L’isola felice che non c’è più e i luoghi comuni che si stanno sciogliendo come neve al sole. Questo verrebbe da commentare dopo aver sfogliato il nuovo rapporto della Banca d’Italia sull’economia marchigiana illustrato oggi in Ancona alla presenza del Vice Direttore di Bankitalia Fabio Panetta. Un rapporto che conferma la durezza della crisi economia e sociale in atto nella nostra Regione e che non lascia intravedere eccessivi margini di miglioramento nell’immediato futuro. “Tra il 2007 e il 2012 il calo del prodotto [nelle Marche] ha superato quello registrato a livello nazionale” – ha spiegato il Vice Direttore di Banca d’Italia nel suo intervento – “Vi hanno concorso da un lato la diffusa presenza di imprese subfornitrici di piccola dimensione insediate in sistemi del lavoro di tipo distrettuale; dall’altro una specializzazione orientata alla produzione di beni per la casa. A fronte di un inasprimento della concorrenza internazionale, le aziende di questi comparti hanno subito un forte calo delle vendite all’estero; sul mercato interno hanno risentito del ridimensionamento della spesa per beni durevoli.”
Se il PIL nel 2012 è sceso del -2,5% ed è in ulteriore cale nei primi mesi del 2013 in media con il resto del paese, negli ultimi cinque anni però il Prodotto Interno Lordo delle Marche è crollato di circa il doppio rispetto a quanto avvenuto in Italia. Anche la produzione industriale, dopo la spaventosa caduta avvenuta tra il 2008 e il 2009, è in ulteriore ridimensionamento anche nel 2013. Questo per una molteplicità di fattori primi tra i quali la diminuzione della domanda interna e il ruolo più marginale del sistema Italia e del sistema Marche nel complesso di crescita delle esportazioni globali. Un lento aumento delle esportazioni che non è stato in grado di sopperire alla drastica riduzione dei consumi interni, due trend divergenti a somma negativa che si manterranno tali anche nel 2013. Particolarmente colpite le industrie dei beni per la casa che dal 2009 al 2011 hanno visto diminuire le loro quote di esportazione di circa il 40%. Anche le industrie della moda, ad eccezione dei grandi marchi che riescono ancora bene a reggere il mercato, hanno duramente segnato il passo. Nelle esportazioni volano invece la meccanica con un +11% e il settore farmaceutico.
Gravissima, come nel resto del paese, la crisi dell’edilizia. Dal 2006 sono più che dimezzate le transazioni e solo nel 2012 le compravendite sono franate del 30% rispetto al 2011. Nonostante questo i costi degli affitti hanno però mostrato solo una leggera flessione, provocando un drammatico effetto secondario. Nel contesto della crisi e delle nuove povertà infatti i soggetti colpiti sono spesso coloro che non possiedono un immobile di proprietà. Così gli elevati canoni di affitto hanno portato ad un notevole aumento delle procedure di sfratto. Nel periodo 2008-2011 si sono contati nelle Marche circa 1250 sfratti l’anno, un valore mediamente superiore del 60% rispetto al quadriennio precedente.
Nel 2012, inoltre, il trend è ancora in crescita di un ulteriore +10%, dati drammatici che seppur ancora strutturalmente inferiori rispetto a quelli del resto del paese si stanno pericolosamente avvicinando alla media italiana.
Anche il tasso di disoccupazione nelle Marche ha continuato a salire e alla fine del 2012 ha sostanzialmente eguagliato il dato italiano raggiungendo il 9,1%, più del doppio rispetto al 2007 e superando la media nazionali per i lavoratori maschi. Prima della crisi, ricordiamolo, il dato marchigiano era inferiore di un circa 3% al tasso di disoccupazione italiana, un fattore positivo dunque che è amdato perduto. Drammatica in particolare la situazione per i giovani. Nella fascia d’età compresa tra i 18 e i 34 anni la disoccupazione ha raggiunto la vetta del 16,7%. Il rapporto di Banca d’Italia rileva inoltre che – a differenza di quanto osservato nel resto del paese, dove le condizioni lavorative si sono deteriorate soprattutto per i lavoratori con bassi livelli di istruzione – in regione il peggioramento è risultato diffuso indipendentemente dal titolo di studio posseduto.
In crescita le sofferenze bancarie, dove è più che raddoppiata la quota dei prestiti alle imprese al momento deteriorati: sono il 9,9% rispetto al 4,5% dell’anno passato. In drastico calo i prestiti alle imprese (2,2%), un dato che raggiunge il valore di un meno 3,6% nel caso delle ditte di minore dimensione. Un andamento che rivela non solo la difficoltà e la cautela degli Istituti Bancari ma anche una richiesta contenuta di accesso al credito e dunque di una scarsissima propensione al rischio a cui si aggiunge la scarsa capacità delle imprese nel presentare piani di ristrutturazioni credibili ed efficaci. Una congiuntura quindi davvero preoccupante che se da una parte pone le Marche nel mezzo del tunnel dall’altra non rivela neppure una possibile via d’uscita. Ricordiamo a questo proposito gli strutturali bassissimi investimenti in ricerca e sviluppo nella nostra Regione, investimenti che nel 2009 erano solo lo 0,7% del Pil. Ovvero la metà della già esigua percentuale italiana rispetto alla media europea.
In estrema sintesi l’impressione che si ha leggendo il rapporto sull’economia marchigiana di Banca d’Italia è quella di un’economia partita da condizioni in alcuni casi migliori rispetto al resto del Paese ma che è andata gradatamente perdendo quei vantaggi accumulati e i suoi punti di merito. Le Marche sembrano al contrario aver prestato il fianco in termini di produzione e di occupazione anche per via delle proprie criticità strutturali: scarsissimi investimenti in tecnologia e formazione, diffusa quantità di terzisti nonché di imprese piccole e piccolissime. Un’economia regionale dunque che – al pari del resto del paese e per utilizzare le parole del Vice Direttore di Banca d’Italia – “ha assommato alla crisi economica globale i ritardi con cui il sistema produttivo si sta adattando ai cambiamenti intervenuti nell’ultimo quarto di secolo.”
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Che ci sia la crisi se ne sono accorti anche i più distratti.
Che questa crisi, rispetto a quelle passate, sia un tavola da surf che ti arriva dritta sui denti mentre stai nuotando è oramai accertato.
Che anche chi, all’inizio, aveva erroneamente pensato “mi salvo anche stavolta, magari facendo un pò attenzione alle spese” si è reso conto che sta andando giù a picco come gli altri.
Insomma: se vogliamo continuare a parlare di crisi, di come ci ha preso allo stomaco, di come ogni giorno sia sempre più difficile, delle famiglie in difficltà, di chi viene licenziato, di chi è nella mer.. fino al collo potremmo così tanto parlare da riempire un’enciclopedia di 20 voluminosi volumi.
Quello e mi sembra completamente mancare, in tutti questi discorsi, sono 2 voci.
La prima voce è qella degli esperti (o supposti tali) che sono tutti bravi a spiegarci in che mare di liquami siamo finiti (grazie, dalla puzza ce e eravamo accorti anche da soli) ma che poi sulle ipoteesi e soluzioni stanno muti come pesci.
La seconda voce è quella della politica; tutti con i lacrimoni in mano, tutti a dire che è molto dura ma, fino ad oggi, nesuno che fornisca, anche qui, qualche ipotesi e soluzione.
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Che poi sono almeno 15 anni che ci ripetiamo che il nostro comparto regionale produttivo/industriale/manufatturiero è composto (o, per meglio dire, “era composto” perchè in tanti hanno già chiuso) da piccole e piccolissime aziende e che questo sfavorisce nell’economia globale oramai è la poesiuola che sanno tutti, fin dalle elementari.
Ma in 15 anni anche qui nessuna ipotesi, nessun cambiamento di marcia, nessun progetto che ci permettesse di tornare ad essere competitivi…
Fino a che ha tirato i nostri imprenditori ed industriali se ne sono bellamente fregati di innovazione tecnologica, di economie di sistema, di aggiornamenti (tanto si vendeva) poi si sono trovati incapaci di dare risposte alla trasformazione dell’economia e all’arrivo dei giganti asistici…
Caro Cerasi, amerei ascoltare l’opinione e la proposta politica del MoVimento 5 Stelle (se ce l’ha), poiché sono stato un suo elettore e i lamenti-invettive astratte di Grillo mi hanno letteralmente scassato la minchia.
Allora, caro Gianfranco, hai da dire la tua opinione non personale, ma del MoVimento in proposito?
Te lo chiedo per il motivo che qui un sacco di gente è entrata nella disperazione e aspetterà solo qualche mese, poi andrà a caccia di politici da mettere nel carniere. E i “grillini” saranno della specie prelibata, ossia di carne fresca e tenera…
La vertenza della Indesit rientra nella normale situazione attuale. Una crisi diversa dalle precedenti in quanto da questa crisi non ci si risolleverà più. Tutti lo sanno ma nessuno lo dice. Per me è meglio fare un taglio ora del 30% del personale che chiudere definitivamente. Scelte dolorose ma obbligate. Altre vertenze invece che non mi piacciono sono queste: la Conbipel spa di Cocconato (AT). Ha 149 punti vendita in tutta Italia di cui 3 o 4 nelle Marche. La società ora è gestita da un fondo di investimento americano dove il personale è diventato solo numeri: le commesse/commessi di 2 o 3 livello andranno in mobilità con incentivo e saranno sostituiti da 4° livelli, sicuramente apprendisti. Questa tecnica, brutale, servirà per diminuire la disoccupazione giovanile; gli altri ? Ovviamente dopo la mobilità nessuna probabilità di trovare lavoro.
La sintesi del Vice Direttore di Banca d’Italia è chiara: l’economia regionale, al pari del resto del paese, “ha assommato alla crisi economica globale i ritardi con cui il sistema produttivo si sta adattando ai cambiamenti intervenuti nell’ultimo quarto di secolo.”
Come dire: “Non è la più forte delle specie che sopravvive, né la più intelligente che sopravvive. È quella che è il più adattabile al cambiamento” Charles Darwin.
Non credo alle sirene e soprattutto non credo in una ripresa. O perlomeno in una ripresa nel modo che credono i più.
Questa crisi ha dimostrato che la nostra economia è fondata su un castello di carte ed una serie di assunti dimostratisi utopici nella realtà dei fatti.
Il modello socio-economico basato su credito, speculazione e il benessere sono utopie propinate da chi è riuscito a specularci.
Dobbiamo prepararci ad un nuovo modello, con il ritorno al primario. Chi continua a sognare è condannato: non esistono politici, santoni o divinità in grado di riportarci ad una situazione pre 2008.
L’analisi della banca d’italia non fa una piega ma le debolezze del nostro sistema produttivo ed economico erano conosciute da tempo. A metà degli anni 80 la mia tesi di economia sul settore calzaturiero parlava dei limiti determinati dalle piccole dimensioni di quasi tutti i calzaturifici, e pensare che in quell’epoca non c’erano ancora i marchi di Della Valle , Nero Giardini e pochi altri . Per dire che in questo periodo le nostre aziende non sono state ferme ma la competizione globale e la crisi economica hanno picchiato più duro delle nostre, loro , più o meno robuste membra. Il fatto è che ora non ci potrà salvare ne le analisi della banca d’italia ne le lamentele o le contumelie di tanti , compresi alcuni dei commentatori qui sopra. Bisogna rimboccarsi le maniche e per primi devono farlo gli imprenditori ed il sistema finanziario . la politica certo può e deve fare la sua parte, ma non diamo eccessiva importanza al suo ruolo. La prima cosa da fare , secondo me, è smettersi di piangersi addosso e recuperare la passione ed il coraggio che hanno comunque fatto grande , per un lungo periodo la nostra economia (parlo sempre della marche ovviamente) La seconda è puntare su innovazione , qualità e presenza sui mercati mondiali . Le esperienze e le capacità le abbiamo tutte ma il rischio grosso è che le stiamo disperdendo . Bisogna fare in fretta
Dai che non morde ancora,
dai che forse a dicembre aumentano l’IVA (Se non subito),
dai che l’IMU sulla prima casa ce la fan pagare lo stesso (dato che è congelata).
Ma di che vi lamentate allora????? Aspettiamo il dafault con serenità…