Sono più di 33.000 i volontari e gli iscritti ad associazioni in provincia di Macerata che operano all’interno delle oltre 2300 associazioni no-profit del territorio. Numeri elevati ma che – pur più bassi rispetto alle Provincie di Pesaro e Ancona – rientrano nella media italiana. Un mondo, quello del no-profit, che in dieci anni – dal 2001 al 2011, data dell’ultimo censimento pubblicato ieri dall’Istat – ha effettuato un balzo nel nostro paese del 28% per numero complessivo di associazioni, cooperative, fondazioni, con il personale dipendente che è cresciuto addirittura del 39,4%. Protezione Civile, assistenza sanitaria, sport, cultura, una ricchezza sociale che si sta gradatamente trasformando in ricchezza economica ed opportunità. E se il numero dei dipendenti pubblici si è contratto in dieci anni di più del 10% equello degli addetti dell’industria è precipitato in picchiata verticale, il terzo settore nel suo piccolo ha compiuto dei balzi da gigante.
Numero di volontari nel no-profit divisi per categorie di intervento. Elaborazione Cm su dati Istat.
A cosa si dedicano i maceratesi? La stragrande maggioranza delle associazioni e dei volontari si dedicano allo sport, alle attività ricreative e alla cultura, con un totale di circa 1700 associazioni e più di 23.000 volontari. Seguono poi l’assistenza e la protezione civile ma con numeri ben più bassi: 130 associazioni e 3100 volontari. Quindi la sanità, la religione e via via tutti gli altri fino al mondo della cooperazione che chiude la graduatoria. Ci piace quindi divertirci e darci all’arte anche se l’impegno dei maceratesi – diviso tra sanità e assistenza sociale – non è certo trascurabile. La palma d’oro per numero di appassionati va comunque allo sport. Medaglia d’argento alle attività ricreative e di socializzazione, medaglia di bronzo alla cultura e all’arte.
E con il terzo settore va anche l’occupazione. I lavoratori stabili impiegati nelle aziende no-profit sono oltre 1900 a cui si aggiungo circa 1000 collaboratori o lavoratori con contratti atipici. Non tutti i settori di attività offrono però le stesse prospettive occupazionali. Infatti gli ambiti che offrono le maggiori opportunità di lavoro sono l’assistenza sociale e la protezione civile, con quasi 1100 lavoratori impiegati di cui 900 stabilmente. Seguono quindi lo svilippo econonomico, l’istruzione e la sanità, poi l’aggregato “cultura, sport e ricreazione.” E qui troviamo un’altra sopresa. Gli occupati a tempo indeterminato nelle associazioni sportive sono più di quanti maceratesi riescano a
vivere stabilmente di cultura no-profit: 46 addetti contro 37. Più che con la cultura, verrebbe da sorridere, nel settore no-profit in Provincia di Macerata è con il calcio che si mangia. Un mondo, quello della cultura, che esce appunto piuttosto male dalle rilevazioni Istat in quanto a numero di occupati. Come detto sono solo 37 su un totale di circa 1900 lavoratori occupati stabilmente nel no-profit, una percentuale risibile se confrontata oltretutto con l’elevatissimo numero di volontari e di associazioni che operano nel campo. Meno del due per cento di tutti gli occupati nel terzo settore. Un dato che stride con quanto un po’ pomposamente la politica e le forze economiche hanno tratto dalla presentazione del recente studio di Symbola a proposito del distretto culturale. E forse alcune precisazioni in merito andrebbero fatte prima che le orecchie vengano stordite con le consuete “eccellenze”.
Il numero di attività no-profit e di occupati nel settore culturale nelle cinque province marchigiane. Elaborazioni Cm su dati Istat.
Il report “Io sono cultura” si basa infatti su un aggregato di campi di attività racchiusi in macro-categorie, secondo i codici Ateco utilizzati anche da Istat in simili rilevazioni. Il problema è che il contenuto di queste macro-categorie Ateco spesso c’entra un po’ poco con l’etichetta “cultura,” almeno per come si intende comunemente il termine. E’ come se in un cestino con scritto “frutta” ci trovassimo poi dentro dei sassi. Dal report di Symbola e UnionCamere, per fare un esempio, si scopre che in provincia di Macerata esistono 167 aziende che producono “Videogiochi e software.” Dalle tabelle però è impossibile distinguere le ditte che effettivamente si occupano di intrattenimento piuttosto che di contabilità. Come dev’essere un distretto culturale più allargato che evoluto quello che conta tra le “industrie creative” la “Fabbricazione di porte, finestre e loro telai, imposte e cancelli metallici”, oppure la “Fabbricazione di parti e accessori di mobili”, o ancora la “Legatoria e servizi connessi”, tra cui ovviamente le fotocopisterie che non si sa bene se fotocopino poesie del Petrarca o bollette del gas. Leggendo bene quel rapporto si ha più di un sospetto che siano le attività artigianali legate alla pelle e al cuoio, la piccola manifattura a tirar su la statistica e a dare quel clamoroso numero di occupati nella “cultura” in Provincia di Macerata. Una lettura la nostra che a questo punto andrebbe a coincidere con il censimento di Istat del mondo no-profit. Si fa sì cultura ma con molta meno occupazione prodotta rispetto ad Ancona e Pesaro.
E a questo punto forse non c’è nemmeno da sorprendersi venendo a sapere che la percentuale di laureati nella provincia di Macerata è più bassa della percentuale complessiva della Regione Marche che è in linea con la media italiana. Un numero di laureati pari a circa l’11% della popolazione, una valore che – se consideriamo come in Provincia di Macerata si contino ben due Università e un’Accademia – ce la dice lunga sulla capacità attrattiva del nostro sistema formativo in generale e su quello universitario in particolare anche se, va pur sottolineato, la nostra popolazione è molto vecchia. Insomma, nell’Atene delle Marche a ben guardare mancano proprio gli ateniesi, questo secondo i dati presentati solo qualche settimana fa alla giornata dell’Economia indetta dalla Confcommercio Provinciale. E se a questo aggiungiamo i dati di Banca d’Italia rispetto alla perdita di posti di lavoro, scopriamo che in generale nelle Marche – a differenza che nel resto del paese – la laurea non è di grande aiuto per mantenere il proprio lavoro. Il che, di nuovo, la dice lunga su quanta “cultura” venga prodotta nella nostra Regione e quale vantaggio dia l’essere in possesso di un titolo di studio elevato. Meno eccellenze e più realismo verrebbe da dire. E forse anche più sirene d’allarme considerando che l’economia complessiva delle Marche da tre anni a questa parte è in caduta libera insieme all’occupazione, con perdite doppie di Pil e di posti di lavoro rispetto alla media del nostro malandato Paese. Per fortuna però, come scopriamo oggi, c’è almeno il terzo settore che avanza.
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Buon pomeriggio Marco
che fai ti iscrivi anche tu alla gruppo Facebook “non possiamo parlare bene di macerata neanche una volta” ? …. Scherzo , i tuoi articoli sono molto equilibrati ma questa volta alcune considerazioni sono un pò “forzate” diciamo cosi. Mi riferisco come avrai capito alle valutazione che sembri dare della scarsa significatività dei dati proposti (o forse più delle interpretazioni politiche ) nella ricerca di Symbola che posizionano Macerata in ottima posizione nella cosi detta industria culturale. le tue considerazioni che bonariamente contesto sono :
a) siccome nel terzo settore gli occupati in cultura sono meno del 2% allora significa che anche nell’intero settore economico il peso non è quello proposto da Symbola (attorno al 6-7% se non ricordo male) Perché ? Chi lo dice che il terzo settore sia statisticamente rappresentativo di tutti i settori economici ? Io non conosco dati che dicono questo ,non so tu , ma se li hai dovresti portarli a supporto della tua argomentazione.
b) I codici Ateco presi a riferimento dalla Ricerca di Symbola non sono rappresentativi , o lo sono poco , e sovradimensionano il peso dell’industria culturale nella nostra provincia.
Che i codici Ateco possono non essere perfettamente ritagliati per rispondere a quello che tu o io o anche l’opinione comune possa considerare industria culturale non faccio fatica a crederlo (d’altronde sarebbe ben difficile ottenere questo risultato) . Ma ancora una volta come fai a poter dire che questa situazione avvantaggia la nostra provincia più delle altre ? Perché questo dovresti dimostrare per affermare che la posizione di Macerata è immeritata . E dovresti dimostrarlo con i dati e non con le supposizioni (ognuno avrebbe la sua) . In realtà è ragionevole pensare che nella nostra provincia quei settori siano distribuiti all’incirca come avviene nell’intero paese o almeno nella nostra Regione . In effetti nella ricerca puoi veder che l’industria culturale marchigiana vanta un moltiplicatore poco superiore alla media nazionale (1,9 contro 1,7) per cui sarei tentato di pensare che nel nostro paniere (almeno quello marchigiano, per macerata il dato non c’è ) i settori siano abbastanza simili alla media nazionale visto che provocano un reddito indotto anche un po’ superiore (anzi per questo motivo si può pensare che ci sia un po’ più di cultura). E’ un problema di matrici intersettoriali. Ma se hai dati aggregati più significativi, tirali fuori. Ne guadagneremmo tutti.
Personalmente sono pochissimo interessato al dibattito se mettere o non mettere questa medaglia dell’industria culturale ai nostri amministratori . Mi interessa di più la discussione, che poi però dovrebbe portare a scelte concrete, relativa alla efficacia di questo settore della cultura e più in generale della conoscenza per aiutare a spingere l’Italia fuori dei suoi problemi. Per questo ci tengo a cercare di tenere il dibattito su questo argomento fuori dalla polemica politica specie se provinciale . Sono sicuro che mi avrai capito, e scusato
@iesari, se i dati di symbola hanno assimilato alle produzioni culturali quelle degli infissi in alluminio poco conta il confronto tra una provincia e l’altra…direi che sono semplicemente inutili. Almeno a CM si sono presi la briga di andarli a spulciare (i dati) contrariamente alle altre testate che se li sono semplicemente bevuti, almeno per quello che ho letto…
(….questa volta non mi ritrovo nel suo ragionamento – di solito si 🙂
gentile Marta
ho sotto mano la tabella delle categorie produttive considerate da Symbola . Ci sono 4 macro Settori che sono 1) industrie creative 2) industrie culturali 3) Patrimonio artistico 4) Performing arts. All’interno delle industrie creative insieme a settori come architettura o design e produzione di stile , troviamo l’artigianato . mi immagino che la produzione di infissi di cui parla Ricci venga da li . L’artigianato c’è perché , giustamente , cattura tante attività dove l’ingegno e la creativa svolgono un ruolo fondamentale (pensi non so alla produzione di gioielli) . In questo aggregato è possibile che ci siano anche attività che “stridono” con l’idea di cultura che tutti abbiamo. Ma cambia qualcosa rispetto al risultato finale ? La ricerca individua comunque il fenomeno della produzione culturale nel nostro paese . Direi di si . Con qualche imprecisione . Probabile, visto che deve basarsi su banche dati che nascono per scopi diversi e generali. Quando si analizza un fenomeno compiere un piccolo errore (non macroscopico certo) non inficia il valore della ricerca se lo compio sempre nella stessa maniera per un certo numero di rilevazioni. Il senso della direzione , il trend , lo individuo comunque. Ed in questo caso il trend dice che questo aggregato di settori regge alla crisi meglio di altri e può dare un contributo positivo alla ripresa del nostro paese. Mi sono spiegato meglio ?
“In economia, speranza e fede coesistono con delle grandi pretese scientifiche e con un profondo desiderio di rispettabilità.”
(John Kenneth Galbraith)
Gentile dott. Iesari,
i dati sono molto eterogenei in generale. Provenienti da fonti diverse e diversamente organizzati. Le faccio però un esempio di quanto le macro-categorie Ateco possano essere fuorvianti e statisticamente poco incisive. Tra i lavoratori del “distretto culturale”, ad esempio, troviamo i “falegnami e gli attrezzisti per la lavorazione del legno” oppure i “finitori, operai dei rivestimenti metallici, della galvanoplastica e assimiltati”, oppure appure ancora i “carpentieri e falegnami dell’edilizia”. Lei capisce che questi lavoratori riconducibili secondo i codici Ateco al “core delle industrie delle attività produttive culturali” siano fuorvianti e con un peso specifico sicuramente maggiore dei “coreografi” piuttosto che dei “giornalisti.” Il che rende a mio parere poco utilizzabili – a meno che non si considerino i carpentieri come attori dell’industria culturale – i dati aggregati.
D’altra parte, se ci limitiamo alle aggregazioni più prettamente “culturali” troviamo esattamente gli stessi andamenti ricavati dai dati di Istat in relazione al no-profit. Ad esempio nelle macro-categorie “Performing arts” e “patrimonio storico-artistico” si rilevano gli stessi andamenti, con le provincie di Pesaro e Ancona sopra quelle di Macerata. Ora, è vero che dal report Symbola non sia possibile desumere né un andamento né un altro. Ma incrociando dati diversi a mio parere risulta una sovrastima notevole del “distretto culturale”, a meno che – appunto – non si vogliano considerare. ovviamente con tutto il rispetto, i “carpentieri” come attori culturali.
La mia personalissima opinione è che spesso “si reciti a soggetto”. Ovvero si prenda dalle statistiche ciò che fa comodo volersi dire senza davvero verificare se questo abbia un riscontro reale oppure o meno. Credo che questo sia pericoloso quando le P.A. devono decidere dove investire e come. Davvero non è una questione di parlare bene o male di Macerata o della sua provincia. Credo semplicemente che sia molto pericolo in questo grave momento storico lasciarsi andare a consolanti scenari che possono magari non esistere del tutto o in parte. Tralasciando le statistiche, per essere molto concreti – al di là dei dipendenti pubblici – a Macerata non credo di conoscere una sola persona che “viva” decentemente di cultura.
Un bel dibattito, comunque, che meriterebbe un bell’approfondimento.
Marco.
Salve Marco
credo che hai estratto le categorie che ti lasciano perplesso dall’appendice della ricerca di Symbola . Fra quelle che tu indichi non ne ho trovate alcune ma ne ho viste anche altre che appaiono anche a me “discutibili” . Bisognerebbe confrontarsi con chi ha svolto la ricerca . Però , visto che tutte queste figure professionali rientrano nella categoria dell’artigianato , ho controllato il peso che questo determina sul totale della produzione culturale: il 13% del valore aggiunto e il 16-17% degli occupati . Per cui queste attività su cui dibattiamo sono un di cui di queste percentuali . cambiano lo scenario generale ? La tua preoccupazione è quella di una manipolazione dei dati per confermare un obiettivo precostituito. Diciamo che l’obiettivo è chiaro , per Symbola, e sarebbe : conviene puntare sulla cultura per aiutare a rilanciare il nostro paese . I dati sono a supporto di questa ipotesi. Pensi che i dati reali non confermino questo obiettivo, o che l’obiettivo sia sbagliato? Se non ti è stato possibile ti inviterei a leggere il libro “la cultura si mangia” di Pietro Greco che è stato presentato anche a macerata qualche settimana fa. Spiega molto bene le ragioni della correttezza di una scelta a favore dell’economia della conoscenza (l’industria o la produzione culturale è uno dei pilastri insieme alla ricerca e alla formazione ma inscindibile dagli altri) . I paesi che più stanno crescendo al mondo hanno fatto questa scelta e noi siamo indietro , pur vantando delle opportunità di base che ci renderebbero molto competitivi , ma le stiamo perdendo (questo è un mio pensiero). Per cui io non avrei dubbi sull’obiettivo e pur con qualche legittimo appunto neanche sulle valutazioni quantitative a supporto. Grazie per la discussione
“Cultura è quella cosa che i più ricevono, molti trasmettono e pochi hanno.”
Fin qui arrivò Karl Kraus, ma noi – forti di ulteriori esperienze forse inimmaginabili all’epoca di Karl Kraus – possiamo aggiungere che la cultura è anche quella cosa che pochi mangiano, come ultima portata, dopo essersi mangiati tutto il resto.
Se ancora il mondo non è esploso è per la presenza e l’opera di questi volontari e di tutti coloro che aiutano gli altri con spirito di amore e solidarietà.