La midicina de ‘na ‘orta

LA DOMENICA con Mario Monachesi
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Mario Monachesi

 

di Mario Monachesi

Un tempo quando le farmacie non erano così numerose, specialmente in campagna un buon numero di malanni veniva affidato alle cure della cosiddetta “medicina popolare”. Tra letture, racconti dei più anziani e ricordi personali, eccone un piccolo campionario. Il mal di denti si curava mettendo nella carie un acino di sale oppure un chiodo di garofano, oppure facendo sciacqui con mistrà o aceto forte. Per pulirli si usava invece la salvia o il carbone di legna in polvere, oppure si abbrustoliva la mollica e una volta nera la si strofinava sui denti.

malva

Foglie di malva, pianta curativa

Per gli orecchioni (“ricchjù”) si ungeva la parte sottostante l’orecchio con olio di oliva molto caldo e si copriva il tutto con una pezza di lana.
Per la tosse (“tosce”) si usava bere, prima di mettersi a letto, un decotto ben caldo di “mele ruzze”, malva, fichi secchi e zucchero. L’artrite si curava bevendo l’urina ancora calda, cioè appena fatta. Gli ascessi (“vroscioli”) venivano trattati o con impiastri di malva oppure con bagnoli bollenti di acqua e sale. I bernoccoli venivano sgonfiati applicandovi sopra una poltiglia di crosta di pane ben masticata prima, oppure con l’applicazione di carta paglia bene bagnata di saliva. Per la diarrea (“sciorda”) si facevano bollire le sorbe e poi se ne beveva l’acqua, oppure veniva usato il succo di limone. Sulle emorroidi si applicavano pezze bagnate di un infuso di sambuco grattato. L’insonnia invece veniva sconfitta bevendo un decotto di fiori di papavero.

rimedio-aglio-limoneSe era un bambino a soffrire d‘insonnia, subito dopo aver fatto il pane, esso lo si chiudeva nella madia (“mattora”) per il tempo che si recitavano le litanie (“laude”), dopo di che esso risultava guarito. Per i malanni di gola il giorno di San Biagio si andava in chiesa a prendere la benedizione, per riacquistare la voce perduta o abbassata si usava mangiare la sardella, o fare i gargarismi con acqua, aceto e sale, oppure fasciare la gola con la lana. Per gli spaventi si dava da bere acqua fresca oppure si faceva annusare l’aceto. Dallo spavento si diceva che avesse origine il mal caduto (“marcaduto”), l’itterizia, le convulsioni e i vermi nei bambini. La pressione alta si curava facendo bollire foglie di olivo e poi se ne beveva l’acqua, almeno 3 bicchieri al giorno. Sulle punture di vespa veniva applicata una lama di coltello. Il raffreddore veniva curato con i suffumigi (“fumendi” o “sfuméndi”) cioè ben coperti si respirava i vapori d’acqua bollente con aceto forte, oppure si usava il brulè: vino crudo fatto bollire con pepe, cannella e chiodi di garofano, da bere prima di andare a letto, o ancora mettendosi sotto le coperte con un mattone caldo ai piedi e un sacchetto di cenere sempre calda sul petto. Altri sistemi erano quelli di ungersi il naso con olio d’oliva caldo e fasciarsi con una pezza calda, oppure bere, una volta a letto, un decotto di fiori seccati di sambuco con l’aggiunta di miele o zucchero. Per i reumatismi, in campagna, dopo aver sfornato il pane, introdurre il sofferente nel forno, lasciandogli fuori la testa. Chi voleva invece purificarsi il sangue, faceva bollire la cicoria campagnola, la teneva esposta per una notte e poi, specie in primavera, ne beveva un bicchierino ogni mattina.



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