di Filippo Davoli
“Linuccio, non toccare la torta che si sbriciola!”, avrebbe gridato preoccupata la mamma casalinga mantovana al figlioletto dopo aver sfornato una Sbrisolona fenomenale: “poi, una volta che l’hai fatta cadere non c’è più!”, avrebbe concluso perentoriamente tentando di far leva sulle papille vogliose del bimbo pasticcione. Il quale – sia pure controvoglia – avrebbe (ci si augura) certamente desistito dall’insano proposito.
Nella capitale della cultura in pectore (come al conclave: chi entra papa esce cardinale…), l’acrilico sbrisolone del concittadino illustre non ha goduto delle medesime premure riservate dalla mamma mantovana al figliolino. Pure lui: ma fallo su cemento armato, no? Ma che artista sei? Perché un filino di colpa, dai ammettiamolo, ce l’ha proprio lui, il buon Wladimiro: ma fai fare due analisi al controsoffitto, prima di dipingerlo, no?
Qui ce la stiamo mettendo tutta per dare un’impronta culturale alta alla città: anzitutto una strettissima collaborazione con l’Università, e poi il museo diffuso, la lirica, il teatro, le carrozze, la nuova illuminazione, il restyling della piazza, gli Stati generali della Cultura (altro che la Rivoluzione francese!), libriamoci di qua e di là, “racconta un racconto un incanto un incontro” (da “La pioggia di Marzo” di Tom Jobim), la commissione tecnico-artistica per l’ornato pubblico, il prodigioso lifting di Esculapio nel Cortile Municipale, lo Swatch più grande del mondo (roba da Guinness dei primati, per la gioia dei turisti), e tu? Che fai? Ti metti con la testa a 90° per realizzare un acrilico sul labile controsoffitto della farmacia centrale (si chiamava così)?
Sei stato un dispettoso, Wladimiro: perché di queste bravate ne hai fatte anche altre: io stesso ne ho scovati almeno altri tre, di questi tuoi dipinti strampalati. Erano (sono, vorrei sperare…) uno dalla parte interna della porta di un’abitazione privata all’inizio di Viale Don Bosco; un altro al piano superiore di un negozio di abbigliamento proprio in centro. Dovrei averle fotografate entrambe: perché tu ‘sto benedetto museo diffuso l’hai proprio voluto diffondere ovunque e, hai visto mai (ho pensato) che qualche nuovo affittuario non si rende conto di quel che ha in casa e cambia il portoncino, buttando il vecchio nel caminetto per le invernate più fredde? Il commerciante no, lo conosco personalmente e so che sa quello che ha in casa. Però c’è il “post-terremoto” in agguato, e ti fa vedere che arriva anche lì un’impresa per il consolidamento e lo fa fuori: gliel’ho detto proprio ieri, all’amico commerciante – a caldo, dopo aver scoperto cos’è successo ai Chimismi. Il terzo, infine, mi dicono che sta lungo le scale che dall’ingresso conducono al bar dell’Ospedale civile.
Tulli benedetto, ma come ti è venuto in mente? Sei mica Giotto, che vai in giro a fare affreschi e dipinti in acrilico (anche in una banca sangiorgese, che me lo ricordo quando ti facevi chiudere là dentro di notte per dipingere anche lì il soffitto). Facevi già le tue belle tele giganti e le coloratissime ceramiche (che poi… ma che ti metti a dipingere sui piatti di ceramica, che poi si possono rompere? È proprio una fissazione! Prenditi un set di piatti di plastica, no? Avresti dovuto semplificaci la vita, invece di complicarcela, porca miseria!). Dovevano murarla, la porta di questi locali: c’era anche il bell’esempio del portoncino di casa Liviabella proprio lì sotto. Adesso invece che si fa, con i Chimismi polverizzati? Tulli, ci hai rovinato: vedi che guaio, a fidarsi di te? Una leggerezza imperdonabile: adesso la Sbrisolona s’è sbrisolata. La capitale della cultura se n’era già andata… e tocca a noi rimontare i cocci.
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Sig Davoli che vogliamo fare se siamo tutti superficiali, capiscioni, privi di istruzione, purtroppo la nostra società ora è questa, prendere o lasciare. Scusi lo sfogo.
Può dispiacermi che abbiamo perso un Tulli del ’55, signor Monachesi? Ho cercato di tenermi sull’umoristico (ma sono amareggiato e molto); penso che è un vero peccato scivolare su bucce di banana come queste, mentre si vorrebbe peraltro giustamente dare un’interpretazione culturale attendibile alla nostra città. Io pratico lo sfottò, e siamo d’accordo, ma mi serve dialetticamente per far capire che a volte basterebbe tanto poco: un filo di prudenza, un coinvolgimento anticipato di esperti della materia. Può succedere, per carità: ma oggi – contrariamente alla sua visione della nostra attualità – ci sono tutti i mezzi possibili e immaginabili per evitare che accadano queste cose.
E quindi, a maggior ragione qui, non devono poter accadere.
È qualcosa di imperdonabile, è evidente che chi faceva i lavori, oltre ad essere privo di ogni premura, non era neanche stato avvisato dell’importanza dell’opera ed è proprio qui che si giocherà il rimbalzo di responsabilità. Una impresa se avvisata di norma fa quello per cui la si paga, anche l’ultimo dei traslocatori sa che non deve rompere gli oggetti che maneggia. Per Davoli: nonostante il tono scherzoso la rabbia si capisce eccome, in questa vicenda c’è del grottesco per non dire ridicolo.
Ah ah ah.