Nero satanico e nero politico
colori che non portano bene

Crescono i furti, anche quelli sacrileghi. Sull’altro fronte, a Civitanova e a Tolentino, c’è la toponomastica celebrativa per Almirante

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di Giancarlo Liuti

E’ sotto gli occhi di tutti che i furti sono in aumento dovunque, nelle città, nei rioni, nelle frazioni, nei paesi, nelle case, nei negozi, nelle sedi delle imprese, negli uffici pubblici. Con risultati, per i malfattori, che talvolta sono cospicui. Ciò comporta che a Macerata e in provincia il senso d’insicurezza della gente sta crescendo e raggiunge livelli mai registrati in passato, neanche nel corso della crisi economica. E’ possibile, intendiamoci, che una buona parte di questi colpi sia opera di bande per così dire professionali e scoprirne una o due farebbe già scendere il numero complessivo dei casi. Ma la negatività sociale del fatto rimane ed è giusto preoccuparsene. Oltre a questo, però, va segnalato un fenomeno tutto particolare e mi riferisco ai furti nelle chiese, non quelli di chi punta a un pur modesto guadagno infilando le mani nelle raccolte delle offerte ma quelli che hanno scopi immateriali e finanche religiosi o, se vogliamo, antireligiosi.

La teca di san Vincenzo Strambi dopo il furto

La teca di san Vincenzo Strambi dopo il furto

Si pensi al furto, verificatosi a metà giugno nel duomo di Macerata, con la scomparsa dalla teca di San Vincenzo Strambi di un anello e di un crocifisso di scarso valore commerciale, si pensi alla sparizione di ostie consacrate da un tabernacolo di una chiesa di Monte San Giusto e, sempre in quella zona, di una “casula vescovile”, ossia di un paramento indossato nella celebrazione della messa, e, qua e là, di messali e libri sacerdotali. L’ultimo caso è accaduto a Villa Potenza, nella chiesa del Santissimo Crocifisso, dove da un quadro della Madonna sono state asportate una minuscola spada e una coroncina, anch’esse di poco prezzo. Ogni furto è certo opera del demonio – “non rubare”, ammonisce il settimo comandamento cristiano – ma qui c’è qualcosa di più viscerale e profondo, qualcosa che si scaglia contro il primo comandamento (“Non avrai altro dio fuori di me”), come a dire che un altro dio esiste, ed è Satana, il dio del male assoluto in contrapposizione al dio dell’assoluto bene.
Siamo quindi alla religione del male, ossia al “satanismo”. Una religione che ha anch’essa i suoi riti, le cosiddette “messe nere” celebrate nottetempo in qualche anfratto, e vi regna il “nero”, il colore dell’oscurità, e vi viene bandito il “bianco”, il colore della luce. Riti, questi, di cui si mormora che siano fortemente aggressivi, finanche con violenze sulle donne. Sto generalizzando, ovviamente. Ma questo sarebbe, per l’appunto, il “satanismo”. E non mi pare fuori luogo supporre che c’entrino quei particolarissimi furti. Quanti sarebbero i nostri “satanisti”? Pochissimi, sembra. Ma ci sono. E negli anni ottanta del secolo scorso dettero prova di sé nella frazione di Pitino, quando profanarono le tombe di quel piccolo cimitero e ne fecero scempio. Non per un istinto scellerato, ma per adorare il loro dio, che è – ripeto – il dio del male assoluto.
E qui la smetto col “nero religioso” del nostro satanismo (molto più allarmante, semmai, è il satanismo dell’Isis, che, questo sì, sta minacciando il mondo e vestito anch’esso di nero taglia teste nel nome di Allah) e magari con un salto un po’ ardito passo al “nero politico”, quello che fin dai primi squadristi è prevalso per un ventennio nelle divise in orbace dei militanti del regime fascista. Niente “messe nere”, per loro. Ma qualcosa che somiglia a un rito celebrativo è capitato e sta capitando pure da noi, prima – e perdura – a Civitanova e adesso a Tolentino. Di che si tratta? Dell’intitolazione di vie cittadine alla figura di Giorgio Almirante, una personalità “nera” – in senso politico, ripeto – che nella sua vita militò strenuamente al fianco di Mussolini, lo seguì nella Repubblica Sociale di Salò dove assunse la carica di capo di gabinetto e firmò un manifesto nel quale si disponeva l’eliminazione fisica dei partigiani, e alla fine della guerra entrò in clandestinità dopodiché fondò il Movimento Sociale di cui con alterne vicende rimase leader a lungo senza rinnegare la propria fede ma cercando di renderla meno esplicita per non incorrere nel divieto costituzionale di ricostituire il partito fascista. Ottimo oratore, un linguaggio da perfetto purista dell’italiano, mai sospettato di loschi interessi e alieno, nei rapporti personali, dagli insulti, il che non lo privò, fino alla morte, nel 1988, a 74 anni, del rispetto anche dei più accaniti avversari.

A CIVITANOVA - Via Nelson Mandela ha sostitutito via Almirante

A CIVITANOVA – Via Nelson Mandela ha sostitutito via Almirante

Quattro anni fa, quando a Civitanova governava una giunta di centrodestra, fu deciso di intitolare ad Almirante un’importante via cittadina benché non ci fosse alcuna ragione locale ma solo la manifestazione di una tardiva e antistorica nostalgia ideologica. Una specie, direi, di rito celebrativo politicamente“nero”. Poi il colore della civica amministrazione è cambiato e l’attuale giunta di centrosinistra ha cancellato il suo nome e l’ha sostituito con quello di Nelson Mandela, premio Nobel per la pace. Anche qui nessuna ragione locale, ma il livello qualitativo, su scala mondiale, non è da poco. Tutto a posto? Magari! Ogni tanto, di notte, qualcuno cancella “Mandela” e sopra ci scrive “Almirante” rendendo necessario l’intervento ripulitore dei dipendenti comunali. Perciò il “nero” toponomastico, sotto sotto, non demorde.
Ma ancor più tardiva e antistorica è adesso, a Tolentino, la proposta di un consigliere comunale dei “Fratelli d’Italia” di dedicare anche lì una via ad Almirante, con un sindaco di centrodestra che preferisce non esprimersi né a favore né contro. Per quanto riguarda i colori politici, insomma, il “nero” sopravvive. A Civitanova, a Tolentino e soprattutto a livello nazionale con le felpe quasi sempre nerissime di Matteo Salvini, il focoso leghista che è in crescita di consensi popolari e apertamente si candida, stavolta non tardivo né antistorico, alla guida, in Italia, del “centrodestra”, e non si capisce che c’entri, ormai, la parola “centro”. Ma il discorso, qui, diventerebbe troppo lungo e comporterebbe giustificate apprensioni per il futuro delle nostre vacillanti istituzioni democratiche.



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