Caso “Cannabis light”,
l’abbaglio della Circolare Olivero
Thc sempre più pericoloso

IL COMMENTO - Solidarietà al questore Pignataro che, unico in Italia, ha fatto valere il divieto di vendere prodotti ad uso ricreativo e che contengono il principio attivo della marijuana. Centinaia i negozi aperti nel nostro Paese in base ad una errata interpretazione di una disposizione del vice ministro delle politiche agricole e forestali e ad un decreto legge che però prende in esame solo la coltivazione della canapa, non il commercio. Un business da 40-50 milioni di euro annui: dalle vendite col pony express allo stop di Macerata

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L’avvocato Giuseppe Bommarito presidente dell’associazione Con Nicola oltre il deserto dell’indifferenza

 

di Giuseppe Bommarito*

Sono medaglie al valore le scritte offensive sui muri comparse di recente a Macerata e in altre città della provincia contro il questore Antonio Pignataro, nei confronti del quale – se vogliamo dirla tutta – la solidarietà politica ed istituzionale è stata sino ad oggi piuttosto risicata, quasi imbarazzata. Quelle scritte ingiuriose costituiscono infatti la prova migliore dell’efficacia dell’azione di contrasto contro i trafficanti di morte portata avanti da mesi nella nostra zona, senza un attimo di respiro, dalla polizia, nonché dai carabinieri e dalla Guardia di finanza. E, in particolare, almeno per quanto concerne le ultime settimane, nascono anche dalle inchieste aperte a Macerata riguardanti i negozi della cosiddetta cannabis light, che hanno dato vita ad una vicenda giudiziaria dalle rilevantissime implicazioni economiche e politiche.

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Il questore Pignataro

Una vicenda che – fatto il dovuto riconoscimento al coraggio e all’intraprendenza investigativa del questore Pignataro e chiarito che la cannabis terapeutica ha una sua precisa e ben distinta regolamentazione – merita quindi un approfondimento, anche perché ben evidenzia la presenza e l’influenza, all’interno delle istituzioni statuali, di personaggi manovrati dai fortissimi interessi legati al mondo della droga e della criminalità organizzata (due facce, come è noto, della stessa medaglia) e da tempo in lotta con organismi tecnici e scientifici anch’essi statali, quali il Dipartimento Nazionale Antidroga e il Consiglio Superiore della Sanità, che stanno invece sostenendo, un giorno sì e l’altro pure, l’estrema pericolosità della cannabis attualmente in commercio (con il principio attivo, il Thc, che oggi arriva al 50-60 per cento, a fronte del 3-4 per cento di qualche decennio addietro), soprattutto nei riguardi di giovanissimi e adolescenti, ragazzini il cui sistema cerebrale è ancora in fase di formazione e che sono ormai l’obiettivo privilegiato dell’attività di spaccio.
cannabis-light-2-650x488In questo contesto di durissimo scontro, con la classe politica che nel migliore dei casi nicchia, ecco allora, per piazzare strategicamente un primo colpo in vista della futura legalizzazione e per sminuire psicologicamente la pericolosità di questo primo approccio alla droga (la cannabis, tra l’altro, è spesso la sostanza apripista, che porta poi ad altre sostanze, in una prassi che peraltro è sempre più quella del policonsumo, dell’uso indiscriminato di tutte le sostanze disponibili sul mercato a seconda dei contesti e delle esigenze di un particolare momento), la bella invenzione della legge 2 dicembre 2016 n. 242 (disposizioni per la promozione della coltivazione e della filiera agroindustriale della canapa), che in breve tempo, grazie ad interpretazioni assolutamente erronee basate esclusivamente su una circolare datata 22 maggio 2018 a firma di Andrea Olivero, vice ministro delle politiche agricole e forestali (che non può certo prevalere sulle norme di legge in materia), sta portando all’apertura di centinaia di esercizi commerciali che vendono a destra e a manca cannabis light.
L’affare si appalesa subito enorme, tanto che subito aprono in Italia, in un brevissimo arco di tempo, quasi 700 negozi con l’ammiccante e ambigua insegna “Cannabis Light” o “Cannabis legale”, esercizi che peraltro richiedono un investimento iniziale abbastanza impegnativo, sui ventimila euro, cifra non certo alla portata di tutti e tale quindi da far drizzare le antenne alle alte sfere delle forze dell’ordine per un più che probabile interessamento della criminalità organizzata alla vicenda ed al grande business ad essa sotteso.
Nessuno nell’immediato, nonostante l’evidente assurdità e illiceità di questa storiaccia, trova da ridire e gli affari prendono velocemente una piega più che favorevole agli esercenti (la previsione è di circa 40/50 milioni di euro di vendite annue), arrivandosi in alcune grandi città persino alle consegne a domicilio tramite pony express, sino a quando a Macerata, ove in breve tempo aprono ben due negozi, scoppia la grana attivata dal questore Pignataro e almeno per il momento il meccanismo si blocca. Raccogliendo infatti un “alert istituzionale” dei vertici della polizia di stato, il questore di Macerata (l’unico in Italia, e ancora non è dato capire perché altre questure non si siano mosse, sebbene l’operazione abbia ottenuto l’avallo del capo della polizia Gabrielli) con un blitz inatteso e ardito sequestra con l’autorizzazione della magistratura circa 800 prodotti contenenti cannabis (in qualche caso con gradazione di Thc anche superiore al 6 per cento) nei due negozi siti a Macerata città, venduti come oggetti cosiddetti da collezione e come deodoranti ambientali; indaga il titolare e gli addetti alla vendita per spaccio; e infine fa chiudere per 15 giorni i due esercizi con un provvedimento cautelare avente finalità di prevenzione emesso in base all’art. 100 del Tulps.
questura-cannabis-light-shop-3-650x488La motivazione è limpida e semplicissima. La legge n. 242 del 2016, che si occupa solo della coltivazione della canapa e della filiera agroindustriale della stessa, così come la sciagurata circolare sopra ricordata, non possono in alcun modo far sì che vengano venduti prodotti destinati al consumo, o anche passibili di consumo, contenenti il principio attivo della cannabis, cioè il Thc, qualunque ne sia la graduazione, perché ciò è vietato dal testo base attualmente vigente sugli stupefacenti, il Dpr n. 309/1990. Il negoziante commette quindi un reato ove venda tali prodotti e il cliente consumatore pone in essere un illecito amministrativo che porta alle note conseguenze in termini di patente, passaporto e porto d’armi. Oltretutto, il Consiglio superiore della sanità con un parere reso noto il 21 giugno scorso, ha raccomandato “nell’interesse della salute individuale e pubblica” di escludere la libera vendita di prodotti contenenti Thc, qualunque ne sia la graduazione, perché, se anche a basso dosaggio, non se ne può certo escludere la pericolosità.
La battaglia legale a Macerata e dintorni è comunque ancora in corso, visto che da parte del tribunale del riesame c’è stato solo un parziale dissequestro dei prodotti sequestrati (quelli che non erano stati sottoposti ad analisi), ed ora bisognerà attendere le prime pronunzie della Corte di cassazione sul punto, mentre il nuovo ministro della Salute Giulia Grillo, che pure è un medico, anziché prendere immediata posizione a tutela della salute dei consumatori su una questione così rilevante, sta prendendo solo tempo.

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La chiusura di un negozio in centro storico a Macerata

Quel che sin d’ora deve essere chiaro è però che la legge n. 242 del 2016 consente solamente la coltivazione, e solo con determinate finalità (per prodotti alimentari e cosmetici, semilavorati, materiale per l’edilizia, florovivaismo), di prodotti a base di canapa contenenti principio attivo Thc tassativamente ricompreso nel range 0,2/0,6. La legge non parla in alcun modo della commercializzazione per uso ricreativo, vale a dire per il consumo, delle cosiddette infiorescenze della canapa, cioè le gemme, i fiori, in altri termini la parte fumabile della pianta. E non è assolutamente vero, come furbescamente sostengono i legali dei grandi gruppi entrati in questo grande affare, che il legislatore, non legiferando sul punto, avrebbe lasciato campo libero alla vendita della cannabis cosiddetta light, perché – dicono – ciò che non è vietato è consentito. In realtà infatti, la commercializzazione era e resta espressamente vietata, qualunque ne sia la gradazione, e pertanto anche al di sotto dello 0,2 per cento di principio attivo, dal Dpr n. 309/1990, laddove sia la cannabis che lo stesso Thc compaiono tra le sostanze tabellate per le quali non sono consentiti il commercio, la vendita e l’offerta in vendita.
Altrettanto chiaro è che in questa vicenda non sono in ballo principi e ideali di libertà, ma solamente interessi milionari, con la criminalità organizzata sullo sfondo pronta ad arricchirsi ancora di più con la gestione almeno di una parte del mercato. E interessi politici legati alla pura e semplice acquisizione di fasce di consenso, prescindendo totalmente e inconscientemente dalle negative ricadute sociali e sanitarie soprattutto sui consumatori più giovani. Insomma, ancora una volta il nostro Paese sta dimostrando che non solo non vuole combattere l’epidemia gravissima delle droghe, ma che, al contrario, sta facendo di tutto per agevolarne la diffusione.

*Avvocato, presidente dell’associazione “Con Nicola, oltre il deserto di indifferenza”



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