Da piccolo, quando mi portavano alle giostre, i miei avrebbero voluto che salissi su quelle in movimento. Io invece, fatta eccezione per gli autoscontri, prediligevo quelle casette degli orrori, in cui si può entrare a piedi o in una macchinina; anfratti bui con rumori sinistri, ragnatele giganti, mostri che appaiono dal nulla, fantasmi tetri, botole che scricchiolano sotto i piedi, etc. Niente di realmente pauroso, e per di più talmente breve il tragitto che uno non fa nemmeno in tempo a fingere di spaventarsi. Però erano la mia passione, non saprei dire perché. Comincio a capirlo con l’agio dell’età, soprattutto guardandomi intorno (guardando cioè la città che, pur non avendomi dato i natali, sento mia come se lo fosse totalmente). C’è da credere che l’imprinting geografico urbano abbia avuto su di me una forza tipo richiamo della foresta. Sicché, nel putiferio dei luna park, ritrovavo nelle casupole degli orrori qualcosa di estremamente familiare e tranquillizzante.
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Di Macerata degli anni ’70 e primi ’80 ho un ricordo inconfondibile: era una città con le luci fredde al neon e i muri delle case con l’erba parietale, non risistemati come sono oggi. C’era come una cappa sopra la testa, come una nota continua e cupa che quasi toglieva l’aria. Che se poi uno si prende la briga di studiare il passato urbanistico del centro storico, scopre in breve che tutti gli interventi successivi sono peggiori di quelli che hanno sostituito. Forse non tutti sanno che anticamente in Piazza della Libertà c’era a metà una chiesa intitolata a San Pietro (e San Paolo non esisteva), o che Piazza Cesare Battisti era in realtà una viuzza stretta su cui si affacciava il magnifico tempio di San Francesco. Al posto dell’ufficio centrale delle Poste c’era la chiesa di Santa Caterina; la Casa del Clero aveva la compostezza propria di tutta Piazza Strambi; la Galleria del Commercio non era infelicemente moderna com’è; i lampioncini (quelli me li ricordo bene) erano liberty e non c’era traccia delle orrende palle che ci sono da una trentina d’anni in qua; le panchine sono state ora di pietra, ora di legno, ma almeno mancavano all’appello i catafalchi attuali; soprattutto c’erano ancora i maceratesi: che non necessariamente erano tutti maceratesi da sette generazioni, però lo erano diventati con la loro costante stanzialità.
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In Via S. Maria della Porta pareva di stare nella pratoliniana Via del Corno: Don Terzo Fratini, che era reggente della chiesa non più parrocchia, comprava al costo di 50 lire (ah, le lire… che nostalgia…) una copia del giornale nell’edicola di Bruna, all’inizio delle Scalette; più giù arrivavano le note della Biblioteca musicale fondata e diretta dal M° Taffetani (era la prima in Europa, e infatti venne smantellata alla morte dell’instancabile curatore: c’erano splendide collezioni di dischi, successivamente sparite nel nulla); seguivano i buoni uffici della Sig.na Liviabella, sorella del più famoso Lino e del missionario salesiano Leone, per il buongiorno ai vicinati; quindi le battute imperdibili di Gino e Luigino, i tappezzieri; e così via. La stessa cosa accadeva in Via Mozzi o in Via Berardi o in Vicolo Ulissi, o dovunque sia.
In piazza, alla tetraggine delle illuminazioni, rispondeva tuttavia una forte vitalità giovanile in Corso della Repubblica. Ricordo benissimo il grande Mario Buldorini (l’Ermete alimentari dei famosi supplì) salutare festosamente il serpentone di ragazzi e ragazzi che si snodava in su e in giù: era una tradizione secolare, diceva. Ci sarà sempre, profetizzava. Sbagliava.
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La Casa della lana; le caramelle di Maggi; mercerie e vetrerie; Flavio “Fruscì” in Corso Matteotti e Sergio della Concorrente in Via Gramsci; i macellai Ignazio Tomassini dentro Palazzo de’ Vico e Giammario Ciccarelli dopo Palazzo degli Studi; il farmacista Cappelletti, Sor Ettore Pompei e le pizzette che gli preparava l’insuperabile Lucio Piergentili, il cui profumo si diffondeva per tutto il centro; il punto di alta moda di Enzo Lazzarini; i Bagni Pubblici (che non erano le toilettes, bensì locali con vasche da bagno, per chi non le aveva in casa; andavi lì, pagavi un tot, portandoti appresso accappatoio e sapone, e ti facevi il bagno; tenerli come testimonianza sarebbe diventato, negli anni a venire, un museo unico in Italia); e poi la grande tradizione di Venanzetti, appuntamento imperdibile della domenica mattina dopo la Messa, per l’acquisto delle paste; o il caffè che veniva giù dai serbatoi di Romcaffè e ti ubriacava col suo inconfondibile aroma… Sì: c’era Macerata. Oggi non c’è più.
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Un mio amico aveva scritto un dramma teatrale: ad ogni atto entrava un elettrodomestico e spariva un personaggio. Nell’ultimo atto, c’erano tutti elettrodomestici in movimento e nessun personaggio, per una decina di minuti. Poi si chiudeva il sipario. Mi addolora scoprire che la metafora si adatta bene al centro di questa città, che sta diventando una piccola bottega degli orrori. Come nel “Superstite” di Carlo Cassola, al risveglio dalla deflagrazione (ma qui non abbiamo avuto il “bene” nemmeno di quella…) sono migliorate le illuminazioni e le facciate dei palazzi, ma sono spariti i concittadini e i negozianti. Pare che il problema per la nostra sopravvivenza sia quello di erigere statue (ma chi dovrà poi ammirarle, se quassù non ci vive quasi più nessuno?), tanto che mi chiedo se le panchine di cui abbiamo detto non vogliano significare una sorta di monito per coloro che, residenti resistenti, prima o poi non ce la faranno più a resistere.
Mentre mi tornano alla mente le voci di chi non c’è più, guardo la porta di casa Liviabella tristemente murata (nemmeno un falso scheletro in legno per dare un senso diverso alla bella lapide che le sta a fianco), o il recente felice emblema del nostro tragico ritardo su tutto, il dolcissimo lumacone di Piaggia della Torre. Deturpato più volte da qualche “idiota notturno” (specie animale molto in voga negli ultimi tempi in città), ora vive anch’esso il suo limbo, recintato da una sorta di montagne russe (senza automobiline) in ferro battuto, che dovrebbero difenderlo, proprio mentre ne offendono la visibilità.
Si paga, per venire in centro, proprio come nella casa dell’orrore alle Giostre. Ma non è la stessa cosa. Non mi piace più.
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Allegro Filippo! Sta per iniziare La Sagra della Lirica .
Lazzi, frizzi, , triccheballacche, cotillon ,ciauscolo, ricchi premi per tutti!
Se però, ti tornasse un’improvvisa nostalgia per la casa degli orrori, prova a ritrovare quel clima cupo nelle scenografie dello Sferisterio di quest’anno ,dove penso, dico penso, se tanto porta tanto, …non so, hai presente Zelig… Cripstac e Petrectet, il cinema polacco….
ma che vuoi.
Nella città slow, fatta a kilometri i zero,- filiera corta- su progetto ecosostenible, con un situazionismo debordante…..è la lirica de noantri, per noantri.
Di più non si può pretendere.
Caro Filippo complimenti per il bellissimo e colorito ricordo, ma e’ inutile rammaricarsi, oggi siamo nelle grinfie dell’ ignoranza e dell’ insensibilità. Bisognerebbe conoscere il significato del bello, ma il problema si pone quando trionfa la sottocultura e l’interesse privato. Peccato rimanga soltanto un malinconico ricordo che mi appartiene unitamente alla triste sensazione di squallore che ci pervade entrambi. Spero almeno di darti una piccola buona notizia, perché gran parte della vecchia audioteca riuscii a salvarla quando era presidente della quarta commissione consiliare, ed ora, catalogata e sistemata, e’ collocata nella Biblioteca Mozzi Borgetti.
si hai perfettamente ragione anche io ricordo Macerata come era un tempo con la piazza piena di giovani che mattonavano il Corso e chiacchieravano, si conoscevano e poteva anche nascere quaqlche iddilio al contrario di oggi, gioventù seduta davanti al computer o ai videogiochi che tristezza!
Sapete cosa penso? Che dopo tutte le lamentele vero e non vere che forse sono pilotate, sarebbe meglio concentrare le forze per ritrovare i valori di cui tu parli tra tanti menefreghisti c’è anche chi ancora ama e chi ancora spera che il bene l’abbia vinta e il buon senso sia da padrone e dove invece di controllarci a vicenda ( cosa che penso pilotata d qualcuno) sia il buon senso e il rispetto per il prossimo a fare da padrone e allora la polizia non ha motivo di investigare e la finanza di scoprire chi per sopravvivere deve evadere perché non tutti sono delinquenti o ladri.
Complimenti Dr.Davoli,complimenti davvero!!!! Emozionantissimo il suo articolo che anche a me ha permesso di tornare ai tempi in cui si usciva dalla scuola (palazzo degli studi ), ci s’incontrava e si prendevano accordi per la “rituale” passeggiata serale per il corso,che si percorreva a fatica per quanti eravamo…Ci si trovava al Bar del Corso intorno alle 18,30 e si cominciava “lo struscio”…..Le prime cotte…,le prime feste organizzate a casa di qualcuno,un tuffo al cuore per aver “avvistato” il ragazzo che ci faceva battere il cuore (mi passi la ripetizione)….ma poi alle 19,45 iniziava la corsa verso casa perchè ,almeno per me scattava il coprifuoco ed alle 19,55 dovevo essere a casa.Ricordo con nostalgia al prima festa “pubblica” alla quale mi fu concesso partecipare solo perchè la organizzava la scuola: Palazzo del Mutilato dalle ore 17,30 alle (….udite,udite!!!!!…. ) ore 21.00. Le mitiche pizzette di Ettore Pompei!!!! Le sue torte per il mio compleanno che MIA MAMMA faceva confezionare sempre colorate di rosa e, ricordo,abbellite da fiocchi e nastri di tulle bianco e rosa e candele lunghissime. Ha ragione!!! Come dimenticare i supplì di Ermete?! Insomma,Dr.Davoli mi permetta di ringraziarLa per avermi fatto emozionare ed , a dire il vero , anche un pò commuovere,ma ….chissà…!!! Forse perchè passati,certi momenti ci prendono così tanto,o forse perchè oggi di simili ne viviamo davvero pochi,o ancora perchè,forse, non sappiamo cogliere gli entusiasmanti attimi che anche oggi ci è concesso vivere.
Le auguro una lieta serata e La saluto cordialmente
Rosella Ederli
Caro Filippo ,anch’ io abitavo in centro esattamente in vicolo Consalvi(che gli anziani chiamavano vicolo de li f….nonscrivo tutto per evitare problemi) pieno centro ,davanti alle poste,vicino alla mitica Tipografia Operaia,mi ricordo le passeggiate al corso(le famose vasche),un’infanzia e adolescenza che penso molti oggi ci invidierebbero.Poi per motivi di famiglia ci siamo trasferiti.Ma quando mi sono sposato sono ritornato in centro pensando che avrei trovato quello che avevo lasciato .ma la realtà era diversa.Siamo dovuti scappare.Penso che ormai tutto si collega se prima avevamo tante meravigliose cattedrali e personaggi in giro per il centro storico oggi le cattedrali e i vari personaggi si sono trasferite nei vari centri commerciali nati per accogliere giovani consumatori,senza offrire nulla di vero ,di genuino.quando stavo in centro camminavo ,salutavo le persone, c’era un rapporto interpersonale,ma se vai in giro oggi in queste nuove cattedrali te gurda tutti come se c’hai la rogna.Adesso vivremo il brivido estivo della stagione lirica ma dal primo settembre ricomincerà il letargo.
@ Giorgio Longarini (dalla cronaca alla storia)
Risalendo vicolo Consalvi il 2 settembre 1978 vidi in terra un paio di mutande nere da donna e, sempre interessato a tali vicende, sollevandole con la punta dell’ombrello, giornata piovosa, me ne impossessai. Mi sono sempre domandato se quel piccolo slip traforato, di taglia delicata, fosse caduto da qualche finestra o scivolato in terra da altrove, accadimento comunque notturno e che rimarrà sempre avvolto nel proprio mistero. Ora il reperto, fatto subito incorniciare tra i sogghigni del montatore, tale è il titolo di cui spesso si fregiano i corniciai, è appeso in casa, nel bagno a pianterreno, l’inevitabile meta di pellegrinaggio degli ospiti, con sopra una scritta con tutte le spiegazioni come ho visto fare nei musei, ma mai nessuna donna che l’abbia visto ne ha rivendicato la proprietà.
Oggi in vicolo Consalvi altro che mutande da donna, topi grossi come cani bassotti lo attraversano e vi passeggiano spargendo il loro fetido terrore, incacciabili da gatte incinte e sfiancate che si sgravano continuamente tra i rifiuti di una profonda grotta riparata da una vergognosa e sgangherata porta che fu di ferro, ed il piccolo Longarini, uno dei bambini più simpatici del mondo, dagli sguardi e dalle filosofie da persona anziana, seduto sul gradino della sua casa assiste ormai indifferente a questi traffici zoologici. Di notte poi, dal primo all’ultimo dell’anno, poiché la lampadina con sopra il piatto 1900 vecchia osteria è quasi sempre fulminata, il vicolo vive, in pieno centro, di una vita propria, e fazzoletti di carta contorti, tamponi, aghi, siringhe ed hatù, testimonianze sempre reperibili in loco, qualificano tristemente il genere di tale vita.
L’altra sera, invece, evviva la Marguttiana, il vicolo, scopato di tutto punto ed alla luce abbagliante di 6 riflettori, si è presentato come uno sfavillante salotto, autorità, artisti, pubblico e critici, il piccolo Longarini si è immediatamente innamorato di una pittrice, gatti e sorci scomparsi come per incanto e di fronte alla vergognosa porta della grotta dei parti si sono state sistemate 3 belle piante in vaso.
Ma la mattina del primo settembre, a 5 ore dalla chiusura, tutti i fari sono scomparsi, una squadra oltremodo solerte li ha smontati, in vicolo Consalvi sono rimasti in più dei buchi nei muri, sulle porte di legno una selva di chiodi, in terra tutti segni bianchi di calce, tracciati per delimitare gli spazi assegnati agli artisti. Cosicché vicolo Consalvi è risultato un paio di scarpe lucide indossate per la festa su calzini strappati e per un anno ritornerà alle sue dimenticate desolazioni. Salvo che qualcuno di buon cuore non decida di farsi carico di questo piccolo grande problema che trova la soluzione in una lampadina e in una scopa.
(da L’Orologio del Magnalbò)
@ Filippo: dalle tue parole “rinascono” personaggi di una Macerata vera, sincera, unica e me lo permetto- visto che ora albergo in “provincia”, ma questa citta’ mi ha dato i natali -la “nostra Macerata”.
Ho dimorato per 14 anni in via Gramsci e il “centro” e’ stata la mia casa, il loggiato di Palazzo degli Studi la mia palestra, il mio campo giochi. Stante questi ricordi infantilli riporatati alla memora dal tuo bellissimo scritto, al lungo elenco di tutti i personaggi citati potrei aggiungerne altri, quali ad esempio Vitaliano Luchetti, VISPORT, che ci ha calzato e vestito per le prime discese sciistiche a Sarnano, “Pagnanelli, “un vecchietto simpatico che gestiva una ferramente proprio sotto al palazzo della Filarmonica. Per parlare poi di luoghi, al posto dell’attuale Vanita’, c’era “La Provvida” un negozio di alimentari sulla cui vetrina campeggiava una forma, per me piccino dall’aspetto enorme, di “BelPaese Galbani”……
@Gabor ( novello apprezzato Presbitero): Tra gli altri personaggi maceratesi, la tua immagine, mi ricorda anche l’attivita’ dei “Palmieri”, che definire cartoleria sarebbe riduttivo per l’enorme varieta’ di merci vendute…. dalla Bic alla ventiquattrore….e sempre parlando dei personaggi e dei luoghi maceratesi che ricordo con affetto, la libreria ormai scomparsa di Sergio Fantuzzi, con annesso negozio di giocattoli della moglie.
Comunque caro Gabor “L’orologio del Magnalbò” ritorna sovente a dare nuova luce ad una Macerata che, intorpidita dalla calura di questi giorni, e obnubilata dai suoi “governanti” cova sicuramente sotto la cenere con un fuoco “sacro” che bisognerebbe risvegliare……
@ Renzo
Aggiungo quella meravigliosa insegna “Fila” (Fabbrica Italiana Lapis Affini – Firenze) della cartoleria Palmieri (Canestrellu!) e magari quelle meravigliose minuscole macine che, come clipei, adornano gli archi dell’ex Palazzina AEM, poi sede dei Vigili Urbani e recentemente vituperata per l’Académie des beaux-arts.
Vorrei ringraziarvi tutti per le ulteriori sollecitazioni fornite mediante i vostri commenti, che mi auguro proseguano perché ne risvegliano altre in me. E’ come se dal cilindro della memoria, altre voci e altri luoghi caratteristici mi dicessero “ti sei scordato di me”. Sicché anticipo l’argomento del prossimo “Davoli a merenda” come secondo tempo di questo corsivo.
Spero vogliate perdonare questo mio P.s. al commento di ieri sera,ma dimenticavo la stupenda Chiesa di S,Giovanni aperta sempre ad ogni ora ed il grande “oratore” Don Enea Tarpignati parroco della stessa ,poi Monsignore ed emerito professore di matematica.Era quasi un rito quello della domenica alle 11,30 per la messa a S.Giovanni!!!! Poi era consuetudine arrivare da Venanzetti o Pompei per l’immancabile acquisto del vassoio di paste. Mi piace ricordare questo particolare proprio oggi alla vigilia della commemorazione del Santo,quando,chissà,qualcuno,io di sicuro,preparerà l’acqua con i fiori ( rose,spighetta o lavanda,noci,garofani,alloro,quercia,grano,oleandro,tiglio….) e stanotte la metterà all’aperto fino a domani mattina,quando il profumo inebriante di tradizioni,ricordi cari, belli,sani,veri inviterà ad immergersi.
Buon fine settimana a tutti
Rosella Ederli
E di San Filippo ne vogliamo parlare?
E che dire di quel mitico curatu de Ficana con la fava lacrimosa che ‘riava e montava su?
A me manca la mitica bacheca del partito monarchico eheheheh
il sabato era il luogo di appuntamento per l’organizzazione della rituale festa privata della domenica pomeriggio e fino alla morte del suo curatore l’unico posto al mondo in cui nel ’70 si potevano leggere cose del tipo “AUGURI A SUA MAESTA’ LA REGINA” ihihihih