Da Adriano De Leo, consigliere comunale di opposizione di Matelica, riceviamo:
Ho avuto modo di leggere l’intervista dell’Avv. Giuseppe Bommarito a quel giovane di appena 14 anni del nostro entroterra, che racconta i ‘rituali’ dello sballo nel week end (leggi l’articolo). Un’ intervista che –per forza di cose- lascia nel mistero generalità e provenienza dell’intervistato non contiene alcun difetto di parzialità nel riportare le notizie, anzi: in questo caso, ci ricorda che “Gianni” può essere il figlio –o la figlia- di ognuno di noi e che il paese dell’entroterra può essere il nostro, che “Gianni” può abitare nel nostro quartiere, nella nostra via o addirittura nel nostro palazzo. Testimonianze come quella che riportate Voi servono a far sì che ognuno di noi si senta collocato nel suo tempo e si senta chiamato a cambiare le cose, con tutta la forza che ha nel cuore. Per non vedere più tanti giovani, che magari abbiamo conosciuto bambini, perdersi per strada, deprimersi, entrare in tunnel da cui spesso non escono più. O compiere quell’incoscienza di troppo, quell’azzardo di troppo che può rivelarsi fatale. Non possiamo permetterci di perdere per strada una generazione. Il presupposto che ‘l’Italia è un Paese da cui i giovani vogliono scappare’ è testimoniato da una valanga di dati e studi statistici (l’Istat testimonia che nel 2010 già 2 milioni di giovani tra i 18 e 35 anni se ne sono andati all’Estero e che altri 4 milioni vorrebbero farlo) e rischia di essere ancor più grave nel nostro territorio, fiaccato da una crisi economica che soffoca le opportunità. La storia di ‘Gianni’ fa capire che spesso i giovani cominciano a scappare ancor prima di poterlo fare materialmente: rinunciano al proprio futuro, provano ad evadere, almeno per un paio di giorni alla settimana, da un presente che troppe volte è fatto di famiglie in difficoltà, una scuola spesso assente che non riesce ad essere –al di là di qualche insegnante particolarmente calato nella sua missione- nulla più di un ‘lezionificio’, l’incomunicabilità e le paure. Certamente, le attività di controllo esercitate dalle Forze dell’Ordine contro i vari aspetti dello ‘sballo’ sono utili, ma non bastano. La battaglia che dobbiamo vincere è anche e soprattutto culturale. Dobbiamo far sì che i nostri ragazzi ‘rimangano qui’, consapevoli e sani, pronti a divertirsi com’è giusto ma non come vogliono, nel rispetto di se stessi e degli altri. Qualcuno, però, deve fare il primo passo. E credo che questo spetti alle istituzioni. In primo luogo a quelle immediatamente vicine ai cittadini, i Comuni, che devono dare un segnale di forte volontà, collaborando con le associazioni, le scuole, le famiglie e gli stessi ragazzi. Portando avanti programmi integrati di sensibilizzazione che accompagnino l’impegno delle Forze dell’Ordine nel contrasto allo spaccio di stupefacenti e alla somministrazione illegale di alcool. Possiamo, ad esempio, prendere a modello gli Stati Uniti, dove l’impegno del movimento “Madri contro la Guida in Stato di Ebbrezza”, nel ventennio 1980-2000, attraverso una capillare attività di sensibilizzazione territoriale in collaborazione con le istituzioni ha rivestito un ruolo importantissimo nel cambiamento delle abitudini dei giovani americani e nel drastico calo di incidenti stradali. La base programmatica di partenza potrebbe essere la ‘Strategia Globale’ per la lotta all’abuso di alcool stabilita dall’Oms nel 2010, che contiene obiettivi chiari ed efficaci. Dobbiamo iniziare presto, sin dalla scuola primaria, per stroncare alla radice la possibilità che i ‘Gianni’ (di appena 14 anni!) siano sempre di più e sempre più difficili da ‘riportare con noi’. Perciò la politica è chiamata a cambiare innanzitutto se stessa, compiendo un salto in avanti, abbandonando l’idea troppe volte concretizzata secondo cui ‘cercare il consenso tra i giovani’ significhi essere un po’ complici del loro sballo. Di frequente, infatti, con qualche strizzatina d’occhio di troppo sono stati legittimati più o meno direttamente certi atteggiamenti sbagliati che, magari sì, possono portare qualche voto in più, ma senz’altro mettono in pericolo la vita di molti giovani e la serenità delle famiglie.
Per poter lasciare o votare un commento devi essere registrato.
Effettua l'accesso oppure registrati
Caro Adriano
in un attimo mi hai riportato indietro nel tempo di parecchi anni, di quando cioè questa maledetta droga faceva ingresso nella scuola, anche nella tua e mia scuola in cui non mi sfuggì affatto il cambiamento di alcuni bravi ragazzi che venivano catturati dal “nulla” della droga. Troncai personalmente la storia, rischiando come persona e come insegnante, parlando chiaramente ai ragazzi e alle famiglie che mi presi cura di avvertire. Mi piovve addosso l’ira di Dio e forse qualcosa di più se non fosse stato per la protezione di un preside intelligente e capace. Ora leggerti argomentare con tanto equilibrio e saggezza, mi riempie il cuore di gioia.
http://www.youtube.com/watch?v=YdH3-9_RaCE
“Se me lo dicevi prima” s’intitola questa canzone di Jannacci sul mondo della droga.
“L’eroina è merda che sa di vaniglia” c’è scritto in una delle foto con le quali è stato costruito il video.
Dedico il tutto ai miei colleghi genitori dell’entroterra maceratese, soprattutto a quelli più perbene di me.
Ho conosciuto un Presidente di un Consiglio di Istituto che ha rischiato il linciaggio: dai bidelli perché costretti a lavorare di più; dai genitori per i figli distratti troppo spesso da inutili incontri per discutere di droga, abbandono degli studi, associazionismo, sport; dagli insegnanti perché costretti ad impegnarsi su argomenti non attinenti al programma e/o educazione civica; dal Preside perché costretto ad uscire dalla Presidenza per controllare alunni, bidelli ed insegnanti; dalle Istituzioni perché costretti a far chiudere alcune parti della scuola per motivi di sicurezza e salute e fare delle spese non previste.
Era proprio una rottura per tutti? Solo per quelli che non avevano voglia di impegnarsi.
A volte anche Bommarito viene considerato una rottura. Da tutti? Solo da chi ha paura che qualcosa cambi, da chi non vuole disturbare la propria coscenza, da chi non avendo voglia o capacità di fare qualcosa non vuole che qualcuno glielo ricordi ogni tanto con interventi e commenti.
Non conosco Adriano de Leo, ma condivido il suo intervento.
Condivido anche io ciò che ha espresso De Leo. Solo che sono parole che si perdono mentre “sibila il vento e infuria le bufera”. Se i responsabili venissero impiccati pubblicamente si risolverebbe il problema? Oppure, il problema siamo noi? Intanto, a Roma chiacchierano su come formare il governo…
Qualche sana revolverata li farebbe correre come lepri, oppure anche la violenza sarebbe inutile per una Casta politica come quella italiana?
Concordo pienamente con le parole del Sig. De Leo, anche se oramai vengono ripetute da tutti e pochi fanno qualcosa. Forse a molti non è chiaro perchè i giovani bevono.
I giovani bevono perchè hanno situazioni problematiche a casa, con i partners, con gli amici o perchè sono alla ricerca di un’identitá, è possibile sostenere che un giovane beva anche per un cambiamento di abitudini e contesti sociali. Come ad es. L’inizio degli studi universitari dove si trovano a vivere in appartamenti con altri ragazzi, possono essere incoraggiati a bere molto e diventare forti bevitori, approfittando di un’occasione di autonomia e libertá.
Non è da sottovalutare la ricerca di forti sensazioni quale causa dell’abuso di alcol negli adolescenti, con cui si cercano esperienze avventurose o rischiose, e sperimentare nuove sensazioni. Secondo alcuni studiosi i sensation seeker (ricercatori di sensazioni) soffrono molto al noia e spinti da questa emozione negativa esprimono attraverso il loro comportamento un continuo desiderio di esperienze. Questo è un atteggiamento tipico dei forti bevitori.
Allora cosa fare?
Occupandomi personalmente, attraverso alcuni studi, ho potuto esaminare alcuni modelli di politiche di contrasto che hanno l’obiettivo di controllare socialmente il fenomeno dell’alcol.
Il modello proibizionista o dell’illegalitá, come quello americano, che non ha avuto alcun effetto nel ridurre il consumo di alcol, anzi si è accertato che detto consumo è aumentato in modo esponenziale, innescando un effetto al contrario.
Il modello regolamentato, con cui si cerca invano di regolamentare il consumo di alcol, come incidere sui prezzi, vietare di bere ai minori ed una regolamentazione di contesto (lavoro, alla guida, all’aperto).
Il modello educativo ad informazione guidata: da un’indagine del 2008 è emerso che i giovani europei preferiscono, dunque accettano, informazioni su alcol e droga, principalmente su internet, che li collegano volontariamente al web e virtualmente tra loro. A seguire, con un’importanza rilevante, il confronto con gli amici o i genitori; infine gli incontri che si programmano con i professionisti in ambito sanitario, i quali godono di una certa credibilità agli occhi dei giovani.
La famiglia ha un ruolo privilegiato sotto questo aspetto, essa deve essere una fonte qualificata di informazione, soprattutto nella fase della crescita. Questa informazione avviene mediante atteggiamenti e comportamenti che il giovane adolescente apprende dai familiari; dunque non è importante ciò che la famiglia dice, ma ciò che essa comunica attraverso il linguaggio alcolico. Il linguaggio alcolico che la famiglia deve assumere nei confronti dei figli è quello enogastronomico, che prevede il consumo alcolico esclusivamente a tavola, stile predittore di un consumo a cultura bagnata. Infatti si è evidenziato tramite alcuni studi che i giovani che hanno iniziato a bere con gli amici, sono spinti ad assumere alcol con la funzione di ubriacarsi ( cultura asciutta), e questo comporta un rischio potenziale nei futuri comportamenti. Perciò i soggetti che bevono tanto in un unica soluzione, come ad es. i binge drinker, si differenziano dai bevitori moderati proprio a causa del tipo di iniziazione. I figli educati a questa cultura presumibilmente la trasmetteranno alle generazioni successive.
Il bravo educatore dovrebbe affermare che l’alcol, data la grande diffusione, è si una fonte di problemi, comportamenti eccessivi, ma anche una fonte di piacevolezza.
Il modello degli equivalenti funzionali, che considera la possibilità di porre attivitá equivalenti a quelle del bere, con lo scopo di ridurre il consumo di alcol. È stato appurato che le attività equivalenti proposte all’interno delle strutture scolastiche non sono le più idonee e producono scarsi risultati in quanto le attività proposte vengono percepite come noiose, poco interessanti per il fatto che vengono calate dall’alto, imposte e istituzionalizzate.
Alcuni importanti studiosi affermano che il fattore protettivo principale del consumo di alcol è il capitale sociale, con il quale l’individuo crea collegamenti formali e informali, manifestandolo con l’impegno civico, nel volontariato unito ad un buon livello di fiducia negli altri, come risorsa principale affinchè il soggetto coltivi quel senso di appartenenza alla comunità, mostrando rispetto delle regole sociali. La capacità protettiva del capitale sociale non riduce la percentuale di chi consuma alcol, ma il consumo viene fatto in modo più responsabile e per questo meno propensi al binge drinking.
In conclusione è da escludere che una politica di “controllo” possa creare modelli di comportamento, essa può rafforzare, limitare o disincentivare tendenze esistenti.
Spero di essere stato chiaro e utile.