Le ‘nfiorate amorose e quelle dispettose

TRADIZIONI - Gli innamorati felici attuavano le prime, i delusi o gli amareggiati le seconde
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Infiorata a Monte San Giusto

Infiorata a Monte San Giusto

di Mario Monachesi

Nelle notti che precedevano le domeniche, o qualsiasi altro giorno festivo di maggio, soprattutto in campagna era uso allestire le ‘nfiorate. Gli innamorati felici attuavano quelle “amorose”, i delusi o gli amareggiati quelle “despettose” (dispettose) e per ulteriori casi si allestivano le “impajicciate”. Le “‘nfiorate amorose”, una specie di compromesso pubblico che l’innamorato si prendeva nei confronti della amata, consistevano nel cospargere di verde e petali profumati di ogni fiore la strada che da casa dell’innamorata conduceva alla chiesa, al tempo, naturale punto di incontro per tutti. Non prima però di aver circondato la porta della casa stessa, di garofani, gerani, rose, violacciocche, spaghetti e limoni. Tutto questo allestimento veniva poi “reguardato”, cioè sorvegliato affinché nessuno lo rovinasse, fino alle prime luci dell’alba. A dare una mano all’innamorato, che aveva ordito tutto all’insaputa della ragazza, erano gli amici più fidati.

Infiorata Corpus Domini Castelraimondo (1)Le “‘nfiorate despettose” erano, al contrario, beffe atroci. Era un mettere alla berlina la giovane per la sua civetteria o il suo svolazzare da un amore all’altro, insomma la vendetta dell’innamorato tradito. Anche in questa occasione veniva nottetempo ricoperta la strada, dalla casa alla chiesa, con calce, zolfo, cenere, carbone, fuliggine, stabbio (letame). Il carbone significava anima nera, lo zolfo faccia gialla, la cenere segno di disprezzo, la calce persistenza dell’onta. La facciata di casa veniva imbrattata e segnata di figure sinistre: teschi di morti, stinchi posti in forma di croce, corna. Su tutti gli alberi che fiancheggiavano il percorso venivano apposte scritte dette “satore” (satire) alquanto pungenti. “De stabbio te l’ha fatta la ‘nfiorata, / de stabbio e de sammuchi fracetati, / chi sarà stati quissi ‘nnamorati / che va facenno queste vassallati? … / Chi sarà stata chi quessa persona / che a te, bellina, tratta da puzzona? ….”. Eccone un’altra un po piu dolce: “Adesso è magghju e porta tanti fiuri / pe’ regalalli a ‘sse velle fantelle, / ma quelle come te cioette velle / de corni pitturati ci ha li muri. / Per te magghju non porta mango un fiore / perché nisciù’ con te vo’ fa’ ll’amore”. La ragazza presa di mira si abbandonava al pianto ed alla disperazione più cupa e per lungo tempo non osava più mettere piede in pubblico.

La ‘mpajicciata seppur simile alla “‘nfiorata despettosa” aveva più che altro sapore di scherzo. Rievocava un lungo amore che però non aveva avuto un buon epilogo, per sopravvenuto abbandono di uno dei due e allorché uno dei due convolava a nozze veniva prontamente allestita. Nella notte che precedeva la cerimonia i giovani del posto cospargevano con calce, cenere, gusci d’uovo, paglia, pula e zolfo (nel 1887 O. Marcoaldi annotava anche “olio, lappa, lolla, ecc”) la strada che dalla casa dell’abbandonato (o abbandonata) andava a casa della sposo (o sposa) novella. A San Severino, scrive V. Aleandri, “La “mpajicciata veniva fatta spargendo paglia, scope, corna, pupazzi ed altro sulla porta di casa di donne…allegre”. Ciò avveniva generalmente il primo maggio e il giorno del matrimonio della donna o di un suo ex amante. Sulle pareti esterne dell’abitazione di lei o, quindi, di un suo ex, gli allestitori tracciavano pupazzi o altri segni, ma nessuno di sinistro augurio. Sulla porta della stessa appendevano capocchie d’aglio per significare alla destinataria (o al destinatario) che doveva masticare amaro per l’avvenuto matrimonio.



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