Il 10 dicembre si celebra la Madonna Lauretana e l’arrivo della Santa Casa portata dagli Angeli. Proprio quel volo intercontinentale avvenuto in tempi non sospetti fa della Vergine di Loreto la patrona dell’Aereonautica Militare. Ma è la notte del 9 dicembre, la vigilia, che la tradizione popolare vuole che in tutte le Marche ancora si festeggi “la Venuta” con l’accensione dei grandi fuochi che vogliono indicare agli Angeli la strada per Loreto. E’ una tradizione ancora molto sentita dalle comunità marchigiane, una tradizione che si perde nella notte dei tempi. Le famiglie scendono in strada recitando il rosario e portando ognuna una fascina che verrà buttata nel grande fuoco comunitario. A Sefro, piccolo comune dell’entroterra maceratese, la tradizione è immutata, ancora sentita sia da giovani che da anziani. Questi ultimi ricordano lo stesso rito fin da quando erano bambini e chiamano il sacro fuoco “lu faòre”.
Quando ho saputo che la Pro Loco e il Comune di Sefro erano in prima fila per cercar di mantenere viva questa straordinaria rappresentazione di fede e di accettazione del mistero ho voluto contribuire anch’io, portando, la notte del 9 dicembre, la mia fascina spirituale: con gli amici del Rifugio Valle Scurosa ho pensato di percorrere l’intera tratta Loreto-Sefro a piedi, quasi 100 chilometri di pellegrinaggio al contrario. Ma è un contrario voluto, simbolico: i devoti arrivano di solito a Loreto e portano la loro energia, la loro fede in un luogo/giardino dello spirito. Quella stessa energia e fede ora è il momento di ripropagarla nel mondo, nella vita di tutti i giorni. Cinque giorni di profondo ponente dal mare alla montagna, dall’Adriatico al confine con l’Umbria, transitando per sentieri e strade secondarie che fanno delle Marche una regione unica, straordinariamente vera, lontana da quel concetto “d’eccellenza” patinato che Dustin Hoffman ha cercato di rappresentare nel suo spot surreale. Queste sono le Marche del sudore arcaico, quelle dei contadini, dei boscaioli, degli umili sapienti, dei devoti. Sono le Marche di San Francesco e dei suoi fratelli, delle edicole devozionali, delle mulattiere, dei carbonai, dei pellegrini. Sono là, vere e tangibili, nascoste agli sguardi fugaci delle auto in corsa sulle carrozzabili, ma ancora vive e tesoro inestimabile di una spiritualità che oggi più che mai è necessario recuperare. Le Marche silenziose che parlano a chi vuol sentire e su cui si dovrebbe fondare il vero incoming turistico. Altro che aperitivi culturali, agriturismi con piscine e spot istituzionali, ci sarebbe da ripristinare la cultura del cammino e per essa lavorare. Chi cammina è felice, gode di un territorio e della sua gente come mai potrebbe fare con i mezzi meccanici, è protagonista del suo corpo e della sua mente, non consuma ma essenzializza, condivide realmente con gli altri compagni di viaggio, ha tempo per pensare e non dice banalità. Chi cammina è un’entusiasta, ha un sorriso che nessun altro turista ha ed osserva, ha tempo per osservare. E risparmia. Utilizza solo l’energia del suo corpo che ancora non è tassata. Se ci si pensa bene, camminare, oggi, è profondamente rivoluzionario.
Partiamo lunedì 5 dicembre, di buon’ora, dalla Basilica di Loreto. Transitiamo fino a Chiarino nello stesso percorso del pellegrinaggio Macerata-Loreto, dopodichè pieghiamo verso Recanati. Prima di arrivare a casa Leopardi, lungo la strada, facciamo tappa al Castello Malleus. Ad aspettarci gli amici castellieri Enrico e Silvana. Hanno preparato un buffet di ristoro per i pellegrini e l’accoglienza è veramente calda e sincera. Ripartiamo e transitiamo per il “borgo antico”, tra “passeri solitari” e “ginestre”, piazza del “sabato del villaggio” incontrando “Silvia” proprio sotto palazzo Leopardi fino a volgere lo sguardo ai monti azzurri dal “colle dell’infinito” fin quando giunti, nella campagna di Sambucheto, con un certo appetito, sostiamo per un fermastomaco all’azienda vinicola Maccaroni. Le vergare (la vecchia e la giovane) ci offrono il loro vino novello e un buon caffè davanti al caminetto e orgogliose ci mostrano la loro piccola ma ben tenuta cantina. Su loro indicazione, decidiamo di aggirare Sambucheto, per visitare i ruderi di un antico mulino sul torrente Monocchia. Ma d’inverno le ore di luce sono poche e la notte giunge improvvisa. Ci troviamo perciò disorientati dal buio a vagare per la campagna solitaria di Montecassiano senza incontrare nessuno per chiedere informazioni sulla direzione. Finalmente due fari spezzano la notte. S’avvicinano a noi. E’ un pullmino dell’ANFASS che sta riportando a casa i pazienti dopo le cure riabilitative. Si ferma. M’affaccio al finestrino per chiedere informazioni e chi vedo?… Mia madre. “Ma che fai qui?”. “No, tu che fai qui?”. A volte è così difficile incontrarsi con gli appuntamenti e invece ora nella campagna desolata a guardarci increduli.
Ripartiamo da Montecassiano la mattina successiva con un appuntamento prossimo che annuncia un grande rendez-vous.Traversiamo il delizioso centro storico di Montecassiano per tuffarci subito nelle tipiche contrade della campagna marchigiana. Le dolci colline scivolano sinuose sotto i nostri piedi illuminate dai chiaroscuri d’un cielo instabile, come quello d’Irlanda. Anche le strette stradine senza traffico che traversano la brughiera nostrana non si discostano dall’atmosfera dell’isola di smeraldo. Arriviamo alla chiesa di S. Lorenzo al calar della notte ed incontriamo Maria, l’hospitalera della struttura d’accoglienza della canonica. Il poggio dove siamo arrivati è a circa 700 metri d’altezza; c’è una chiesa, un ostello per pellegrini e campi scuola con circa 60 posti letto e tre case attorno disabitate. Unica abitante Maria, 70enne. Lei è la giardiniera, la donna delle pulizie, la guardiana di questo villaggio fuori dal tempo e dallo spazio. Ci coccola come figli cucinandoci le sue tagliatelle al ragù, la carne impanata al forno.
La mattina successiva alle 8 siamo pronti a partire ma per Maria il giorno è già cominciato da un pezzo. La troviamo nella sua piccola macelleria con il grembiule sporco di sangue e con le piume tutte intorno che sta preparando 6 capponi. La salutiamo ammirati e ci rendiamo conto di non averla mai vista senza sorriso. E‘ un sorriso spontaneo come se stesse sbeffeggiando le pene della vita. E’ il sorriso di una donna forte, coraggiosa e piena di fede. Ci saluta dicendoci: “Nella vita ho faticato così tanto che non gliela faccio più a smettere”. Ci incamminiamo verso il bosco. E’ mercoledì 7 dicembre, giornata di sole pieno. Da Treia entriamo in territorio sanseverinate. Camminiamo in quota con un paesaggio ampio che va dai contrafforti del Gran Sasso al rilievo del Monte Conero. A nord San Vicino e alla nostra sinistra la figura inconfondibile della torre di Pitino che ci fa da punto di riferimento. Dice il proverbio: “Pitì brutto se vede dappertutto”. E così è: la lugubre figura della torre si scorge sovrastante anche tra gli alberi del bosco. Giunti a Cesolo i sentieri ritornano stradine di campagna e si rivede il tipico paesaggio antropizzato delle Marche. Le colline sono più aspre e i borghi piccoli e quasi disabitati: Gagliannuovo, Cagnore, Biagi, Serrone, fino a Stigliano. A Gagliannuovo un uomo vedendoci passare si affaccia alla finestra e ci offre dell’acqua fresca, a Cagnore veniamo a sapere della morte del Conte Ottavi che in vecchiaia era tornato da Roma al natio paesello installandoci un’azienda vinicola di grande livello. Famosa era la sua Pianetta di Cagnore, monovitigno di vernaccia. Ora la sua azienda è tristemente in abbandono, le viti trascurate. A Stigliano siamo ospiti di Marisa e sua figlia Simona che gestiscono con successo il ristorante da Marisa. Recentemente hanno aperto anche una bella country house tra i ruderi del paese ed è lì che ci fermeremo per la notte.
L’indomani il gruppo in partenza per la nuova tappa, approfittando della festività, si allarga di molto. La famiglia in cammino è cresciuta. Alcuni si conoscono altri no ma subito si crea fra tutti un’intimità straordinaria. Alcuni di noi, partiti da Loreto, vedendo come il gruppo dei pellegrini si sia così infoltito strada facendo ricordano divertiti quello che è successo a Forrest Gump. Il serpentone pedestre si snoda per i sentieri dell’erta che porta ai prati di Gagliole. La giornata è ideale, assolata, incredibilmente calda per dicembre. Ci fermiamo per il pranzo al sacco e qualcuno si apprata al sole in maniche corte. C’è un benessere e un’armonia tale che già si parla di prossimi appuntamenti a piedi. Qualcuno vorrebbe continuare così per altri giorni. Non c’è ansia di arrivare, non c’è programma da seguire, non c’è orario da rispettare e ci si sente liberi, gratuitamente liberi. A Gagliole ci aspetta Paolo Paoletti, il segretario del Comune, l’animatore del paese, il direttore del Museo di Storia Naturale e ovviamente il responsabile dell’ostello comunale dove saremo ospiti per la notte. All’ostello, bella struttura da non molto restaurata, troviamo un gruppo di 28 studenti provenienti da tutta Europa giunti a Gagliole per un corso di integrazione razziale di 15 giorni. Tra francesi, inglesi, finlandesi, portoghesi e spagnoli e con il contributo del nostro variegato gruppo Gagliole per una sera si è trasformata in una piccola Londra. Paolo ha grande senso dell’ospitalità e fierezza nel presentare i tesori della sua piccola Gagliole. Approfittando del nostro arrivo anzitempo e di altre quasi due ore di luce il nostro anfitrione ci invita a visitare la remota e selvaggia Valle dell’Elce, appena fuori Gagliole. Sotto un dirupo strapiombante troviamo il sifone asciutto di Sasso Pozzo. A fine inverno da quel buco esce un forte getto d’acqua ma in altri periodi dell’anno Sasso Pozzo è l’accesso, solo per speleologi esperti, allo sviluppo di grotte più lungo della provincia di Macerata. Proseguiamo per la lecceta che ci conduce alla forra sommitale che percorriamo fin quasi all’imbrunire per poi ritornare al paese. Qui Paolo ci fa scoprire l’interessantissimo Museo di Storia Naturale che contiene pietre e fossili provenienti dall’area circostante e da altre parti del mondo. L’esposizione riesce a dare un quadro completo dell’evolversi della vita sulla Terra, seguendo un itinerario cronologico che parte dall’era Archeozoica fino ad arrivare ai tempi odierni. E poi la visita alle chiese di San Giuseppe e di San Michele, aperte sempre da Paolo per noi, con straordinari affreschi e statue lignee.
9 dicembre, venerdì, è la vigilia della festa della Madonna di Loreto ed è anche l’ultima tappa fino a Sefro. Uscendo da Gagliole abbiamo ringraziato Paolo Paoletti per la splendida ospitalità che ci ha riservato ed anche per la passione con cui cerca di valorizzare il territorio. Altro che Dustin Hoffman, queste persone dovrebbero essere i testimonial delle Marche. La carovana, ancora baciata dal sole, prosegue verso la meta. Sosta presso un vecchio mulino restaurato da una coppia di liguri induisti amanti di cavalli e fotografia. La bellezza ci accompagna nelle vecchie mole del mulino, nel paesaggio senza confini che si apre a noi svalicando il colle sopra Castelraimondo ed anche nel mercato popolare che attraversiamo quando scendiamo al paese. Qui incontriamo Luciano Monceri e Sofia Bracalenti, altri amici e soci del Rifugio, che sono arrivati con i loro asinelli per unirsi a noi nell’ultimo tratto di cammino. Gli asinelli sono proprio il simbolo che cercavamo, quell’incedere lento e pieno di storia e tradizione che si contrappone allo sfrecciare veloce e inconsapevole delle macchine a cento cavalli. Superiamo velocemente le grandi vie di comunicazione per rimmergerci di nuovo nella solitudine delle vecchie mulattiere abbandonate che si dirigono versa la stretta valle rocciosa di Pioraco. Piccoli borghi come Brondoleto, Sant’Angelo, Costa che forse nemmeno gli abitanti dei dintorni conoscono più. Lo sa anche un profondo conoscitore del territorio come Giulio Cotechini che incontriamo casualmente alla cartiera di Pioraco. Lui che da anni sta sottraendo all’oblio gli antichi sentieri abbandonati dell’area ripulendoli senza percepire nessun compenso. Ora di questi sentieri ne ha fatto una rete percorribile a piedi, a cavallo, con gli asini o in bicicletta e con tanto di segnaletica. Lo potremmo chiamare il comprensorio di Giulio visto che è stato lui a collegare con la sentieristica il territorio dei tre comuni Pioraco, Sefro, Fiuminata, ma ci piacerebbe pensare che fossero le istituzioni provinciali e regionali preposte allo sviluppo turistico a prestare attenzione al lavoro degli appassionati come Giulio, a non mandarlo disperso e ad appoggiarlo per creare un polo d’attenzione turistica.
Così magari lo potremmo chiamare il comprensorio dell’Alta Valle del Potenza. A Pioraco, dopo una sosta pranzo, imbocchiamo uno dei sentieri riaperti da Giulio che costeggia il fiume Scarzito fino a Sefro. Il sentiero fa parte di un vecchio progetto promosso ed ora abbandonato dalla regione Marche, chiamato Sentiero Francescano, che collega Loreto con Assisi. In gran parte è quello che abbiamo percorso noi e che, sulla base di alcune deduzioni storiche, dovrebbe essere lo stesso fatto nel medioevo dal santo “poverello”. Il tratto Pioraco/Sefro è stato ripulito e riaperto ufficialmente anche dal Comune di Pioraco con l’arricchimento di alcune tavole di legno esposte lungo il cammino su cui sono incisi i versi dei Fioretti di San Francesco. Lungo il percorso ci accoglie una colonia di oltre cinquanta aironi ormai stanziatisi nelle vicinanze del pescoso fiume Scarzito e soprattutto delle vasche della troticoltura di Sefro. Le loro grida e le loro immense ali dispiegate al nostro passaggio nel fitto del bosco ci fanno vivere momenti di suggestione preistorica. All’ingresso di Sefro è la stessa amministrazione ad accoglierci. L’Assessore alla Cultura Mario Santini appassionato di fotografia e responsabile del giornale La Nefa ci immortala ripetutamente negli ultimi metri di cammino. Gli amici della Pro Loco ci accolgono nello spazio polivalente del comune per farci riposare e ci regalano una graditissima cena nella bocciofila. Dopo cena è il momento dell’accensione del grande fuoco, de “lu faòre”. A noi, pellegrini partiti da Loreto cinque giorni prima, l’onore di accenderlo. Torniamo tutti alle nostre vite quotidiane ma, sono sicuro, qualcosa di diverso si è acceso in ognuno di noi dopo questa esperienza: e se la quotidianità, quella vera e gioiosa, fosse questa?
* Maurizio Serafini
Musicista maceratese. Con un gruppo di amici ha riaperto il rifugio di Vallescurosa
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Maurizio,
sei un grande!!
Ce ne fossero!!
Sei un poeta vero: “e se la quotidianità, quella vera e gioiosa, fosse questa?”
Tutto molto bello, suggestivo e interessante.
Un po’ meno la vaga impronta devozionale che sembra permeare un po’ tutto il pezzo, come se le Marche consistessero SOLTANTO di camminate a sfondo religioso.
Le Marche non sono fatte solo di santuari, salvo errore da parte mia, ma anche – se non soprattutto – di grandi come Leopardi e Rossini; e una miriade di teatri, e paesaggi marini, collinari e montani, e memorie storiche non solo francescane: ad esempio Pompeo Magno, il grande avversario di Giulio Cesare, era Piceno. Per cui mi sembra inutile la contrapposizione fra l’aspetto evidenziato dall’articolo – lo ripeto: bello, suggestivo e interessante – e una promozione affidata a un testimonial di grande rilievo internazionale.
Potrebbe essere la sceneggiatura per un nuovo film dei Vincisgrassi: Indiana Jones alla sorgente del Potenza.
Che bella lettura… Grazie Maurizio!
Iniziativa da apprezzare, ma i modi di scoprire le marche ognuno di noi se ne trova uno tutto suo, culturale, sportivo, religioso, enogastronomico, ecc; chi a piedi, chi in bici, o in moto, ognuno ha il suo concetto di scoprire le marche, ma non per questo né fa un articolo. L’ipocrisia che regna nell’articolo ha come punta dell’Iceberg questa frase “Cinque giorni di profondo ponente dal mare alla montagna, dall’Adriatico al confine con l’Umbria, transitando per sentieri e strade secondarie che fanno delle Marche una regione unica, straordinariamente vera, lontana da quel concetto “d’eccellenza” patinato che Dustin Hoffman ha cercato di rappresentare nel suo spot surreale”
Criticare qualcuno? Il Grande Dustin Hoffman è di sicuro la persona che in questo non c’entra nulla, ha solamente prestato il suo volto, la sua immagine internazionale percependo giustamente un compenso, da chi lo ha ingaggiato, in questo caso la Regione Marche di giunta di sinistra. Criticare, bene, si faccia indicando i responsabili. Responsabili di cosa? Di sicuro Dustin Hoffman è un’icona pubblicitaria importante che di sicuro ha portato turismo. Questa è comunicazione! M’immagino uno spot internazionale con personaggi locali…be.. ma fatemi il favore!!!
Dustin e le Marche. Questa testimonianza vale 100 SPOT fatti dalla Regione, fatti fare a Dustin. (che pur bravo…ma poteva fare di meglio, ovviamente non lui, ma chi gli ha detto di dire poche parole, o chi ha scelto certe immagini/inquadrature/scorci per microsecondi di visione ( le Marche meritano di più) ). Bravi ragazzi. Questa si che è promozione turistica! Anche se come dice Festa, le Marche non hanno solo uno sfondo religioso.
La sensibilità di Maurizio Serafini, espressa con un testo magnifico, contrasta con i commenti polemici e sterili di chi non ha neanche la dignità di firmare il proprio commento con nome e cognome. Incoming turistico è un concetto matematico la cui efficacia non viene per nulla coadiuvata da uno spot inutile, anacronistico nei costi e penoso nella credibilità: un attore americano svogliato, che se la ride di noi e del testo banale che non capisce e che pronuncia con evidente difficoltà. Vogliamo misurare quale ritorno reale di visitatori abbiamo avuto e avremo? È meglio di no. È meglio far finta di credere che sia stato un colpo di genio assoldare il “piccolo grande uomo”, così gli scienziati della comunicazione e i loro committenti potranno giustificare il dispendio di ingenti risorse pubbliche.
Concludo copiando e incollando uno dei pensieri espressi da Maurizio Serafini che più condivido:
«…. Queste sono le Marche del sudore arcaico, quelle dei contadini, dei boscaioli, degli umili sapienti, dei devoti. Sono le Marche di San Francesco e dei suoi fratelli, delle edicole devozionali, delle mulattiere, dei carbonai, dei pellegrini. Sono là, vere e tangibili, nascoste agli sguardi fugaci delle auto in corsa sulle carrozzabili, ma ancora vive e tesoro inestimabile di una spiritualità che oggi più che mai è necessario recuperare. Le Marche silenziose che parlano a chi vuol sentire e su cui si dovrebbe fondare il vero incoming turistico. Altro che aperitivi culturali, agriturismi con piscine e spot istituzionali, ci sarebbe da ripristinare la cultura del cammino e per essa lavorare.»
Grazie a Maurizio Serafini.
Grande Serafini, bellissimo il servizio e le foto!! Il problema della pubblciità è che se ci metti un attore famoso allora la gente la guarda, se a un americano gli fai vedere la vergara nostra, che magari è 1000 volte più genuina non la capisce o non gli interessa! Pubblicizzatele quando fate queste cose, secondo me a tanti piacerebbe partecipare…
Rispetto per la vergara. Una pubblicità è fatta per promuovere un articolo, una manifestazione, un prodotto, una regione, come in questo caso. La comunicazione ha un ruolo fondamentale. Serve per attirare il cliente, il visitatore, lo spettatore ecc. Lo spot delle marche e stato mandato in onda non solo in Italia ma a costo zero in tutto il mondo. Inserire il sudore arcaico, i contadini, i boscaioli, gli umili sapienti, i devoti, San Francesco e i suoi fratelli, le edicole devozionali, le mulattiere, i carbonai, i pellegrini e tutto il resto, si ha senso, ma questo non in uno spot internazionale che deve colpire per altro, per le cose più famose della regione, anche se per alcuni sono effimere, poi localmente si propongono le verità locali della nostra Regione. La pubblicità ha bisogno di un testimonial importante, chi si occupa di pubblicità lo sa, e lo vediamo tutti i giorni in tv. Spero di non parlare con quelli che ora mi diranno, “noi siamo frick-snob-artisti, non vediamo la tv”
Roberto Valentini