Bisogna essere grati a tutto ciò che ci distrae dalla deprimente quotidianità delle notizie politiche. Basti pensare, per Macerata, a un centrodestra che proprio nei Giorni della Memoria conferma l’alleanza coi fascisti di Casa Pound e al tormentato dibattito nel centrosinistra per la candidatura a sindaco, prossimamente con le primarie per l’Annunciazione dei Magi e infine, come sarebbe logico, con l’Adorazione del Magio prescelto, un’ Adorazione che in passato, e per cinque anni, si è tuttavia capovolta in Esecrazione. Ma per fortuna mi si presenta l’occasione di parlare d’altro, cioè della tela “Adorazione dei Magi” che da secoli sta a Macerata nella Chiesa delle Vergini e attualmente è in prestito temporaneo all’Oratorio San Giuseppe di Urbino (leggi l’articolo).
Intorno a questo quadro si è sviluppato un appassionante “giallo” circa la sua paternità e la sua destinazione. Chi ne è il vero autore? Jacopo Robusti detto “Il Tintoretto” (il padre colorava le stoffe ed era soprannominato “il tintore”), che è uno dei maggiori esponenti del maturo Rinascimento italiano, oppure suo figlio Domenico, pittore anche lui ma assai meno illustre? E quale sarebbe, per tale quadro, la dimora più decorosa? L’appartata Chiesa delle Vergini a Macerata o la Città Ducale di Urbino, patria del principe Federico Montefeltro e di Raffaello, e sede della Galleria delle Marche? Un “giallo”, questo, che in qualche modo si collega a un altro “giallo” di cui si sono intensamente occupate le cronache degli ultimi mesi: quel supplementare “Infinito” che è saltato fuori a Cingoli e ancora non si è stabilito chi l’ha scritto, se Leopardi in persona oppure, cent’anni dopo la sua morte, un falsificatore della sua calligrafia con l’intenzione di metterlo in commercio (leggi l’articolo). Vero è che fra i due “gialli” corrono incompatibilità di ordine morale, ma a livello mediatico il clamore è lo stesso e, ripeto, ci libera dagli incubi della politica.
In ogni “giallo” che si rispetti non possono mancare il delitto, il colpevole e l’investigatore (un Maigret, un Poirot?) che tutto risolve nel segno della verità e della giustizia. Per l’Adorazione dei Magi il delitto sarebbe stato l’idea di rubarla alla Chiesa delle Vergini e consegnarla stabilmente a Urbino . E il colpevole – che poi, nel corso del “giallo”, s’è tramutato in abile investigatore -sarebbe stato Vittorio Sgarbi, il critico e storico dell’arte cui si deve la riscoperta di capolavori dimenticati. Anche il luogo del temuto delitto ha in sé, fin dall’origine, qualcosa di “giallisticamente” misterioso: un’Apparizione della Madonna. Fu infatti per quest’arcana ragione che nel 1565 la Chiesa delle Vergini venne edificata proprio in cima a quel colle, su devozione dei frati carmelitani e progetto del bramantesco Galassio da Carpi. E lì, una ventina d’anni dopo, trovò posto l’Adorazione dei Magi, acquistata a Venezia dalla nobildonna maceratese Clelia Amici per la cappella di famiglia. Una ulteriore e non benefica iniezione di “giallo” la Chiesa delle Vergini la subì sul finire dell’Ottocento, allorché, unica fra tutte le chiese di Macerata, la sua proprietà fu stranamente trasferita d’imperio al demanio pubblico. Compresa l’Adorazione dei Magi? Sì, non trattandosi di arredo sacro, andò anch’essa al demanio (o al demonio, come sostengono i sopravvissuti nostalgici dello Stato Pontificio). Da ultimo, ma qui non c’è nulla di “giallo”, nel 1915 la chiesa fu dichiarata monumento nazionale per l’imponente eleganza della sua struttura.
Come s’è già detto la tela si trova in prestito temporaneo a Urbino in una mostra che ha ricevuto la visita di Vittorio Sgarbi, secondo il quale, valutandola da provetto investigatore culturale, essa va attribuita a Jacopo, aggiungendo però che la Chiesa delle Vergini, poco frequentata e non “officiata”, non sarebbe degna di ospitare un’opera così importante. Meglio Urbino? Così avevamo capito. Quindi colpevole – o complice – del delitto! Ma la Parrocchia delle Vergini ha immediatamente reagito precisando che la frequentazione dei fedeli non è affatto scarsa e garantendo che tutti i riti della religione cattolica vi vengono regolarmente officiati. Sgarbi, allora, ne ha preso atto e, smesse le vesti del colpevole, ha concluso che l’Adorazione dei Magi deve lasciare Urbino e tornare a Macerata.
Perché, secondo Sgarbi, l’autore della tela sarebbe Jacopo Robusti e non il meno valente Domenico, al quale lo stesso Sgarbi, anni fa, l’aveva “svogliatamente” attribuita? Per i “bagliori cromatici”, il “vitalismo” e gli “esiti drammatici” del dipinto, certo, ma anche per due scritte impressevi a caratteri dorati: la data (1587) e la firma (“Tentoretto”, dove sorprendentemente si nota un’anticipazione plurisecolare del moderno gioco enigmistico “cambio di vocale”). Ecco allora un “giallo” nel “giallo”. Ma chi l’ha dipinta, insomma, quest’Adorazione? Jacopo o Domenico? La cosa, intendiamoci, non è di poco conto, perché se la mano fu di Jacopo, che nel 1587 aveva 69 anni, e non di Domenico, che ne aveva appena 26 e il cui talento era ben lontano da quello paterno, il prestigio di questa tela nella storia italiana dell’arte ne risulterebbe moltiplicato per mille. Si dirà che la differenza fra le due ipotesi dovrebbe desumersi dalla qualità della pittura – e Sgarbi ne avrebbe ogni titolo – ma pare che la differenza non sia enorme, la qual cosa potrebbe far supporre finanche una stretta collaborazione tra padre e figlio. In quanto a risonanza mediatica, comunque, da questo “giallo” l’Adorazione dei Magi ha tratto grande visibilità e Macerata dev’esserne riconoscente proprio a quell’iniziale “colpevole” che poi s’è rivelato un provvidenziale “investigatore”, ossia a Vittorio Sgarbi. E ci sarebbe altro da dire, ad esempio che pure Domenico usava chiamarsi, abusivamente, “Tintoretto” – ma perché, allora, “Tentoretto”? – e che fra le opere di Jacopo non figurerebbe un’Adorazione dei Magi mentre Domenico ne fece una per la chiesa di San Trovato a Venezia. E allora? Lasciamo perdere. Un “giallo” ha da essere sì complicato, ma senza esagerare.
Ora abbandono il tono fra lo scherzoso e l’irriverente con cui ho osato trattare quest’argomento e lancio una proposta seria per l’immagine non soltanto culturale di Macerata. La casa dell’Adorazione dei Magi dev’essere la Chiesa delle Vergini, su questo non c’è discussione. Tuttavia, come sta accadendo con la trasferta a Urbino, la tela può essere oggetto di prestiti. E a Macerata, nelle sale di Palazzo Buonaccorsi, è stata recentemente inaugurata una splendida mostra di opere antiche e moderne fino a ieri sparse in città, tanto che lo stesso Sgarbi ha definito il Buonaccorsi il “più bel museo delle Marche”. Perché allora questa tela non viene temporaneamente prestata, dopo Urbino, anche al Buonaccorsi? Oltretutto non si tratterebbe di un prestito verso chissà dove, ma di un atto di “fratellanza” all’interno di una medesima comunità di cittadini. Lo spazio, nel piano nobile, ci sarebbe, le dimensioni – 276 centimetri per 173 – lo consentirebbero e ne trarrebbe giovamento tutta Macerata, compresa la Chiesa delle Vergini, cosa che in tempi nei quali il mondo sta diventando paese e sempre più la gente si muove fra i continenti è un’ottima carta da giocare per i valori immateriali dello spirito e per quelli materiali del turismo e delle attività commerciali. E non vedo perché, trattandosi di un prestito (qualche mese, un anno?), la proposta non dovrebbe piacere alla Parrocchia delle Vergini e alla Curia Vescovile. Quindi facciamola, questa cosa. Macerata, del resto, non si chiama “Civitas Mariae”?
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Convengo con Giancarlo Liuti; facciamo in maniera che l’importante opera pittorica sia godibile da un ampio numero possibile di amanti della grande arte.
Diciamolo chiaramente,nella chiesa di Santa Maria delle Vergini, l’adorazione dei Magi del Tintoretto, o di chi per lui, non ha una collocazione che la ponga all’ammirazione di moltissimi visitatori e, per giunta, non è al sicuro. Se non sbaglio, non è protetta adeguatamente contro il furto o lo sfregio.
Palazzo Buonaccorsi è la sua sede ideale.
Sia la Curia Vescovile, sia la parrocchia, cerchino di esulare da egoismi che io definisco, puramente rionali.
Forse non ho ben capito e vorrei un chiarimento: se la tela appartiene al demanio pubblico da più di un secolo, perché l’eventuale e temporaneo prestito al Buonaccorsi dovrebbe essere concesso dalla Curia ?
Grazie.
La penna di Giancarlo Liuti mi eccita sempre, fin da quando era un giovane giornalista del Carlino. L’argomento di oggi mi fa ricordare quando, decenni fa, portavo i miei ospiti a vedere il Tintoretto alle Vergini. Ricordo che due di essi, il tenore americano Bruce B. Enghebretson e il maggiore dei guerriglieri sud sudanesi Ferdinando Goi – ambedue amanti dell’Arte italiana e purtroppo defunti – di fronte a quello splendore dicevano: “Ancora non ve l’hanno rubata?” Il latrocinio di quest’opera d’arte non era nelle mie paure. Adesso, invece, ci penso…
Malfattori a parte, temo che Urbino se la possa fregare… Allora, giustamente, dobbiamo riportarcela a Macerata e collocarla “provvisoriamente” nella Pinacoteca di Palazzo Buonaccorsi, che ne sarebbe arricchita. A con essa la Città di Maria (e dei Fratelli Massoni), nonché la Chiesa delle Vergini, i cui fedeli non ne sentirebbero la mancanza, dato che la loro attenzione è rivolta ai riti sacri e non al Tintoretto.
La cosa merita un dibattito maggiore tra tutti gli appassioni delle cose belle e… nostre.
Allora, Filippo Davoli, che ne pensi?
Un ber quadro a sguazzo
Quanno vojjate véde un quadro raro,
màa! un quadro propio a cciccio sor Cammillo,
lei se ne vadi ar vicolo der Grillo
nummero trentasei sur zaponaro.
Bbe’, llí cc’è ar muro un purgatorio chiaro
dipinto color d’ostia da siggillo;
e ttramezzo a le fiamme e a lo sfavillo,
che ppare una fuscina de chiavaro,
ce sò ott’anime sante, e ssopr’a cquelle
du’ angeli coll’abbiti de festa
che vvòteno du’ gran brocche de stelle.
Sí, stelle, stelle, sí, pparlo sur zerio;
e ddu’ bbrocche de stelle su la testa,
dico, ve pare poco arifriggerio?