di Giuseppe Bommarito *
A fine giugno, sulla spiaggia di Porto Recanati, a ridosso della pineta comunale che vide tempi sicuramente migliori e che oggi sopravvive triste e spelacchiata tra sporcizia, spaccio a cielo aperto e prostituzione, ecco inaspettatamente materializzarsi l’eccezionale ritrovamento effettuato all’alba dagli increduli carabinieri in servizio di vigilanza: circa otto quintali di marijuana, in gran parte lasciati sulla sabbia accanto ad un gommone d’altura “spiaggiato” e ormai fuori uso, ed in parte malamente nascosti in mezzo ai cespugli.
Tra i molti interrogativi balzati in mente agli inquirenti, subito era comunque emersa una certezza: proprio quello, o comunque un punto di costa nelle immediate vicinanze, era il luogo preordinato di consegna della droga, un quantitativo veramente notevole contenuto in circa trenta pacchi sapientemente incellophanati, del valore, una volta venduto al mercato dello spaccio minuto, di diversi milioni di euro. In attesa, nel buio della notte, dovevano quindi esserci alcuni complici nel malaffare, attrezzati a ricevere e caricare velocemente la “roba” e a portarla in qualche sicuro punto di smistamento. Certezza avvalorata non solo dall’esame dei tracciati dei radar che battono la fascia costiera, ma anche dall’avvistamento in zona, nelle primissime ore di quel 29 giugno 2017 che sicuramente e giustamente rimarrà negli annali dei militi dell’Arma, di alcuni uomini e di un paio di automezzi sospetti, repentinamente dileguatisi tra la vicina foce del Potenza e la campagna situata nella parte sud di Porto Recanati.
Qualcosa deve essere poi avvenuto nelle ultime fasi del tragitto verso le Marche, un guasto al motore o forse il mare più grosso del previsto, qualche sorpresa che comunque ha costretto i trafficanti di droga a spiaggiarsi laddove è stato possibile e, dato per perso il gommone ormai inutilizzabile (a bordo del quale erano anche le taniche di benzina occorrenti per il viaggio di ritorno), a tentare nonostante tutto la consegna ed il carico sui mezzi deputati a ricevere la merce proveniente dall’altra sponda dell’Adriatico, dall’Albania, paese definito da qualche tempo la Colombia dell’Europa, dove da anni intere zone sono dedite alla coltivazione massiccia di cannabis “potenziata” e dove i proventi criminali sono ormai divenuti strumento di sopravvivenza per i coltivatori e di veloce e smisurato arricchimento per i trafficanti. Tentativo di consegna in extremis sventato dalla presenza in zona di una pattuglia dei Carabinieri di Porto Recanati, sicuramente segnalata a mezzo telefono, che ha infine indotto gli infami trafficanti a tagliare la corda, per essere poi recuperati e fatti sparire dagli addetti al ritiro della droga, rimasti almeno in questa occasione a mani vuote.
Il mare grosso in quella mattinata di pochi giorni fa, si diceva sopra, potrebbe aver guastato i piani dei trafficanti. L’ipotesi è plausibile, anche se, a detta della Direzione Investigativa Antimafia, la DIA, la maggior parte dei viaggi via mare destinati a trasportare in Italia la marijuana prodotta nei Balcani, principalmente in Albania, viene effettuata proprio quando le condizioni meteo sono avverse, confidando, da un lato, nella perizia dei piloti e nell’affidabilità dei potenti gommoni di altura utilizzati, e, dall’altro, nella conseguente maggiore difficoltà dei servizi di pattugliamento via mare e via terra da parte delle forze dell’ordine. Più probabile, quindi, nel caso specifico un imprevisto guasto del natante, che ha impedito il programmato svolgersi delle operazioni di avvicinamento alla spiaggia nel previsto punto di approdo, lo scarico dei pacchi di droga e la consegna a chi di dovere. Un’altra certezza si può ricavare dalla vicenda del gommone spiaggiato con il suo carico di droga di immenso valore nel litorale di Porto Recanati, di fronte alla macchia verde della pineta Volpini: ormai la rotta balcanica, quella riguardante la cannabis prodotta in Albania e trasportata via mare (ma utilizzata anche, quale tratto finale, per l’eroina proveniente dal Pakistan e dall’Afghanistan), viene spalmata sulla costa adriatica, non riguarda più solo il Salento o comunque le coste pugliesi, ma interessa anche il litorale marchigiano. Ciò per evitare i pattugliamenti che sono all’ordine del giorno nel Canale d’Otranto ed anche perché la sempre maggiore quantità di droga che nottetempo viaggia dall’Albania all’Italia, centinaia di chili per volta, richiede necessariamente l’individuazione di una pluralità di punti di approdo. E le Marche (dove in mare o in spiaggia anche nel 2015 e nel 2016 sono avvenuti altri importanti ritrovamenti di grandi quantitativi di cannabis), con molti tratti di costa letteralmente affiancati dalla strada statale 16 e dall’autostrada, si prestano particolarmente alle esigenze delinquenziali di velocizzare al massimo lo sbarco della droga ed il carico a bordo degli automezzi destinati al successivo smistamento.
Le Marche, quindi, come isola felice non solo delle mafie italiane, ma anche dei trafficanti di droga albanesi, i quali utilizzano per i loro sporchi traffici via mare anche decine e decine di autoveicoli che arrivano nel porto di Ancona a bordo di traghetti di linea. Peraltro, i vertici dei sodalizi criminali albanesi possono contare, come è noto, sulla diffusa presenza in zona marchigiana di importanti punti di appoggio, cioè di “colleghi” della medesima etnia ormai stanziati da anni soprattutto nella fascia costiera e qui felicemente operanti nello spaccio e nel controllo della prostituzione, nonché sulla palese inconsapevolezza delle istituzioni e della società civile delle Marche circa il pericolo mortale, soprattutto per le giovani e giovanissime generazioni, costituito dalla droga e dalla criminalità organizzata italiana e straniera (ed è bene ripetere che la droga e le cosche della criminalità organizzata sono le due facce della stessa medaglia).
D’altra parte, la pur grande soddisfazione per il sequestro degli otto quintali di cannabis “spiaggiati” a Porto Recanati non deve far dimenticare che nella nostra regione, statisticamente parlando, la droga (complessivamente intesa: eroina, cocaina, ecstasy, cannabis, amfetamine, sostanze sintetiche) intercettata dalle forze dell’ordine raggiunge appena il dieci per cento del totale: sono inequivoche in questo senso le periodiche relazioni della DIA, del Dipartimento Politiche Antidroga e della Direzione Nazionale Antimafia. Sicchè il novanta per cento del veleno che arriva nelle Marche circola liberamente e arriva a destinazione, cioè per la maggior parte nella disponibilità di ragazzini e adolescenti che, stravolti da un’offerta così massiccia e disinvolta, iniziano a rovinarsi la vita appena usciti dalle scuole elementari, nel silenzio spesso complice delle istituzioni. Viene quindi spontaneo chiedersi se le forze dell’ordine e la magistratura riusciranno ad invertire, sia pure lentamente, la terribile situazione in atto nella nostra regione. Certo, sino ad oggi non ha fatto ben sperare la situazione della Direzione Distrettuale Antimafia (DDA) delle Marche, di recente visitata e cortesemente sollecitata, a quanto se ne sa, a darsi una mossa dalla senatrice Rosy Bindi, presidente della Commissione Parlamentare Antimafia. Come è possibile infatti che dormano da anni, nei polverosi uffici della Procura distrettuale marchigiana, fascicoli riguardanti enormi operazioni di riciclaggio di soldi sporchi investiti in centri commerciali (che per un inevaso obbligo di legge dovevano essere oggetto di sequestro quando ancora erano in fase di costruzione), operazioni risultanti anche dagli stessi bilanci societari ed oggetto di specifica segnalazione da parte di istituti di credito in quanto sospette, nonché letteralmente qualificate dalla Procura di Macerata come di opaca provenienza (in quanto non tracciabili)? Per il momento ci suò solo augurare che la visita anconetana della Commissione Parlamentare Antimafia porti ad un reale e veloce cambio di passo nella finalizzazione delle indagini e che sia finalmente finita la fase della grave disattenzione e dell’inefficienza della DDA marchigiana, clamorosamente denunciate lo scorso anno da Vincenzo Macrì, all’epoca Procuratore Generale presso la Corte di Appello di Ancona.
* Giuseppe Bommarito, presidente dell’Associazione “Con Nicola oltre il deserto di indifferenza”
Un mare di marijuana: gommone si arena, a bordo 7 quintali di droga
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i risultati del proibizionismo….
Caro Ghergo, sono i risultati del menefreghismo di chi dovrebbe controllare. Se tanta “roba” gira è perché qualcuno, poco preoccupato della sanità mentale dei nostri ragazzi, la vuol far girare. Credo che le organizzazioni malavitose sono ben protette per permettersi di operare così tranquillamente e massicciamente. E’ ora passata che ciò finisse.
Nella pineta, da bambini ci si andava a giocare perché sembrava una giungla da esplorare. Ora è davvero penoso guardarla. Altri tempi, altre persone altri modi di vivere sicuramente più semplici e amabili. Ho letto il suo articolo e credo che la risposta alle tante domande sta proprio in quel punto interrogativo messo dopo la parola tracciabili. Anche negli ultimi tempi si potrebbe usare lo stesso punto interrogativo, quello e solo quello, preso a prestito e messo per tante di quelle faccende in cui farebbe la sua bella figura. Avvocato se non ci sono risposte perché neanche si cercano o si decidono in base alle …… non ci si può far niente. Non scrivo niente, se qualcuno legge può mettere la parola che vuole e io evito una possibile denuncia.
Per Sauro Micucci
Nell’ultima relazione annuale, risalente a qualche settimana fa, il Procuratore Nazionale Antimafia ha detto che la criminalità organizzata è riuscita a penetrare anche nelle istituzioni, nei servizi, nelle forze dell’ordine.
Affermazione giusta, che spiega molte cose.
Io, da osservatore e pure in quanto avvocato, posso dire che se gli inquirenti vogliono far prescrivere o finire su un binario morto un’indagine, anche molto importante, riescono a farlo tranquillamente e impunentemente.
Quando un’indagine per riciclaggio per milioni di euro viene trattata per anni come una normale faccenduola di evasione fiscale, così come avvenuto a proposito di un importante centro commerciale nel maceratese (che doveva, e sottolineo il “doveva”, portare ad un sequestro dell’area e del cantiere già in fase di costruzione), allora vuol dire che si preferisce garantire l’impunità alla criminalità organizzata. E i cittadini, che pure a parole vengono invitati a collaborare e a segnalare situazioni anomale, vengono presi in giro.
Carissimo avv.to, a conferma di quanto lei dice, posso garantirle che sono stata fino alle tre del mattino in una caserma a dire quanto era a mia conoscenza riguardo alla droga che viaggiava in un certo modo e a tutela di un povero cristo che aveva visto tutto e che temeva di essere coinvolto. Cosa che non farò mai più se non altro per l’ira di Dio che mi son tirata addosso. Con molta falsità e perbenismo, ci si rivolge alla società civile perché parli, ma quando lo si fa nessuno approfondisce e la pazza sei tu che racconti i fatti. Sempre la solita logica: così per la droga, così per gli illeciti politico-amministrativi ecc.ecc. Apprezzo la sua costanza nel denunziare ma, sinceramente, non so a quanto serva.