“Nunzio Bassi? Certe volte mi scappava di chiamarlo professore. C’era da capirmi: ero ancora studente al liceo classico Mariotti e qualche pomeriggio, strappato allo studio matto e disperatissimo in vista del terrificante (allora) esame di maturità, lo trascorrevo in redazione a ‘La Nazione’ dove lavoravano Mario Bencivenga, Umberto Puggelli, Gianfranco Ricci, Gianfranco Lucantoni e il fotografo Antonino Laurelli. Nunzio, il capo, aveva accettato la mia autocandidatura a collaboratore: l’idea mi era nata durante l’estate in piazza a Civitanova Marche. Mi disse subito, quell’adorabile burbero (come bene l’ha definito Roberto Conticelli) che in realtà un po’ di strizza la metteva a tutti: ‘L’importante è non mettere la testa all’ammasso’. Tuttavia la lezione vera, quel gran maestro di giornalismo cui devono tanto grandi firme della Rai, me la diede il 4 novembre. Quando mi inviò a far la cronaca della cerimonia ufficiale dell’anniversario della Vittoria. Era il 1967. Lo scrissi quel pezzo, impegnandomi molto. Lo portai un po’ tremante a Nunzio che lo lesse. Poi come dovesse ‘farmi la pagella’, sentenziò: ‘Siamo sul 6, ma poi quell’ultima frase ha incasinato tutto. Il voto complessivo quindi è molto più basso’. Trovai la forza per dire: ‘Ma cos’è che non va in quel finale: ‘Alla cerimonia hanno partecipato tutte le autorità civili, militari e religiose’? Son passati quasi 50 anni, e la risposta me la ricordo bene: “In Italia non esistono assolutamente autorità che si possono definire tali! Tienilo a mente se vuoi fare questo mestiere!”. Compresi all’istante e in quel preciso momento mi formai giornalista”.
Nell’Aula Magna del Centro italiano di studi superiori per la formazione e l’aggiornamento in giornalismo radiotelevisivo della Rai, a Ponte Felcino (Perugia) che lui per tre lustri ha diretto, un grande applauso dall’assemblea dei giornalisti è volato alto al ricordo di Nunzio Bassi, il ‘maestro’ morto a 75 anni nel 2013. Il ricordo (sopra) è stato di Maurizio Verdenelli, già inviato speciale del Messaggero per i Grandi Eventi dell’Italia centrale. “Il Consiglio dell’Ordine ha deciso di sottolineare il valore della tua lunga attività nella categoria conferendoti una targa che testimoni il tuo prezioso impegno professionale” è scritto nella motivazione del presidente Conticelli.
E’ stata una giornata particolare per il giornalismo umbro, il cui Ordine è stato fondato nel 1979. “Era una mattinata gelata, d’inverno: eravamo pochi noi giornalisti professionisti, appena il numero per poter uscire dall’Ordine romano e costituirne uno nostro. Erano tempi leggendari, atmosfere da film americani in b/n e vite 24 H dedicate alla professione: telefoni, telex, Olivetti 22, sala stampa comune in un bugigattolo messo a disposizione dalle Poste. Pochi dunque eravamo e contati, ed uno di noi quel giorno importante sembrava introvabile: scappato con una ‘straniera’ al Trasimeno era la voce un po’ infame al solito che girava a proposito di quella ‘scomparsa’. Non esistevano i cellulari e il notaio già se ne stava andando, avendo chiuso il librone, quando lo ‘scomparso’ apparve e tutti tirammo un collettivo sospiro di sollievo” ricorda ancora Verdenelli, uno dei fondatori.
Il presidente dell’Ordine ha consegnato i diplomi ai giovani che superando l’esame di stato sono entrati nella professione e per anzianità (60, 50, 40 anni) tanti nomi importanti: il successore di Bassi a La Nazione, Bruno Brunori maestro ‘pisano’ di generazioni e generazioni di giornalisti umbri tra i quali lo stesso Conticelli; Gianfranco Ricci, per anni n.2 della giunta esecutiva della Fnsi; Luigi Zizzari, che negli anni 60/70 fu capo della redazione del Messaggero a Macerata, Giuseppe Occhioni, Piero Pianigiani, Massimo Duranti e tanti altri. “Brunori ha portato a termine su di me il lavoro iniziato da Bassi al quale con Lucio Biagioni avevo ad un certo punto pomposamente offerto la direzione del giornale del Classico ‘Lo Zibaldone’ (altra fucina ‘grandi firme’: c’è un museo al Classico che lo celebra oltre a due libri). Nunzio, però, pur ringraziando, aveva declinato dato il suo ruolo professionale affidando tuttavia l’incarico a Lucantoni che poi si trovò a guidare il giornale studentesco finanziato dalla famiglia Spagnoli, nella tempesta del ’68. Altri maestri? Certo tanti. Per ultimo Mario Spetia (nobile ed antica famiglia di Bevagna) alla sede centrale di via del Tritone, al Messaggero. Con lui un ricordo ‘maceratese’. Assunto l’incarico di portavoce della Fiat a Roma, per l’Italia centrale e meridionale, Spetia aveva accompagnato a Macerata l’allora presidente Cesare Romiti in una cerimonia al cinema Italia che aveva vista premiata Maria Toni per l’invenzione delle tute ‘anti-pelucchi’ alla Ferrari. Romiti aveva una vera ammirazione per l’imprenditrice da poco scomparsa. Eravamo a metà degli anni ’80 e lungo il porticato del Palazzo degli Studi Mario, in possesso di uno dei primi cellulari in circolazione, mi fa: “Mi puoi ospitare in redazione? Il tempo di una telefonata: usare il cellulare all’aperto mi pare scortesia nei confronti dei passanti …”. Son passati trent’anni, o poco più: sembrano secoli.
Il Centro di Formazione di Giornalismo radiotelevisivo voluto a suo tempo dal presidente della Rai, Enrico Manca
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Caro Maurizio, è come se al riconoscimento abbiano partecipato tutti quegli amici e quei cittadini riconoscenti per avere scritto una parte della Storia di Macerata.
Caro Giorgio
grazie. Ci conosciamo da tantissimi anni e sappiamo moltissimo di noi, ma un episodio te lo voglio rivelare anche a te a proposito della mia attività nelle Marche. Erano ormai 15 anni che lavoravo alla redazione del ‘Messaggero’ quando una mattina al caffè Mercurio gestito dall’indimenticabile Franco Simoncini (in sinergia con Ruggero Rita e Pierino Camertoni), l’altrettanto indimenticabile arch. Mario Crucianelli, allora mio fiero antagonista per scelta ideologica di campo (quindi stimabilissima) fa a Francesca Benadduci, bravissima collaboratrice della redazione medesima: “Ma lo sa che il Suo capo (me medesmo ndr) non è riuscito in tutti questi anni a farsi neppure un amico da queste parti?!”. Mario non l’avrebbe mai sospettato, ma è quello è stato per me il massimo elogio, ed insospettabile, l’unica vera medaglia maceratese che mi sono appuntato al petto. Con Crucianelli, qualche anno dopo, siglammo un’umanissima pax tanto che mi dedicò il suo polemicissimo libretto: “De minimis non curat pretor”. Dove il pretor in questione era Gianfranco Fini, allora leader An. Per l’architetto fu quella l’ultima battaglia.
Maurizio complimenti, Macerata ti è riconoscente per le tante battaglie che sembrano continuare. I tuoi libri sull’assassinio di Enrico Mattei conferma il tuo coraggio. Non mollare Ivano Tacconi Macerata.