Da sinistra: l’assessore Narciso Ricotta, Romano Mari presidente dell’Ordine dei medici, il cardinale Menichelli, l’assessore regionale Sciapichetti
di Maurizio Verdenelli
Il dubbio. Fa capolino sul finire, quando ‘don’ Edoardo tira alle spicce implorando l’uditorio di lasciarlo andare a dormire perché si è fatto tardi. Il dubbio viene da un ‘addetto ai lavori’ come può essere un anestesista-rianimatore in riferimento a ‘sorella Morte’ (“ma perché si ha tanto timore solo nel nominarlo?” fintamente si sorprende il Cardinale). Dice il dottor Mauro Proietti: «Vengo chiamato in fretta e furia dalla Clinica Marchetti, al capezzale del primario in fin di vita. Mi chiedono di fare il possibile: lui sta ormai per morire. Tento il massaggio cardiaco.
Il primario, malato terminale mostra di riprendersi: pare un successo insperato. Effimero però: dopo tre giorni lui muore. Da allora mi porto dietro il dubbio se non fosse stato meglio lasciar fare alla natura il proprio corso ineluttabile». Un caso di «accanimento terapeutico» minimizza il dottor Romano Mari, che aveva introdotto per l’ultimo incontro ‘d’autunno’, il tema – Riflessioni sul fine vita- e l’atteso relatore: il cardinal Edoardo Menichelli. Il quale fino all’ultimo aveva tentato di rinviare il pressing del curatore Angelo Sciapichetti, dominus del circolo Aldo Moro. L’argomento infatti è risultato essere come ci si aspettava. Tanta e rovente attualità considerata la recente sentenza della Consulta: non è reato aiutare a morire chi coscientemente e per irreversibili condizioni psico-fisiche decide di staccare la ‘spina’. Quasi una pugnalata alle spalle per i medici cattolici come Mari, presidente dell’Ordine provinciale che solo pochi giorni prima (il 20 settembre) era stato ricevuto insieme con un centinaio di colleghi dal papa nella Sala Clementina. «Una grande emozione. Francesco si era inginocchiato davanti a noi chiedendo di continuare nel nostro compito di tutelare la vita. Per me poi una coincidenza cara: il 39. anniversario di nozze. Il pontefice aveva sorriso convenendo che, sì, continuava per me è mia moglie ad essere ….un bel peso».
Accanimento terapeutico, ‘accompagnamento’, suicidio assistito, eutanasia, il caso Dj Fabo, alla base della ‘contestata’ sentenza, e pure Englaro. Quasi una jungla malese per ‘don Edoardo che fra tante insidie si è mosso come Livingstone, definendo il Vangelo un libro laico aperto a tutti. Prendendo le dovute distanze dalla Consulta (“non tutto cioè che è legale è morale”) poi chiedendo quasi scusa per Mastro Titta ( il celebre boia papalino che eseguì a Camerino, in trasferta l’ultima decapitazione) che da solo smentiva l’assunto per cui la vita «è sacra, non di proprietà di alcuno, soprattutto nessuno ci può fare quello che… gli pare». Ed allora Mastro Titta? Aveva chiesto proditoriamente in ultimo l’ing. Alberto Costantini, dopo che don Edoardo aveva sventato l’invidia di un altro a lui noto ‘intervistatore’: mi raccomando, Umberto, che’ non ti invito più a pranzo… Sull’accanimento terapeutico, Mari ha dato la propria ricetta. «Garantire sono alla fine idratazione e condizioni igieniche». Off the records, a telecamere spente e taccuini chiusi, il medico (che molti vorrebbero sindaco ma che ha gia’ esaurito, dopo 35 anni di politica i fatidici sette mandati e dunque s’abbisognevole di una deroga “che non chiedo”) ci ha riferito di un episodio ‘sulla via di Damasco’. «Per un malato terminale, avevo chiesto la tracheotomia. Inutilmente : dopo tanto mio insistere, quel giovane collega mi aveva però aperto gli occhi. ‘Perché procurare altro dolore in punto di morte? non c’è possibilità di salvezza’. Il malato mori infatti serenamente la mattina dopo».
Già, quanto costa al giorno un paziente alle casse pubbliche? Lo ho detto il card. Menichelli. 300 euro per un anziano all’hospice, 1.200 mediamente in ospedale, il doppio in situazioni particolari dove sono ineludibili prestazioni ad alta specialità. «Ecco perché pagare le tasse rappresenta una pubblica carità». Volutamente sul finale, sostenendo la prevalenza della morte in pace con il proprio contesto rispetto ad una morte ‘buona (“ma il dolore è maestro per ciascuno di noi”), il cardinale ha raccontato due esperienze vissute in una clinica oncologica per ricchi a Roma. «Stanza 306, il malato è un uomo ancora giovane, sposato, padre di due bambini. Si apre al dialogo con me sacerdote ed un giorno mi chiede quante speranze percentuali ha di vivere. Gli indico il primario. Che gli risponde: 30%. Sembra sollevato, ‘c’è speranza’ mi dice. Io gli faccio tuttavia notare quel preponderante 70% avverso e lo convinco al sacramento. Una decisione che condivide con la moglie. Dice sì, e riceve il sacramento. La famiglia è riunita accanto a lui. Muore il giorno dopo, serenamente». Poi un altro episodio, a rimarcare la differenza con i sostenitori del no allo zelo terapeutico. «Nella stessa clinica, un anziano sta morendo nella sofferenza. Il figlio medico mi chiede consiglio: gli inietto morfina? Meglio no, eventualmente raccomando la dose minima. Dopo l’iniezione, la fine. Non ho saputo quali ne siano state le cause». Pietà, diritti fondamentali della persona, tutela della vita, paura della morte in questa società del benessere estetico (“dove la natura è correggibile, anche le calvizie di Ciaffi” dice Menichelli rivolto ad Adriano che siede in prima fila), Parlamento che ha timore nel legiferare ogni partito tutelando i propri voti: insomma, per dirla con Leopardi, «covile o cuna, è funesto a chi nasce il dì natale». E per dirla con il Cardinale nella sua estrema sintesi conclusiva: «ogni uomo è un mistero». E ogni fine vita lo testimonia. «Importante che lasci di sé un buon testimone non tanto un ricco testamento…». E’ parola di ‘don’ Edoardo.
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Il cardinale Menichelli ha scelto un taglio antropologico legato al vangelo e all’esperienza cristiana, sacrificando volutamente un’analisi puntuale del tema del fine vita. Interessanti e tutti da discutere: il riferimento negativo al “giustizialismo”, inteso sia come deviazione del sistema istituzionale e sociale sia come atteggiamento personale a dispetto del “non giudicare”; la critica alle forme nuove dello “Stato etico”: quando legge e giudice, sfruttando una delega più o meno consapevole della società, sconfinano nella morale e nella coscienza; la denuncia di un approccio esistenziale solo “orizzontale”, nel pensare e nell’agire, che ignora ogni “trascendenza e soprannaturalità”; il rifiuto di una concezione proprietaria della generazione e della educazione dei figli, che spunta anche nel linguaggio: “ho fatto un figlio…figlio mio”. Il dottor Proietti alla fine ha riportato l’attenzione su alcuni temi cruciali attorno ai quali il dibattito non può che ripartire: la qualificazione di alimentazione e idratazione artificiali come trattamento sanitario o no (peraltro legge e giurisprudenza hanno già messo dei punti fermi); la distinzione, nella pratica e nella teoria, tra sedazione profonda ed eutanasia; l’accanimento terapeutico… Nelle ultime settimane almeno altre tre iniziative, oltre a questa del circolo Aldo Moro, hanno affrontato a Macerata le materie attinenti al fine vita: un convegno del Popolo della Famiglia e del Cdu, l’incontro di Villa Potenza con padre Alberto Maggi, il seminario della Fondazione Veronesi col Notariato a palazzo del Mutilato. Intanto, la chiesa italiana nel tempo di Francesco, dalla Cei ai fedeli laici impegnati nella società e nella politica, non sembra aver ancora trovato un suo metodo di presenza e di azione originale e attuale, che sia diverso ma all’altezza di quello delle battaglie culturali ruiniane.
Ma che c’entrano Sciapichetti e Ricotta con il fine vita? I misteri sono due. E la bigotta Lega non c’è.
Almeno uno non è un mistero.Evidentemente esser stato cacciator di voti ( condizione da cui si raccoglieranno sicuramente ancora frutti, almeno lo si spera) ai vertici di associazioni locali di volontariato molto vicine per loro natura alla sanità, rende dotti su tematiche di ogni tipo , sia teologiche che filosofiche che improntate alla visibilità. A pensarci bene, naturalmente stiamo parlando di situazioni politiche ben più in alto di una semplice kermesse cittadina a cui comunque essendoci tra i presenti una certa analogia di pensiero, tutto aiuta.
1358. Er frutto de la predica
Letto ch’ebbe er Vangelo, in piede in piede
quer bon Padre Curato tanto dotto
se piantò cco le chiappe sul paliotto
a spiegà li misteri de la fede.
Ce li vortò de sopra e ppoi de sotto:
ciariccontò la cosa come aggnede;
e de bbone raggione sce ne diede
piú assai de sei via otto quarantotto.
Riccontò ’na carretta de parabbole,
e cce ne fesce poi la spiegazzione,
come fa er Casamia doppo le gabbole.
Inzomma, da la predica de jjeri,
ggira che tt’ariggira, in concrusione
venissimo a ccapí cche ssò mmisteri.