Renzo Pallotta
di Maurizio Verdenelli
“Devo parlarti di una notizia interessante per Macerata” mi aveva ’messaggiato’ quattro giorni fa l’amico Franco Pallotta, capo della segreteria Pdl e poi Area Popolare alla Camera (prima per anni lo è stato del gruppo Psi). Poi al telefonino, Franco mi aveva svelato la notizia che gli stava particolarmente a cuore: “Papà compie cento anni sabato prossimo. E’ il più anziano tifoso della Maceratese! Ogni domenica allo stadio. A fargli gli auguri ci saranno la presidentessa Tardella, il sindaco Carancini e naturalmente i ‘compagni’ socialisti: non a caso lui detiene la prima bandiera del Psi maceratese realizzata nel dopoguerra!”. Il giorno dopo, ancora al telefonino, avevo organizzato l’intervista con il ‘centenario’ per il tramite della nipote Francesca. Sarebbe stato per questo pomeriggio. Un incontro che purtroppo non si farà più. Perché Renzo Pallotta: il supertifoso, il socialista ante-litteram (la sua è una famiglia ‘storica’ maceratese insieme con i Giglio e i Patrassi, legatissime al Garofano), il cofondatore della compagnia teatrale Calabresi con Angelo Perugini ed Ugo Giannangeli, è morto l’altra notte (leggi l’articolo). All’improvviso, a tre giorni dal traguardo così atteso. Una perdita ed un dolori immensi. Un uomo appassionato, Renzo che amava con uguale intensità calcio, politica e teatro. Molti anni fa ricordo un bisticcio furioso tra me e lui al ‘Messaggero’ perché riteneva che non avessi dato spazio al festival Perugini che la Compagnia tradizionalmente organizza ogni inverno. Per mesi non ci parlammo, poi rifacemmo con reciproco piacere la ‘pace’ pronubo il collega ed amico carissimo, il fotoreporter Pietro ‘Briscoletta’ Baldoni (i Pallotta erano per lui una seconda famiglia in quanto legati da vincoli di sangue con il fraterno amico Cesarino Bellucci, il leggendario ‘Toscano’, campione di facezie).
Aveva ragione Franco: i cento anni di suo padre sarebbero stati un avvenimento per questa città. Per pensare e ripensare ad un suo figlio autentico che molte cose ha lasciato, con passione e generosità, a questa comunità. Allo stadio era un simpaticissimo ultras che attendeva adesso il derby con la stessa gioiosa attesa del suo compleanno centenario; in politica un socialista che non aveva ammainato la ‘storica’ bandiera conservata al pari di una preziosa, seppure laicissima ‘reliquia’. E sul palcoscenico, insegnando ai giovani (ed aprendo la strada anni fa all’unione con la compagnia Te-Ma) un protagonista lucidissimo e di grande temperamento. Anni addietro, avvalendomi della mia stretta amicizia con Alberto Ciambricco, il ‘padre’ del tenente Sheridan (Ubaldo Lay) il poliziotto più famoso d’Italia nella tv in bianco e nero, organizzammo grazie proprio a Renzo e a Franco Zazzetta, un’indimenticabile ultima serata del festival Perugini. Al ‘Lauro Rossi’ andò in scena, protagonista Renzo, un giallo inedito dello stesso Ciambricco. Un’altra volta, nei camerini del teatro maceratese, mi ricordò come una delle sue esperienze più belle fosse stato l’insegnamento del recitare, tra i detenuti. Con Giannangeli, che ritornava per l’occasione alle scene, fu protagonista di una riproposizione delle ‘Litanie’ di Affede sul palco del cinema Italia, ricordando l’amico Baldoni. Un paio d’anni fa con il figlio Franco (che conduceva la serata con Patrizia Ginobili) partecipò tra il pubblico al ricordo del carissimo Alberto Girolami. Alla Filarmonica quella sera c’era, tra tanti, una star guest d’eccezione: Jimmy Fontana. E pure Giancarlo Liuti, alla fine. Che gruppo fantastico di fantastici maceratesi.
Nel cuore e negli occhi ho tuttavia il grande cuore che Renzo pose interamente nell’interpretare da protagonista, al solito, una commedia scritta dal figlio appositamente in omaggio a Pietro Baldoni (la prima al ‘Lauro Rossi’, con una poltrona vuota, sopra un mazzo di rose rosse). “Finisce tutto, finisce tutto…perché?!”: la voce di Renzo era quasi un grido pieno di sorpresa e di dolore, pensando (ne sono certo) all’amico travolto ed ucciso all’alba del 30 novembre ’98 da un’auto a Villa Potenza, mentre stava recandosi a caccia. Dolore e sorpresa: sentimenti che da ieri sera sono anche i nostri, caro Renzo.
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Mi addolora una tale perdita. Ai figli e ai nipoti le mie più sentite condoglianze.
Renzo Pallotta era molto legato al rione Santa Lucia, e più volte parlò e si mosse con energia a difesa del quartiere. Finché ha potuto ha curato personalmente e con meticolosità il cortile-giardino della sua casa, da dove usciva la mattina, fresco di dopobarba, per acquistare il Messaggero. Quando c’erano le prove, cascasse il mondo, metteva in moto l’auto e partiva. Anni fa, una sera lo vidi fare tappa in via Santa Caterina: fece salire Ugo Giannangeli e ripartirono insieme verso le tavole del palcoscenico, fedeli alla loro passione: mi sembrarono per un attimo, con tutta la loro età, più giovani di due ventenni.
Fu una pensata mia chiedergli di tornare in scena, dopo tanti anni di volontario pensionamento, proprio ne “Lu penzieru”, scritto da Franco, che a lui spettava concludere con la battuta riportata: “Finisce tutto… finisce sempre tutto!”. Fu la grande occasione per riportare in scena, insieme a lui, l’altro gigante del nostro teatro: Ugo Giannangeli, con una parte degna della sua storia attoriale. Ugo e Renzo erano convintissimi (e avevano ragione) del fatto che a stare in scena si impara di più stando in scena, che non frequentando corsi di teatro. Allo stare in scena, aggiungemmo – quella volta, dopo tanto tempo – l’opportunità per i ragazzi di starci con mostri sacri. E Renzo non solo recitava: aiutava a montare e smontare le scene quando si andava in trasferta (nonostante gli inviti di tutti a non affaticarsi). Il brillante novantenne, il superlativo novantacinquenne, l’eccezionale centenario: perché tre giorni al compimento del centesimo non intaccano per nulla l’intero centesimo anno vissuto in pienezza e libertà.
Franco Pallotta, in chiesa, mi ha ricordato il titolo (Lu penzieru) della commedia scritta ‘per’ Pietro (‘Briscoletta’) Baldoni che vide, su proposta di Filippo Davoli (allora presidente della Compagnia Calabresi) il ritorno sulle scene del ‘primattore’, già novantenne, Renzo.
Una grande e suggestiva interpretazione. Quello che non dice Filippo e che la piece ebbe un sorprendente successo con un tour che toccò diverse cittadine marchigiane. In particolare ricordo la ‘tappa’ di Morro d’Alba. Subito dopo la recita nel suggestivo centro storico dominato da ‘La Scarpa’, ci fu un post teatro davvero indimenticabile. Con Renzo, affascinato dalla bellezza del paesaggio, delle montagne in lontananza e dalle valli della ‘Lacrima’, con Ugo Giannangeli ad elogiare l’aria fina che all’improvviso si godeva dalla mansarda, e lo stesso Davoli, e gli altri attori, ed io e Simona. Renzo fu al centro dell’attenzione, come si conveniva. Recitò ancora, a braccio. Mentre Filippo sciorinava il suo repertorio di storielle divertenti in lingua pistacoppa. Che impressionante ‘giovinezza’, quella di Pallotta. Tutti attorno a lui, come ad un ‘attor giovane’ e lui affettuoso, paterno con tutti. E noi, in quella notte magica di quell’estate di Morro d’Alba con ‘Lu penzieru’ rivolto ancora e sempre alla cara Macerata, ‘Penzieru’ stupendo.