Fare sesso in ascensore?
No, ma c’è molto di peggio

Il caso di Civitanova e i commenti su Cronache Maceratesi. Tutto cambia, oggigiorno, anche il significato delle parole. E spesso cambia in meglio

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di Giancarlo Liuti

Seguitissima, su questo giornale, la vicenda di una coppia di giovani civitanovesi – 28 anni lui, 23 lei – che alle undici di sera si sono focosamente posseduti in un ascensore pubblico della città rivierasca e alcuni passanti, avendone visto gli scuotimenti e sentito i mugolii, hanno avvertito i carabinieri che dopo averli interrotti sul più bello li hanno portati in caserma denunciandoli per vari reati (leggi l’articoli). Una vicenda a tal punto seguita che vi sono state ben 25.780 letture e ben 36 commenti, la maggioranza dei quali ha inaspettatamente manifestato solidarietà nei confronti dei due scatenatissimi amanti. Ne cito alcuni. “Finalmente una bella notizia, c’è ancora qualcuno che fa sesso. Santi subito!”.E ancora: “Facevano l’amore, mica la guerra!”. E ancora: “Ma lasciateli fare! Crepino i benpensanti e gli invidiosi!”. E ancora: “L’amore è una cosa meravigliosa. Non si poteva aspettare che finissero a farla?”. E ancora: “Quando ce vo’ ce vo’. Tutta salute!”. E ancora: “Gli stupidi si scandalizzano per niente! C’è chi l’amore non lo fa da un pezzo e non sa più come si fa!”. E ancora: “Viviamo in un mondo dove ci si deve nascondere per fare l’amore mentre la corruzione, la violenza e l’odio si diffondono alla luce del sole!”.

L'ascensore del sottopasso

L’ascensore del sottopasso

Che dire? Ebbene, magari scherzandoci un po’, io mi colloco dalla loro parte. Per quale ragione? Perché ritengo che sia ormai finita l’epoca dell’arcigna sessuofobia di stampo prevalentemente cattolico e perfino Papa Francesco ha detto che entro certi limiti – non in ascensore, suppongo – il piacere sessuale è un “dono di Dio”. I tempi stanno cambiando? Sì, spesso in peggio. Ma stavolta in meglio. Mi spiego. I più incalliti tradizionalisti affermano che fra l’altro certi spettacoli sono gravemente diseducativi per i bambini. Ma a quell’ora – ci si approssimava alla notte – di bambini non ce n’erano, in giro. E non è forse vero che l’Italia sta invecchiando e le nascite sono meno numerose delle morti? Ebbene, quei due non li stavano diseducando, i bambini, ma, semmai, tentavano di farli. E se a lui non fosse stato impedito l’imput finale può darsi che in quell’ascensore sarebbe stato concepito un bambino, la qual cosa avrebbe corrisposto all’’interesse nazionale.
Molte cose sono cambiate, ai tempi nostri, fra le quali il significato di certe parole, ad esempio “vergogna” e “oscenità”. Ultimamente l’autorevole presidente dell’associazione nazionale magistrati Piercamillo Davigo ha lamentato che nell’attuale classe dirigente – e qui mi permetto di riassumere il suo dire con parole mie – va scomparendo la “vergogna” di commettere “oscenità”. E per “oscenità” non intendeva il sesso in ascensore quanto invece, come sta scritto in qualsiasi vocabolario, il “perseguire fini disonesti, infami, ignobili, degni di riprovazione ed esecrazione”, quali appunto sono il corrompere e l’essere corrotti. Una tendenza, questa, che a suo parere persiste negli uomini di potere fin dai lontani anni di “Tangentopoli” ma con l’aggravante che adesso nemmeno se ne “vergognano”. Non c’entrano quindi le “vergogne” come le si chiamava una volta, cioè gli organi sessuali (ricordate quando in spiaggia si accusavano le donne troppo svestite di avere le “vergogne di fuori” oppure quando a un uomo che girava con la patta dei pantaloni slacciata si diceva “copriti la vergogna”?). Il termine “vergogna”, insomma, non si limita più al “pisello”, alla “passera” e all’uso che se ne può fare con reciproco piacere, ma abbraccia l’intera casistica della trasgressione etica.
L’articolo 527 del codice penale punisce con la reclusione da tre mesi a tre anni chi compie “atti osceni in luogo pubblico” e possiamo convenire che un ascensore comunale in pieno centro cittadino non sia un’alcova privata. Torna quindi la parola “osceno” che ancora una volta sembra riferirsi soltanto ai rapporti sessuali se contrari al “comune senso del pudore”. Ed ecco saltar fuori un’altra parola: “pudore”. Che significa? Si riferisce anche ai rapporti sessuali, certo, ma, estensivamente, a un senso di “riserbo, discrezione e rispetto di sé e degli altri da mantenere in qualsiasi comportamento”. Per tornare a Piercamillo Davigo, allora, sono di sicuro “spudorati” quei politici che in luogo pubblico – nelle stanze dei loro uffici – corrompono e si fanno corrompere per interessi personali in cui il sesso non c’entra né poco né punto.
Ma torniamo allo specifico caso di Civitanova. In quell’ascensore – un congegno deputato ad andare su e giù – il “su e giù” d’altro tipo messo in opera dai due giovani era iniziato almeno dieci minuti prima che gli occasionali passanti se ne accorgessero e dopo essersi consultati fra loro – altri dieci minuti? – decidessero di avvertire i carabinieri, che poi – altri dieci minuti? – sono giunti sul posto. Tutto sommato, dunque, quell’impresa amatoria stava durando da circa mezzora e se non fosse stata fermata sarebbe continuata. Non era dunque una “sveltina” (oggi, del resto, le “sveltine” le fanno soltanto le giornaliste dei tg televisivi che parlano così velocemente da non farci capir quasi nulla). Mezzora, ripeto. Un bel record, no? E come spiegarlo? Dai giornali ho appreso che quel giovanotto era appena scappato da una “comunità di recupero” di Ancona, la perfetta efficienza della quale (non tutto, in Italia, funziona male!) è dimostrata dal fatto che lui aveva “recuperato” in pieno la propria vigoria di mente, di cuore e di sesso. Applausi!
Ultima considerazione. Uno dei reati che gli sono stati attribuiti è la “resistenza a pubblico ufficiale” (articolo 337 del codice penale, reclusione da sei mesi a cinque anni). E che lui volesse “resistere” è fuori discussione. Ma a che cosa? Solo all’ingiunzione dei carabinieri di riallacciarsi i pantaloni oppure – e soprattutto – per l’insopprimibile istinto di “resistere” chissà per quanto tempo ancora in quel suo record erotico? Né va sottovalutato, come attenuante a suo favore, l’appetito sessuale di lei, che oggigiorno, grazie al sacrosanto fenomeno dell’emancipazione femminile, non ha più senso considerarlo un peccaminoso strumento del diavolo (un tempo, sulle camicie indossate nella prima notte di nozze, alcune donne ricamavano “Non lo fo per piacer mio ma per dare un figlio a Dio”, il che, oggi, sconfina nell’assurdità). Conclusione: fare l’amore in un ascensore pubblico non è il massimo del civismo, d’accordo, ma nell’odierna società sta dilagando molto di peggio – furti, truffe, rapine, lavoro nero, economia sommersa, falsi fallimenti, investimenti commerciali e industriali per “riciclare” il denaro di mafie, camorre, ‘ndranghete – e fatalisticamente ce ne stiamo rassegnando quasi fosse un normale stile di vita. Ecco perché i solidali commentatori di Cronache Maceratesi sulla vicenda dell’ascensore non hanno torto ed ecco perché – alla fin della licenza, come diceva Cyrano de Bergerac – io mi schiero con loro.



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