Le elezioni provinciali
e i due diversi linguaggi

LA DOMENICA DEL VILLAGGIO
di Giancarlo Liuti
Gli imbarazzi del centro sinistra e l'animosità del centro destra

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Franco Capponi (candidato presidente del centro destra) e Antonio Pettinari (candidato presidente del centro sinistra) un anno fa ...quando erano presidente e vice presidente della Provincia

di Giancarlo Liuti

Manca una settimana alle elezioni provinciali e pur immaginando che gli ultimi giorni saranno i più infuocati possiamo già dare un’occhiata al linguaggio (stile, toni, singole parole) dei candidati alla presidenza, specialmente dei tre che sembrano i più forti: Franco Capponi, Antonio Pettinari e Francesco Acquaroli. Ma va premessa una cosa, ed è che le sorti politiche del Maceratese sono assurte a livelli nazionali e perfino internazionali, per cui il confronto si è spostato dai problemi locali alle grandi questioni generali, e più dei nomi di Acquaroli, Capponi, Gentilucci, Marangoni e Pettinari paiono contare quelli di Berlusconi, Sarkozy, Obama, Geddafi e Ilda Boccassini. Ciò dipende anche dall’incredibile folla di cosiddetti “big” che son venuti o verranno a patrocinare i loro pupilli. Ben sette ministri (Brunetta, Sacconi, la Meloni, Fitto, la Carfagna, Romani, Frattini) più Cicchitto, Quagliarello, Gasparri, Stefania Craxi e Magdi Allam per il centrodestra. E, dall’altra parte, l’intero gotha del centrosinistra, con Bersani, Casini, Di Pietro, Franceschini, Cesa, Rosy Bindi, D’Alema, Enrico Letta, Marini e Bobo Craxi. Questo nostro voto è dunque mutato di segno, passando da amministrativo a marcatamente e drammaticamente politico. Cadrà il governo? Lo deciderà Visso. Quando finirà la guerra di Libia? Dipenderà da Recanati. La Parmalat andrà ai francesi? Bisogna aspettare il parere di Corridonia.

Ma veniamo al linguaggio. Pettinari si sente condizionato dalla martellante accusa di tradimento che – lui fino a dieci mesi fa vicepresidente della giunta Capponi – gli viene rivolta dal centrodestra. Tradimento?  Ha un bel dire, Pettinari, di essere stato sempre un “fedelissimo” dell’Udc, e di averne coerentemente interpretato, da segretario regionale, le linee politiche nazionali, ossia il progressivo distacco dell’Udc dal Pdl, un distacco che è culminato nell’opposizione al governo Berlusconi e infine nelle varie alleanze col Pd alle regionali dell’anno scorso. L’accusa, dunque, è discutibile. Ma gli pesa. Come pesa sull’Udc e sul Pd  lo scarso entusiasmo – o peggio – con cui la base ha accolto quest’alleanza che fra l’altro è piovuta del cielo senza essere tempestivamente discussa e spiegata. Un’alleanza, insomma, che ben si giustifica sul piano della ragionevolezza ma non scalda i cuori e, anzi, rischia di raffreddarli. E’ anche per questo che Pettinari evita (scelta poco apprezzabile, secondo noi) i “faccia a faccia” e i confronti pubblici a cinque, preferendo una campagna elettorale di basso profilo, da “porta a porta”, tutta impostata sulle sue credenziali di amministratore, e presentandosi come “uomo del fare” e non come “uomo del parlare”. Ed è anche per questo che l’impegno di un così nuovo centrosinistra si concentra nell’illustrare la finalità di una strategia nazionale tesa al superamento del berlusconismo pure in periferia e nel denunciare lo spostamento a destra della coalizione avversaria, che ama qualificarsi moderata ma comprende liste non moderate come La Destra, la Fiamma Tricolore e la Lega Nord. Senza però poter criticare – ecco un ulteriore tallone d’Achille – l’operato della giunta Capponi, le cui delibere furono condivise e sottoscritte proprio da Pettinari. Qual è allora il linguaggio? Non troppo audace, né troppo aspro, né troppo polemico. Tanto che perfino Di Pietro, qui, ha rinunciato alla ruvida aggressività del suo consueto vocabolario.

Il centrosinistra, insomma, sembra avere adottato lo slogan “Forza tranquilla” con cui Francois Mitterrand vinse le elezioni presidenziali francesi nel 1981. Tranquilla nel senso di razionale, poco emotiva, piuttosto sulla difensiva, fiduciosa in quell’11,5 per cento di voti Udc che due anni fa andarono a Capponi e oggi dovrebbero – o potrebbero – riversarsi, se non tutti almeno in gran parte, su Pettinari. Ma davvero tranquilla? Beh, fino a un certo punto. Perché fra i militanti del Pd e dell’Udc persistono i mal di pancia di cui abbiamo detto e perché la Sel, declinati gli inviti del Pd e affratellatasi con la sinistra radicale, usa, al contrario, toni bellicosi (“Fra l’originale e i cloni – allusione all’Udc, ndr. – vince sempre l’originale, cioè Berlusconi”, “La coalizione di Pettinari non è di centrosinistra ma di centrocentro”, “Lui arriverà terzo se non quarto”) e minaccia di strappare consensi al Pd.

E il centrodestra? Considerando la vittoria del 2009, l’annullamento di quelle elezioni per una irregolarità di cui non ha colpa e gli imbarazzi del fronte opposto, ci saremmo aspettati un comportamento da “Forza tranquilla” anche su questo versante. Ma così, specie per bocca  degli esponenti nazionali, non è. E lo stile fa pensare a una sorta di “Forza agitata”. Capponi, certo, fa leva sui risultati, a suo dire eccellenti, della propria amministrazione. E mette in guardia, com’è legittimo, contro la fumosità e la demagogia dei rivali. E segue un percorso fitto di incontri con categorie economiche e gruppi sociali. Ma assolutamente sbalorditiva è stata la sparata di Stefania Craxi: “La sinistra governa questa vostra bella regione come la mafia, la camorra e la ‘ndrangheta governano il sud!”. E di Fabrizio Cicchitto, con riferimento alla stagione di Mani Pulite: “All’interno del centrosinistra ci sono gli assassini politici diretti e indiretti di Forlani!”. E ancora di Cicchitto, contro lo scandalismo sulla vita privata di Berlusconi: “C’è stato un esponente di primo piano della Dc (allusione a Emilio Colombo, oggi senatore a vita, ndr.) notoriamente omosessuale ma nessuno gli ha rotto le scatole!”. E i massicci attacchi alla magistratura per la sentenza che esautorò Capponi, cavalcando la tigre inferocita del presunto “golpe eversivo” delle “toghe rosse” che complottano non solo alla procura di Milano ma perfino al Consiglio di Stato. E l’ossessiva insistenza, al limite della persecuzione personale, sul tradimento di Pettinari. Uno stile sanguigno. Più adatto al Parlamento, ormai diventato un set da film western, che alla tradizionale moderazione della terra delle armonie.

E non tira aria di “Forza tranquilla” neppure all’interno del centrodestra, visto che lì i dolori non si limitano alle pance dei militanti, come invece accade per l’Udc e il Pd, ma riguardano addirittura i rapporti fra le liste. I finiani corrono insieme a Capponi? Sì, ma Bocchino ha tirato fuori due aggettivi nient’affatto solidali: “Siamo distinti e distanti”. E Magdi Allam, pure lui unito a Capponi: “E’ difficilissimo definire l’appartenenza di Fini. Potrebbe essere di sinistra, di centro e di destra. Insomma, insegue il potere, costi quel che costi”. E Marco Bernabei, coordinatore de La Destra Macerata, anch’essa nello schieramento di Capponi: “E’ indecoroso trovarci nella stessa coalizione coi finiani di Fli”.

Ora, tirando le somme, è normale che tutti cerchino di vincere, tutti temano di perdere e tutti guardino col cuore in gola al momento della resa dei conti. Può darsi che la “Forza tranquilla” del centrosinistra sia una finzione destinata a nascondere la paura. Ma perché mai la “Forza agitata” del centrodestra? Imitazione dell’irruenza armata con cui Berlusconi affronta il voto di Milano? O caratteristica genetica dei partiti che lo compongono, originario cromosoma battagliero, vocazione culturale, scelta estetica? E se fosse il segno di una paura più forte di quella degli avversari? Anche per il centrodestra vale il calcolo aritmetico sui voti dell’Udc, che due anni fa garantirono la vittoria di Capponi, mentre adesso, in teoria, potrebbero decretarne la sconfitta? Plausibile, ma, ripeto, in teoria. E la teoria è portatrice di inganni. “Ci sono più cose in cielo e in terra di quante ne sogni la tua filosofia”, dice Amleto all’amico Orazio nella tragedia di Shakespeare. E stavolta queste cose più o meno palpabili sono parecchie: tradimenti, delusioni, disamori, rivalse, vendette, stanchezze ideali e morali. Intanto, con cinque pretendenti al trono, è da prevedere che nessuno vincerà al primo turno. E allora non si può escludere che nei tredici giorni precedenti il ballottaggio vi siano delle novità magari importanti, di sostanza ma anche di stile, di toni, di linguaggio. Con la “Forza tranquilla” che diventa agitata e la “Forza agitata” che diventa tranquilla. Chissà. Ma adesso, sempre in tema di campagna elettorale, mi si lasci assegnare il Premio della Coerenza ad Enzo Marangoni della Lega Marche, che si candida alla presidenza della provincia e nel primo punto del suo programma dichiara di battersi per l’abolizione delle province.



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