di Leonardo Giorgi (foto di Fabio Falcioni)
«Fuori uno, adesso tocca agli altri» ha detto la mamma di Pamela, Alessandra Verni, subito dopo la sentenza di Corte d’assise di Macerata che alle 19,52 di questo pomeriggio ha condannato il nigeriano Innocent Oseghale all’ergastolo e a 18 mesi di isolamento diurno. Tra gli abbracci la madre di Pamela ha confessato quello che è ora il suo desiderio e che ha annunciato sin dall’inizio: trovare i complici del 31enne nigeriano, che secondo lei e la sua famiglia ci sono. Applausi alla mamma all’uscita del tribunale di Macerata. Alessandra Verni si è trovata di fronte un muro di telecamere per ricevere le prime parole. «Cosa ho provato quando ho sentito ergastolo? Gioia. Ci speravo nell’ergastolo, io credo nella giustizia e oggi è stata fatta. Ci deve rimanere a vita in carcere».
Dopo la sentenza il primo pensiero è andato alla figlia uccisa. A lei oggi direbbe «Ti amo e ti amerò per sempre. Ho sognato Pamela tante volte, come la notte in cui ho compiuto 40 anni. Mi è venuta in sogno e ci siamo abbracciate forte. L’ho sognata anche ieri. E’ stato un bel sogno, ma questo non ve lo racconto». Fuori dall’aula, commosso, anche il padre di Pamela, Stefano Mastropietro. «Mi sento molto più leggero – ha detto -. Questa notte non ho dormito. Sono sempre stato ottimista, immaginando sarebbe finita così. Seguire il processo è stato pesante, nonostante avessi già visto quelle immagini».
Prima di tornare a Roma, la mamma ha baciato il grande manifesto con il volto di Pamela appeso davanti il tribunale e ha sussurrato «Grazie Patata». Sotto gli occhi della ragazza, i parenti e gli amici della famiglia Mastropietro si sono abbracciati e hanno intonato cori dedicati a Pamela. «Ringraziamo la procura per aver insistito fino all’ultimo con l’ipotesi della violenza sessuale e alla fine abbiamo vinto – ha spiegato l’avvocato della famiglia Mastropietro, Marco Valerio Verni, zio di Pamela -. E’ la vittoria della civiltà contro le barbarie. Il caso di Pamela è unico negli ultimi di 50 anni. Le brave persone hanno vinto contro persone orrende. Da zio, sono contento amaramente, per aver contribuito a rendere giustizia a mia nipote. Quando divenni padrino di Pamela avevo giurato che avrei fatto di tutto per proteggerla. E’ stato un lavoro duro, ma il fatto di essere zio mi ha dato la forza di non mollare e di andare avanti anche nei momenti difficili, che ci sono stati. Dei dubbi sul coinvolgimento di altre persone ci sono come già dichiarato, noi andremo avanti con altre azioni giudiziarie consentite. Vogliamo che niente rimanga inesplorato su questa vicenda, incluso il coinvolgimento della comunità Pars».
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Io penso che non ci sia nulla da ridere…
Paoloucci, concordo in pieno con lei, non c’è nulla da ridere, Pamela non è tornata in vita!
In un processo di questa portata dove la condanna per omicidio volontario non era certa già scritta, altro che risata.
Viene il sospetto che i giornali in tanti (tutti?) casi cerchino volutamente scatti, selezionandoli tra tutti quelli esistenti, che siano in contrasto con quello che dovrebbe essere il normale (appropriato) atteggiamento delle persone in quei casi.
Non sono belle e di cattivo gusto le immagini nel vedere la mamma che esulta come se avesse fatto un gol,un po’ più di contegno non guasterebbe dopo la tragedia che ha colpito i famigliari e l’intera comunità maceratese
Certo la sentenza non riporta in vita Pamela, ma non possiamo neanche immaginare il senso di liberazione della madre dopo una lunga attesa per sentire arrivare quella che tra le sentenze “consentite” dalla legge è la più auspicabile.
A Valerio Bonci: forse temeva l’assoluzione?