere il bene e dal bene, purtroppo, anche il male.
Senza scomodare la religione, che di esempi al riguardo ne ha di innumerevoli, come non citare l’ineluttabile destino al quale sembrano essere inevitabilmente destinati i promessi sposi, prima dell’imprevedibile conversione del brutale innominato. Quello splendido romanzo, tra i più amati/odiati dagli italiani, che trasuda di “provvidenza”.
Oggi si tende a confonderla con la fortuna, ma sono totalmente differenti. La fortuna è random, colpisce a caso, …la provvidenza no.
La provvidenza provvede, arriva quanto meno te l’aspetti, e va a braccetto con la fede, …la fiducia, …la speranza.
Una delle prime frasi che resteranno nella storia di Papa Francesco è stata “Per favore, non lasciatevi togliere la speranza!”.
Se si ha la speranza e la fiducia, prima o poi arriva anche la provvidenza.
Caro Liuti, grazie per averci dato la possibilità di riflettere su quel piccolo passo che, anche se impercettibile rispetto al buio del momento, la società sta facendo in avanti.
tutte parole…promesse non vere…
E quale occasione migliore, per allenarsi a superare gli ostacoli e per rinnovare le proprie scorte di speranza, che la lettura settimanale di un’omelia del Liuti sul migliore dei mondi possibile?!
Sono pienamente d’accordo con Liuti, e sono contrario ad ogni forma di violenza sui politici. Infatti, sono un pensionato della Banca d’IItalia e ragiono così perchè ogni mese percepisco una cifra che mi fa stare tranquillo…
Ma, se le casse dell’Inps si seccassero ed io, consumati i risparmi e svenduto l’oro di famiglia (che non ho), dovessi cominciare a morire di fare, come molti, cosa farei? Mi sparerei una revolverata? Oppure, andrei in un qualsiasi consesso istituzionale o politico a scaricare il caricatore e la rabbia contro la causa dei miei guai, ossia la Casta politica e amministrativa?
Qui si stanno esprimendo pensieri pii e teorie etiche. Si sono pure evocati “anni di piombo”… Sì, ma erano tempi di piombo “ideologico” tra gente con la pancia piena, non di piombo “affamato” di giustizia e di lavoro come potrebbe essere quello di oggi.
Avete letto i commenti contro l’attentatore di Roma? Erano principalmente contro l’attentato ai Carabinieri. Se avesse, invece, colpito il politico, chiunque fosse stato, l’applauso sarebbe salito alle stelle.
Ancora in Italia non si è capito che siamo alla frutta e che la Casta politica è su di una polveriera. Non lo hanno capito i vertici del centrosinistra maceratese che ancora vanno avanti con otto assessori, di cui quattro non farebbero un cazzo di lavoro, stando a ciò che si dice in giro. E a Roma?
A Roma, un Presidente della Repubblica inventa un governo tecnico con un professore della Bocconi che ha ottenuto un fallimento e quindi “basse statistiche di produzione”. Oggi il Preseidente ha permesso la formazione di un nuovo governo di emergenza, mettendo insieme i cocci di partiti che hanno ottenuto elettoralmente “basse statistiche di produzione”, con la speranza – ultima dea – che risolveranno la situazione e porteranno l’Italia ad “alte statistiche di produzione”. Non sa, il tapino, che quando vengono premiate le “basse statistiche di produzione” si continuerà ad ottenere “basse statistiche di produzione”?
Caro Liuti, la gente ne ha piene le balle delle promesse, delle paure, delle esortazioni. Mentre qui i pensionati italiani prendono 300, 400, 500 euro mensili, l’idiozia di un governo con a capo un socialista creò la legge Amato 2000, n. 388, divenuta operante nel 2001, che regalava ai sessantacinquenni extracomunitari 395,60 euro di assegno siciale, più 194,90 euro di importo aggiuntivo. Ossia, 550,50 euro mensili e per 13 mensilità, onde farli ricongiungere con i figli che lavoravano in Italia. Generalmente, accadeva, e accade, che i vecchi, dopo un po’, se ne ritornavano in patria ed erano i figli a riscuotere la pensione, se per spedirla al genitore o meno, non sappiamo.
E le anime candide che ruotavano intorno alla Caritas, che si adoperavano per fare sposare i giovani nigeriani con le italiane, per poi dopo sei mesi farli divorziare, pur di fare ottenere ai nigeriani la cittadinanza italiana? E quando non si riusciva a trovare la pia donna, allora si chiedevano 12 mila euro per fare sposare il giovane nigeriano con una prostituta, di solito romana.
Capisco che è meno impegnativo per la nostra sensibiltà interessarsi del “bovero negro”, che della nostra gente indigente. Che costa meno dare 1 euro al giovane nigeriano ben vestito dalla Caritas, ben pasciuto e con telefonino all’orecchio che ti chiede col cappello in mano, elencando “babbo, mama, Gesù, Madonna”, con corredo di rosario al collo. E’ certamente più restimolativo interessarsi dei nostri concittadini – ieri fascisti, democristiani, socialisti e comunisti – che degli Africani sfruttati dai colonialisti. Solo perchè non si sa, o non si vuol sapere, che erano gli Africani a procurare agli schiavisti altri Africani, da portare nel Nuovo Mondo.
In questo articolo viene citata il nuovo ministro Cécil Kyenge, italo congolese. La solita mentalità mondialista, multiculturalista, eccetera della Sinistra, per darsi un tono di mentalità avanguardista…
Intanto, la giovane Cécil si è guadagnata duramente con lo studio la sua laurea in un Paese non ostile, ma ipocrita. Il neo ministro ha nervi d’acciaio e grinta ed è una pena vederla in mezzo ad un certo numero di “impresentabili”.
Che la Kyenge sia italiana non lo metto in dubbio, ma congolese no. Non esiste il Congo, nè lo Zaire, né come nazione, né come patria comune. Il Congo è una espressione geografica creata dai colonialisti belgi, che gli imperialisti e le multinazionali vogliono mantenere unito con bagni di sangue, grazie ai loro servitori neri della zona, astuti e criminali.
La Cécil Kyenge è una mukunda della tribù dei Bakunda, stanziale del Katanga. Le trecendo tribù congolesi sono diversissime tra di loro per lingua, cultura, religione, rituali tribali, eccetera. Hanno in comune il “lingala”, la lingua parlata lungo il fiume Congo e lo swahili, che si parla della Somalia alla Nigeria. L’ex-Congo Belga si potrebbe dividere comodamente il cinque-sei Stati, accorpando zone tribali il più omogene tra loro. Che c’entra con le tribù del Katanga, la tribù dei Bajakà? Per il resto – mi chiedo – i parenti della Kyenge, parteggiavano per i Simba assassini, foraggiati dalla Cina maoista e dai paesi dell’Est ed addestrati dai castristi con a capo il noto Che Guevara? Oppure, combattevano con le truppe katanghesi e con i mercenarei del 5° Commando sudafricano contro i criminali Simba?
Per terminare: la situazione italiana ce la siamo creata noi e noi ce la risolveremo. Spero in forma democratica, se i politici capiranno che l’epoca del bengodi è finita, divenendo etici e saggi. Oppure, la risolveremo in qualche altro modo…
per avere speranza occorre un governo che funzioni e non le chiacchiere!!
Ragazzi, non perdiamo la speranza. Ad un vecchio compagno del PCI che mi ha detto che vorrebbe strappare la tessera del PD ho consigliato di ripensarci. Nel PD ci sono nuove persone che vengono avanti: Fabrizio Barca, Pippo Civati e altri. Sosteniamoli ad affermarsi per cambiare. Oppure, rimaniamo con 5 Stelle, a patto che iniziano a poco a poco ad allontanarsi dalla “badante” Grillo.
La speranza senza certezze oggi e una follia.. e come pretendere di avere un campo grano senza aver seminato… L’economia funziona uguale siamo caduti troppo in basso hanno demolito tutta l’economia locale e non si fa nulla per salvaguardarla e come si fa ad avere speranza..La verità e che siamo schiavi delle multi nazionali che ci vedono come acquirenti fino a sfinirci senza speranza.
Liuti chi vive sperando, muore… ci voglio investimenti, tagli alla politica e rilancio dell’economia!!! Le chiacchiere so anche troppe…
L’istituto Prometeia nel suo rapporto “Uno sguardo al 2020″ annuncia che il nostro Paese non uscirà presto dalla crisi. Nel 2020 il Pil italiano “sarà ancora inferiore ai valori pre-crisi (fine Anni ’90) di circa il 2%”. Secondo le stime dell’istituto tra il 2015 e il 2020 il tasso di crescita medio dell’Italia si attesterà intorno all’1,1%., in linea con il periodo 2000-2005. Ciò significa che non basteranno 14 anni per recuperare i livelli di crescita perduti: il doppio di quanto, negli Anni ’90, impiegò la Finlandia, più del triplo di quanto impiegò la Svezia. Sempre secondo il Rapporto di Prometeia, il Pil italiano “tornerà a crescere dall’ultimo trimestre di quest’anno, ma sarà solo nella seconda metà del 2014 che tutte le componenti di domanda si riporteranno su tassi di crescita positivi”. Pertanto l’Italia non uscirà dalla recessione prima del secondo semestre del 2014.