L’azienda chiude, dipendenti a casa
“Mi sento inutile per la società”

EMERGENZA LAVORO - Da oggi CM ospita le testimonianze di chi vive il dramma della disoccupazione. Paolo Mengascini era un dipendente della Sialp di Porto Recanati, che dava impiego a 49 persone. A cinquantotto anni si è trovato a dover cercare nuovamente un'occupazione, tra le difficoltà della crisi e una famiglia sulle spalle

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sos_lavorodi Filippo Ciccarelli

L’Italia è notoriamente il Paese delle emergenze e dei dissesti; da quelli delle finanze pubbliche, con il debito estero tricolore che è il sesto più alto al mondo, a quelli idrogeologici che sorgono dopo una precipitazione più violenta delle altre. Ma alle malattie croniche del Bel Paese se n’è aggiunta una più grave: quella del lavoro che non si trova più, che fugge oltre confine, che è sempre più incerto. Le statistiche illustrano alti tassi di disoccupazione, con punte astronomiche per quanto riguarda il dato dei giovani, arrivato oltre quota 37% a gennaio: un quadro drammatico anche nella provincia di Macerata, come ha illustrato nei giorni scorsi Marco Ferracuti, segretario della Cisl (leggi l’articolo). Ma i numeri non raccontano tutto quello che c’è dietro alla perdita del posto di lavoro. Lo sgomento, la paura, la perdita delle certezze si sommano all’angoscia per il futuro, dove programmare la propria vita diventa molto difficile.

Cronache Maceratesi ha deciso di ospitare le testimonianze di chi è alle prese con il dramma del licenziamento, della disoccupazione e della perdita di quelle certezze e riferimenti legati al posto di lavoro. Paolo Mengascini era un dipendente della Sialp (ex Silpa) di Porto Recanati, un’azienda che fabbricava suole in poliuretano e che vendeva ai calzaturifici. Nel corso degli anni si sono susseguite diverse gestioni ed il lavoro non è mai mancato, tanto che ai 49 dipendenti si aggiungevano una decina di operai per sostenere i picchi di produzione del periodo invernale. Con l’avvento della crisi finanziaria, però, le cose sono lentamente peggiorate, fino a quando le banche non hanno smesso di concedere credito e l’azienda è stata messa in liquidazione. “Verso la fine del 2011 le banche hanno chiuso i rubinetti. La nostra ditta aveva dei debiti, anche pregressi da gestioni precedenti, e la chiusura totale o parziale del debito ci ha messo in crisi – spiega Mengascini – dalle 10 banche con cui avevamo rapporti siamo passati a 3, non potevamo pagare i fornitori mentre i nostri clienti fatturavano anche a tre, quattro mesi di distanza”.

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Paolo Mengascini

Sono stati fatti incontri istituzionali per cercare di aiutare l’azienda?
“Avevamo chiesto un anno di cassa integrazione in deroga dal 1° febbraio 2012 al 1° febbraio 2013, l’Assessore Luchetti ci convocò all’incontro in Regione ma alla fine non se ne fece niente. Siamo arrivati a fine luglio lavoricchiando un po’ qua e un po là, ma ad agosto le cose sono precipitate. La ditta non ha più ripreso a lavorare, ha svolto solo alcuni lavoretti con pochissimo personale. A fine ottobre siamo riusciti a farci pagare il mese di luglio, per fortuna siamo rientrati anche con tredicesima e trattamento di fine rapporto: poi è arrivata Equitalia che ci ha bloccato tutti i pagamenti perché ha un credito di oltre 200mila euro verso l’azienda. Ci hanno staccato la corrente che non era stata pagata Abbiamo intensificato gli incontri tra sindacato e titolari, ma alla fine si è arrivati alla liquidazione: ci siamo trovati in cassa integrazione a zero ore. Dal 10 gennaio siamo in mobilità”.

Come le è cambiata la vita?
“Io in azienda mi occupavo della produzione, è stato il mio lavoro per anni. Quando una persona è a tempo indeterminato si sente sicura dal punto di vista del reddito; adesso è tutto diverso. Con la mobilità la busta paga è molto risicata, subentra la paura di non riuscire a fronteggiare le tante spese che ci sono. Conosco diversi operai con una situazione anche peggiore della mia, persone che non hanno potuto pagare tre o quattro mensilità della loro casa. Alcuni miei ex colleghi vanno alla Caritas a prendere il pacco con i generi alimentari, altri non riescono a pagare il mutuo. Una cosa che era impensabile fino a pochissimo tempo fa”.

Quanto incide sulla sua famiglia la critica situazione del lavoro che c’è in Italia?
“Io e mia moglie abbiamo due figli, un maschio e una femmina. Mia moglie lavora in una cooperativa che fornisce servizi all’Asur, anche lei ha paura di perdere il posto con i tagli alla sanità di cui si parla. Mia figlia, 30 anni, si è laureata con il massimo dei voti, ma ha trovato solamente lavori molto, diciamo così, strani. Il primo impiego lo ha avuto nei call center, dove è stata assunta a progetto. Poi ha fatto la cameriera in uno chalet a Porto Recanati, un lavoro a chiamata. Nella sua situazione oggi ci sono tantissimi giovani, disposti a tutto per poter lavorare. La ricattabilità di fronte alla carenza di lavoro oltre che ad essere umiliante, è priva di qualsiasi diritto. Mio figlio sta finendo gli studi, ha 17 anni e vorrebbe andare all’università, io spero di poterglielo permettere”.

Lei quanti anni ha?
“Cinquantotto”.

HK0E9414E quando va a cercare lavoro la sua età rappresenta un problema?
“Certamente. Ormai non serve nemmeno avere molta esperienza, anche perché  è quasi impossibile ricollocarsi nel proprio settore. Vai a fare le domande e nonostante le notevoli esperienze ti senti come se  né il mondo del lavoro né la società avessero bisogno di te. In altre parole, ci si sente inutili. Viene a mancare la propria figura all’interno della famiglia: sembri un ubriacone che gira per casa. Questo aspetto psicologico può sembrare irrilevante, ma le garantisco che non lo è, prima le famiglie erano un ammortizzatore sociale, i genitori aiutavano i figli. Ora come si fa?”.

Vista la situazione accetterebbe qualunque tipo di lavoro?
“Adesso sì. Anche in un altro settore, lontano da casa, con un contratto a tempo determinato, rinunciando a tutto quello che avevo conquistato, cioè gli scatti di anzianità, una contrattazione di secondo livello… in Italia le aziende sono viste come vacche da mungere. Ma adesso che chiudono non pagano più tante tasse che erano entrate per lo stato. E anche io consumo molto meno, per cui pago meno iva, e consumando meno c’è meno produzione ed il Pil cala. E’ una spirale da cui non si esce”.

Cosa pensa di Mario Monti?
“Monti alla fine penso sia un capro espiatorio, è stato sostenuto trasversalmente dai partiti. Come mai certe riforme, come quella delle pensioni, come per l’articolo 18, sono passate velocemente mentre il decreto legge anticorruzione e quello sulle Province hanno trovato tantissime resistenze? Però gli chiederei anche quante di quelle aziende che dovevano venire ad investire in Italia, dopo la modifica dell’articolo 18, sono effettivamente arrivate. Non mi pare che sia cambiato nulla, non c’è la fila di imprenditori stranieri che vengono qui”.

Anche nella nostra provincia i suicidi per motivi legate alle difficoltà lavorative sono diventati fatti di cronaca sempre più frequenti…
“Prima non riuscivo a capire completamente cosa passasse per la testa a quelle persone. Mi facevo una mia idea, ma finiva lì. Adesso vedo la cosa da un’altra prospettiva”.

Come descriverebbe il momento che sta vivendo?
“Lo definirei come la fine di una carriera e l’inizio di una incertezza. Un’incertezza senza alcuna prospettiva”.



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