di Giuseppe Bommarito
E’ operativo da circa un paio di anni nella provincia di Macerata il Comitato “Uniti contro le droghe”, costituito a seguito della spinta delle associazioni di volontariato operanti nel campo della tossicodipendenza e del Dipartimento Dipendenze Patologiche e fortemente voluto dall’allora Prefetto Vittorio Piscitelli e poi dal suo successore Pietro Giardina.
Il Comitato, nell’intento di aumentare e meglio coordinare l’attività di prevenzione nell’ambito familiare, scolastico, sociale, sportivo, raggruppa tutti gli enti e le istituzioni pubbliche e private che, per un verso o per un altro, hanno a che fare con i giovani, con la droga e con le varie forme di dipendenza: oltre al Dipartimento ed alle associazioni di volontariato, le comunità terapeutiche, l’Ufficio Scolastico Provinciale, le forze dell’ordine, la Procura della Repubblica, i Comuni di Macerata e di Civitanova Marche.
Certo, per avere risultati significativi bisognerà ragionare sul lungo termine, ma già adesso l’attività di prevenzione si è discretamente estesa sul territorio: molte più scuole organizzano dibattiti ed assemblee sul tema, spesso con continuità nel corso dell’anno scolastico; alcuni gruppi di genitori sollecitano incontri con esperti in grado di fornire informazioni e delucidazioni; diverse associazioni sportive hanno iniziato a parlare anche di droga e di alcol ai giovani praticanti delle singole discipline, grazie pure a testimonial prestigiosi (l’ultimo: Federico Melchiorri); alcuni Comuni (pochi per adesso, in verità) stanno iniziando a svolgere una efficace azione informativa e di messa in guardia nei confronti dei cittadini.
Insomma, qualcosa si sta già muovendo, ma sarà un processo lungo e molto ancora resta da fare. A questo punto, quindi, è necessario che scenda in campo nell’ambito di questa specifica attività di prevenzione anche la Chiesa, che, a dire il vero, ben conosce il problema. Allorchè negli anni settanta e ottanta è esplosa la tragedia dell’eroina, la Chiesa, quasi da sola, ha infatti colmato un vuoto terrificante. Penso a quei sacerdoti veramente eroici che, insieme a Muccioli sul fronte laico, hanno dato vita alle prime comunità, quando intorno c’era il deserto più totale e i drogati morivano ai lati delle strade, abbandonati da tutti: don Mario Picchi, don Antonio Mazzi, don Oreste Benzi, don Chino Pezzoli, don Gino Rigoldi, don Pierino Gelmini, don Luigi Ciotti, ed altri ancora. Sono stati i primi a calarsi nell’universo terribile della droga, nella periferia esistenziale della droga, nelle sue miserie, nella disperazione che avvolge chi, direttamente o indirettamente, ci sta dentro, con interventi certamente efficacissimi, limitati tuttavia al settore delle terapie e del recupero.
Oggi però serve una mobilitazione continua delle parrocchie e delle varie organizzazioni religiose pure in termini di prevenzione specifica, di informazione, di sensibilizzazione, perché la sempre più diffusa epidemia della droga non è solo una malattia in senso clinico, ma colpisce e spesso devasta anche la sfera morale e spirituale delle sue vittime.
A questo proposito mi sembrano molto importanti alcune frasi pronunziate da Papa Francesco in merito alla droga, alla tossicodipendenza, al narcotraffico, in occasione della recente Giornata Mondiale della Gioventù in Brasile.
Punto di partenza, esposto dal Pontefice in maniera netta e indiscutibile allorchè è andato in visita al centro socio-sanitario “San Francesco di Assisi” a Rio de Janeiro, specializzato per tossicodipendenti ed alcolizzati, è che “la droga non dà la felicità”, anzi, porta diritta all’inferno già in questa vita, “distrugge la società perché lascia prevalere l’egoismo … è morte e dà autodistruzione”.
Ha proseguito poi questo grande Papa, dono dello Spirito Santo e della coraggiosa rinunzia di Benedetto XVI, affermando nei giorni successivi dinanzi a milioni di ragazzi che la droga e la conseguente “dipendenza chimica” sono imputabili al narcotraffico, che “semina violenza e provoca dolore” in tanti strati della società civile, soprattutto in quelli più fragili ed esposti, privi di tutto, anche della speranza, e quindi più facilmente indotti a rifugiarsi nei paradisi artificiali che le sostanze inizialmente fanno balenare, per poi presentare un conto pesantissimo in termini di compromissione della salute fisica e psichica, affossamento di qualsiasi possibilità lavorativa, isolamento ed emarginazione sociale, distruzione di rapporti familiari ed affettivi, problemi con la giustizia, carcere.
Senza tanti giri di parole Papa Francesco ha inoltre definito come “mercanti di morte” i trafficanti e gli spacciatori di droga, che colpiscono anche ragazzini giovanissimi e indifesi in nome di un business criminale enorme, coltivato senza scrupoli, senza ritegno, senza la minima pietà. Ed ha chiamato non solo le istituzioni civili, ma anche la stessa Chiesa alla lotta a viso aperto contro la droga in ogni parte del mondo, esortando tutti ad uscire dall’indifferenza e ad assumersi le proprie responsabilità verso chi è schiacciato dalla dipendenza chimica indotta dalle sostanze stupefacenti e dall’alcol (e qui mi è venuta il mente quell’altra frase del nuovo Papa, detta qualche giorno prima a Roma, sui cristiani inamidati, troppo educati, che parlano di cose teologiche mentre, tranquillamente seduti, prendono il tè). Ai ragazzi il Pontefice ha detto di scegliere la vita, non la morte, e, se già caduti nell’abisso della tossicodipendenza, di impegnarsi per la propria rinascita, perché si può cadere, ma poi, nel segno della speranza, con tanta volontà e aggrappandosi alle mani tese di chi non si gira dall’altra parte e vuole dare un aiuto concreto, è possibile rialzarsi, percorrendo la strada, certamente in salita, che porta alla ricostruzione fisica, psichica e spirituale.
La soluzione giusta per ridurre la piaga atroce della “dipendenza chimica”, comunque, secondo Papa Francesco non potrà essere quella, semplicistica, illusoria e disastrosa, della “liberalizzazione”, che – aggiungo io – aumentando l’offerta delle sostanze, porterebbe anche ad un aumento del consumo, e peraltro non ridurrebbe sostanzialmente i profitti del narcotraffico perché residuerebbero in ogni caso amplissimi margini di mercato clandestino. Occorre invece, secondo il Vescovo di Roma venuto dalla fine del mondo, affrontare i problemi che sono alla base dell’uso delle droghe e dell’abuso di alcol, promuovendo una maggiore giustizia sociale, educando i giovani a coltivare i valori che contano, accompagnando chi è in grave difficoltà ad avere speranza nel futuro.
Infine, a Copacabana, dinanzi all’oceano, una carezza di Papa Bergoglio per quei genitori con il cuore a pezzi di fronte alla lenta e straziante agonia dei propri ragazzi tossicodipendenti, ormai considerati come i lebbrosi moderni, oppure alla prese con il dolore lancinante della morte per droga di tanti figli usciti dalla vita terrena nell’alba della loro esistenza: “Sempre con la croce Gesù si unisce … alle famiglie in difficoltà che piangono la perdita dei loro figli o che soffrono nel vederli prede di paradisi artificiali come la droga”.
Attenzione, perché quelle oggi espresse da Papa Bergoglio non sono posizione nuove all’interno della Chiesa Cattolica. Anni fa Papa Giovanni Paolo II aveva già definito la droga come il segno di una grave malattia dello spirito. Ed ecco cosa scriveva nel 2010 Benedetto XVI nel libro “Luce del Mondo” (pag. 94), curiosamente anche lui all’esito di un viaggio apostolico in Brasile e dopo un incontro con un altro centro di recupero per tossicodipendenti gestito da religiosi, la Fazenda da Esperanca: “Là dove passa la strada della coltivazione e del commercio della droga … è come se un animale mostruoso e cattivo stendesse la sua mano per rovinare le persone. Credo che questo serpente del commercio e del consumo di droga che avvolge il mondo sia un potere del quale non sempre riusciamo a farci un’idea adeguata. Distrugge i giovani, distrugge le famiglie, porta alla violenza e minaccia il futuro di intere nazioni. Anche questa è una terribile responsabilità dell’Occidente: ha bisogno di droghe e così crea paesi che gli forniscono quello che poi finirà per consumarli e distruggerli. E’ sorta una fame di felicità che non riesce a saziarsi con quello che c’è; e che poi si rifugia per così dire nel paradiso del diavolo e distrugge completamente l’uomo”.
E qui – se mi è consentita una veloce digressione, pur rimanendo in tema – si inserisce il discorso sul diavolo, inteso non come un pensiero astratto o una mera personificazione immaginaria del male, nè come il simbolo di quel male che è dentro di noi, ma come una realtà, come un essere oscuro, spirituale, certo, ma molto vivo e molto presente, che le prova tutte per portare le persone verso il male, per poi farle sprofondare per sempre negli inferi: il tentatore per eccellenza.
La tentazione è, per l’appunto, l’azione ordinaria, la più pericolosa e infida, del demonio, lo strumento principe dell’attività del grande ingannatore, la sua ragione d’essere, quella che, facendo leva sulla debolezza della carne, cerca in ogni modo di far cadere l’uomo nel peccato e di mantenercelo inchiodato sino alla conclusione della sua vita terrena e poi per l’eternità, in fondo al buco nero dell’inferno. E la droga – se ci riflettiamo sopra un attimo – è quanto di meglio oggi il demonio possa avere in mano per esercitare l’eterna arte della tentazione, è l’arma privilegiata.
La droga che seduce e cattura con il piacere e poi schiaccia con l’annichilimento della forza di volontà; la droga che porta alla menzogna e ad altri peccati, anche alla commissione di reati gravissimi; la droga che rende chi l’avvicina o artefice o vittima del male; la droga che travolge assetti familiari che sembrano indistruttibili; la droga che si insinua sempre di più in tutti gli strati della nostra società, come un virus silenzioso che ti schianta quando meno te l’aspetti; la droga che cambia le persone e poi, quando l’uso persiste, le rende irriconoscibili.
Una trasformazione radicale che oggigiorno è riscontrabile in innumerevoli casi di cronaca giudiziaria e che in letteratura è raffigurata in maniera esemplare nel celebre romanzo “Lo strano caso del dottor Jekyll e del signor Hyde”, pubblicato a Londra nel 1886. E’ infatti ormai accertato che il suo autore, Robert Louis Stevenson, scrisse questo racconto, oggi conosciutissimo in tutto il mondo, sotto l’effetto della cocaina, nell’arco di un periodo brevissimo di tempo: sei giorni e sei notti consecutive, senza mai dormire e mangiando appena qualcosa, tenuto in piedi dalla potentissima forza chimica della sostanza. Ma la cocaina non fu solo il propellente di quel romanzo, ne fu anche la principale protagonista: l’idea centrale della narrazione era infatti quella di “una trasformazione volontaria della personalità, che diventa ad un tratto involontaria”.
Insomma, alla fine, dove passa la droga, nei romanzi come nella realtà, si rinvengono due persone in una, che si muovono costantemente in contraddizione tra di loro nei pressi del labile confine tra il bene e il male. Sì, perché ognuno di noi ha dentro di sé tanto bene e tanto male (esattamente come dice Dorian Gray – altro tossicomane famoso che compare nella letteratura anglosassone – al suo amico pittore prima di ucciderlo: “Ognuno di noi riunisce in sé il cielo e l’inferno”), sicchè spesso, in condizioni alterate di percezione della realtà, basta un nonnulla, un momento di obnubilazione, uno sguardo di traverso, un gioco beffardo della fortuna (manovrata o no da qualche forza soprannaturale), per trasformare un brav’uomo in un criminale.
La droga dunque si presta perfettamente ad essere vista come lo strumento principe della tentazione, come la mela del peccato, come il frutto proibito che porta guai a non finire, laddove il trafficante e lo spacciatore ben possono rivestire il ruolo di Eva tentatrice, a sua volta manovrata dal diavolo sotto veste di serpente ingannatore.
Insomma, alla fine di questa lunga perorazione, l’appello è ai nostri Vescovi (sì, perché la provincia di Macerata è suddivisa in ben quattro diocesi, rispettivamente guidate da mons. Claudio Giuliodori, mons. Luigi Conti, mons. Francesco Giovanni Brugnaro e mons. Giancarlo Vecerrica) affinchè, per combattere la trappola diabolica della droga, sia nelle omelie domenicali e festive che in altri specifici momenti di aggregazione rivolti agli adulti ed ai ragazzi vengano inseriti, all’interno del complesso sistema di valori religiosi trasmessi ai fedeli, anche forti messaggi in favore della libertà del corpo e dello spirito e contro la schiavitù delle sostanze stupefacenti e dell’alcol. Il sì deciso alla vita passa infatti anche per il no esplicito alla droga e a tutti i comportamenti forieri di morte.
* Giuseppe Bommarito
Presidente onlus “Con Nicola, oltre il deserto di indifferenza”
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Grazie Avvocato Bommarito, per i suoi bellissimi articoli. Soprattutto per quelli dedicati ai giovani. ha toccato grandi verità e ha citato parole straordinarie di tre grandissimi Papi. I nostri giovani sono assetati di verità e vanno accompagnati ad una vita bella come meritano. Sta facendo un grande servizio. un grazie da genitore, da insegnante, da cattolica!
Le droghe vincono perché la società é uno schifo. E questa è precisa responsabilità non solo della classe dirigente, ma di tutta la popolazione over 60, IMHO.
In qualsiasi caso nei paesi civili, dove c’è giustizia sociale, c’è una certa tolleranza verso le droghe leggere… si vive bene, insomma.
L’Italia è sempre il fanalino di coda: non Europa del sud, ma Africa del nord.
Caro Peppe il tuo messaggio è arrivato forte e chiaro. Il forte richiamo che rivolgi al mondo cattolico in tutte le sue articolazioni territoriali va ad unirsi ai precedenti appelli verso le Istituzioni e Associazioni e che hanno prodotto una diversa sensibilità e risultati soddisfacenti.
Una sola considerazione. Non solo nel mondo della letteratura troviamo personaggi che hanno esaltato e portato all’eccesso attraverso le droghe le loro naturali capacità intellettuali. Lo sport e lo spettacolo ( soprattutto nella musica ) anche nel campo dilettantistico forniscono esempi e situazioni allarmanti. La frenesia di emergere, il mito del successo a tutti i costi, l’illusione di risolvere problemi contingenti sia sociali che economici, rappresentano un vero trabocchetto per i giovani e purtroppo anche per adulti. Ho il timore caro Peppe che i messaggi che arrivano giornalmente dai media, dalla rete siano talmente forti e pressanti che inducono i giovanissimi ad immaginare un mondo dove se non hai soldi e successo sei nessuno. La diffusa mancanza di valori, l’indifferenza al sociale, la rassegnazione e il degrado morale fanno il resto.
So che non mollerai mai per questo ti rinnovo la mia stima.
@ giovanni di geonimo
La cultura della droga, dello sballo per sfuggire ad un esistenza difficile, per sentirsi bene, per essere controcorrente, per allargare la mente, per fragilità personale, per trovare angoli di te stesso che non avevi mai consciuto, per disperazione, per il “gusto” del proibito e dell’infrangere l’ordine costituito, per rilassarsi…. è sempre esisita.
Basterebbe leggere qualche volume sull’argomento, ad esempio Droga, famiglia & società o London Calling per rendersi conto che il fenomeno delle droghe è assai più “antico” di quanto si pensi
Solo che “prima” (20 o 30 o 40 ani fa) l’uso di droghe (eccetto per i pochi che si facevano con roba pesante) era molto più circoscritto.
L’uso (e NON abuso) era -ogni morte di papa- lo sballo del sabato sera
L’uso (e NON abuso) era la “serata diversa”
L’uso (e NON abuso) era condividere una o due canne in 4 o 5 persone
L’uso (e NON abuso) era un rito, un setirsi “contro”, una sorta di liberazione…
Non come oggi che tanti giovani (per noia, disperazione, mancanza di ideali, scazzi vari, ecc.) comincino a “stordirsi” subito dopo il caffè (e mi dicono che la sostanza attiva sia 10-20 volte più forte dell’erba di 20 anni fa) e vanno, di canna in canna, avanti fino all’ora di andare a letto.
E poi oltre le canne, le colle, le pasticche, la cocaina (che, all’epoca mia, era “la droga dei ricchi” per quanto costava ed era comunque considerata pericolosa e pesante ma oggi, abbassati i prezzi è la droga di tutti, un gioco, per tirarsi su se sei stanco, per s-ballare per ore), addirittura è “tornata di moda” LSD (e suoi derivati) usata come se fosse una mentina…
Ed assieme alla droga, spesso, giù fiumi di alcool e biccheroni di intrugli vari, per moltiplicare l’effetto della pasticca.
Ma allora mi chieso: questa parte (sempre più estesa) di “società malata” è una deviazione dei nostri tempi oppure c’è sempore stata???
Perchè 70 anni fa, 100 anni fa, 150 anni fa lo “sballo” era riservato ad una parte infinitesimale della popolazione???
Erano migliori i nostri nonni?
Erano più timorati di dio i nostri bisnonni???
Più sani?
Più giudiziosi?
Più attenti a non cadere nella trappola della tossicodipendenza (o dell’alcool)???
Oppure l’opulenza che ha contraddistinto la Società Occidentale negli ultimi 40 anni….O la mancanza di guerre in Occidente….O l’eliminazione di carestie….O l’assenza di epidemie hanno fatto sia che, in un certo qual modo, la società rimanesse “contaminata” da migiaia di individui, decine di migliaia di individui che, in altre epoche e altri luoghi, non sarebbero sopravvissuti e quindi non avrebbero reso la società così come la viviamo noi oggi???
Non sarebbero sopravvissuti e quindi non sarebbero caduti, a migliaia e migliaia, sterminati dalla droga e dall”alcool???
Non è che prima guerre, carestie ed epidemie risolvevano, per così dire preventivamente, il problema per quella parte di società che (per molteplici e forse anche giustificati motivi) sarebbe poi stata “contaminata” dalla droga e dall’alcool??
E perchè moltissimi giovani che (20 o 30 anni) fa si facevano le canne oppure gareggiavano a chi riusciva a bere più birra o più superalcoolici hanno poi smesso, hanno abbandonato il bicchiere, hanno tirato su famiglia e non hanno continuato a devastarsi???
Posso dire il mio pensiero.. invece di combattere la droga alla fine della suo percorso, perché non distruggere la droga all’inizio cioè in Colombia Afghanistan ecc forse diventeremo un po talebani.. ma loro erano riusciti a distruggere in Afghanistan la produzione di droga.. cosi oltre al commercio c’è da spendere per la cura.. ma senza non si può stare?
Caro Giuseppe,
non so se il titolo di questo tuo bell’articolo sia stato pensato da te o incollato dalla redazione. Sta di fatto, comunque, che non parlerei di esternazioni (così inflazionate da Cossiga…) di papa Francesco, quanto piuttosto di omertà di tutti gli altri.
che la droga sia un male è scontato, come affrontarlo? sinora qualsiasi intervento “morale” o giudiziario ha mostrato il suo fallimento. credo vada aperto un dibattito serio sulla legalizzazione e cioè sul riconoscimento che tale male esiste e che sia meglio che un tossicodipendente abbia un riferimento “sano” di tipo sanitario, psicologico, cristologico e chi più ne ha ne metta piuttosto che la malavita o la galera.
La decadenza civile e sociale dell’Italia è ormai sotto gli occhi di tutti. I primati che ormai ogni giorno vengono alla luce dalle statistiche sono impressionanti: evasione ed elusione fiscale, corruzione, clientelismo e voto di scambio, gioco d’azzardo legale ed illegale, commercio e spaccio di droga, una politica schiava delle hobby economiche e finanziarie più o meno lecite, banche e finanza che perseguono frodi di ogni tipo scaricandone le conseguenze sulla collettività, stipendi e pensioni d’oro fuori di ogni controllo sia nel pubblico che nel privato, una politica autoreferenziale e sempre più antidemocratica, ecc. ecc. .
A questo si contrappone una massa sempre più grande di cittadini senza diritti, più povera, schiava di una politica diabolica di morte, indifesa nella dignità dei diritti e dei doveri civili e morali. Un noto cantante in una canzone diceva: “ povera Italia ….”.
A questo punto penso che solo Dio può fermare questa società dell’ingiustizia e dell’orrore.
Premetto che non faccio uso di nessuna droga (Alcol e tabacco compresi) siete sicuri che la soluzione sia il proibizionismo? Il proibizionismo fa ingrassare la criminalità organizzata, fa scatenare guerre civili e guerre tra bande che provocano milioni di morti ogni anno. Per quanto riguarda le droghe leggere l’unica strada sarà la legalizzazione (sia della produzione che del consumo) per consentire alle forze dell’ordine e all’apparato giudiziario di affrontare più efficacemente e celermente i crimini più odiosi. Si occupano celle e aule di tribunali per perseguire chi si fuma uno spinello e poi si scarera chi commette rapine nelle ville, stupra e uccide perchè le carceri sono piene e i tempi di custodia cautelari sono scaduti. Per non parlare della durata dei processi… Il proibizionismo degli anni 20 in America vedo che non ha insegnato nulla, perchè l’importante è lavarsi la coscienza altro che affrontare e risolvere i problemi.
Sig Pigi, Proibizionismo si, proibizionismo no, anche ieri un ragazzinodi 17 anni è morto a Rimini per lo sballo con un mix di droghe o altro. Quindi qua qualcosa di grosso con queste droghe bisogna fare, seriamente e drasticamente. Gia con questi sequesti quotidiani di veleni vari, credo che si stia facendo già molto. Concordo molto con il suo scritto, meno sugli spinelli, perchè per me anche gli spinelli hanno un ruolo ben preciso nella scalata allo sballo. Si comincia sempre con lo spinello, chis a perchè. Un ragazzini che a 15-17 ani è già un consumatore di veleni……fa venire tante domande. Possiamo provare col proibizionismo per un paio di anni…e vediamo se le cose migliorano o no. Se migliorano, continuamo, se no..rimettiamo tutto come sta adesso. Ma proviamoci.
@ el dindo
Se “alla fonte” per chi lavora nei campi (Afghanistan Pakistan, Bolivia, Marocco, ecc.ecc.) conviene tre, quattro, sei volte di più coltivare canapa piuttosto he coltivare cereali o pomodori o zucchine cosa credete che, potendo, i contadini coltiveranno??
Se si è ancora convinti che con un cucchiaino (sequestri) si riesca a prosciugare un oceano (produzione internazionale) mi sembra che stiamo soltanto a perdere tempo.
Credo cheinvece si debba intervenire a monte (sia su chi produce) che su chi consuma: scuola, famiglia e società…
Le faccio i complimenti, avvocato, per i suoi articoli dedicati ai giovani e al valore della vita in generale. La ringrazio perché, anche grazie a ciò che ha scritto e continua a scrivere su CM, ho capito quanto può essere stupido ed inutile basare la propria esistenza sulla ricerca dello sballo eccessivo,che alla fine si rivela essere soltanto il primo grande nemico della nostra vita. La gioia, (non si può chiamare felicità) derivante da sostanze stupefacenti o dall’abuso di alcool, può essere momentanea, ma poi cosa resta!? Solo sofferenza per noi e per chi ci vuole bene. Spero che il suo messaggio arrivi anche a tanti altri ragazzi della mia età.
Le rinnovo la mia più sincera stima.
@ Cerasi, ma io la penso anche come lei, sulla prevenzione a monte, ma a questo proposito vorrei vedere e sentire a chiare lettere, dalla scuola, dalla famiglia, e dalla società, gridare a voce alta che chi usa queste sostanze è uno sfigato ( termine molto in voga tra i giovani e che può far presa) invece oggi come oggi, sembra che gli sfigati sono coloro che ripudiano queste sostanze ( spinelli compresi). Anche qui su CM, certi commenti (su questo argomento droghe, che il Sig Bommarito porta spesso alla ribalta) a volte sembra che ci sia un piccolo esercito dei protettori dello spinello, quando invece sarebbe ora che si faccia lotta dura anche alla canna che dir si voglia. Ma parole al vento……