Le proteste popolari contro l’eccessiva potenza di quindici impianti biogas consentiti dalla Regione senza valutarne l’impatto ambientale (nella nostra provincia sono scesi in campo Corridonia, Loro Piceno, Matelica, Petriolo e Potenza Picena) mi spingono a riflettere su come siamo noi, società civile e politici, e su come ci poniamo – da società civile, ripeto, e da politici – di fronte alla marciante evoluzione dei tempi, una evoluzione che nel caso degli impianti biogas (residui vegetali e animali bruciati per produrre energia a scopo agricolo) pone a confronto la realtà odierna e ancor più la futura con quella di appena un decennio fa, ovvero sul cambiamento di ciò che s’intende con l’espressione “sviluppo economico”.
Fino alle soglie del Duemila prevaleva l’idea che l’edilizia – cemento, cemento – fosse uno dei principali fattori di benessere per i suoi indubitabili contenuti di lavoro e di reddito. Poi ci si è accorti che nel giro di trent’anni la dissennata – selvaggia? – cementificazione del territorio ha sottratto all’agricoltura, al paesaggio e alla bellezza collinare, montana e marina d’Italia circa cinque milioni di ettari, un’area grande quanto la Lombardia, la Liguria e l’Emilia Romagna messe insieme, con un prezzo molto pesante in fatto di qualità della vita nelle città, nelle periferie, nelle campagne. Si è venuta allora affermando un’idea diversa, quella che va sotto il nome di “green economy”, vale a dire di uno sviluppo incentrato sulla rivalutazione della natura, sul rilancio dell’agricoltura “coltivata” e sulla riduzione dell’energia prodotta dal petrolio a favore di sistemi energetici più compatibili con la vivibilità dell’ambiente. Basta col cemento? No, l’edilizia abitativa, commerciale e industriale rimane pur sempre un fattore di crescita, purché frenata nel suo dilagare, più orientata verso il recupero e la modernizzazione dell’esistente. Basta col petrolio? No, è impossibile. Ma si dia spazio al fotovoltaico, all’eolico, al biogas e alle biomasse.
Ma ora ci troviamo a sospettare – meglio: a constatare – che pure la “green economy” può essere “selvaggia”, nel senso che anch’essa, non diversamente dalla “calcestruzzo economy”, può degenerare in forme smodatamente speculative , e tradire le sue stesse finalità, e dar luogo a situazioni di bassa complicità tra potere pubblico e iniziativa privata. Come mai? Per quale motivo i tempi nuovi continuano ad essere offuscati dalle ombre dei tempi vecchi? Per quale motivo, come diceva il Gattopardo, tutto cambia ma tutto resta uguale? Evidentemente c’è una costante che, imperterrita, accomuna il vecchio e il nuovo. E riguarda la crisi di eticità e legalità che colpisce i valori basilari di qualsivoglia consesso di cittadini (comunale, provinciale, regionale o nazionale, nella politica, certo, ma anche, e soprattutto,nella cosiddetta società civile, quella, per intenderci, degli investitori, degli imprenditori, dei commercialisti, degli avvocati e dei tecnici esperti nelle svariate materie). Una costante che stampa a fuoco il proprio sigillo sopra ogni mutamento epocale di prospettive, compreso il passaggio, nel concetto di sviluppo, dal cemento alla terra e dal petrolio all’energia pulita.
E se oggi ci accorgiamo che i varchi al malcostume c’erano sì all’epoca del cemento ma continuano ad esserci in quella della “green economy”, non dobbiamo prendercela con le due epoche, entrambe caratterizzate da una loro legittimità diciamo storica, ma dalla circostanza che in Italia e a prescindere da qualsiasi mutamento di prospettive sullo sviluppo si è quasi perduto il senso del bene comune, della coesistenza civile e della responsabilità sociale, una perdita che negli ultimi decenni ha trovato alimento nella ideologia berlusconiana del “fare da sé” e dell’arrangiarsi elevato all’ennesima potenza e che ha finito per contagiare sia le multiformi categorie del privato sia la politica nelle sue varie tendenze – ma va pur detto che ci sono differenze d’intensità – di destra, di centro, di sinistra.
Un esempio. Lo slogan “una nuova storia” che due anni orsono consentì a Romano Carancini di ottenere una imprevista vittoria su Fabio Pistarelli non doveva significare demonizzazione delle precedenti giunte Meschini ma, piuttosto, una presa d’atto del progressivo e quasi fisiologico mutare dei tempi. Un’occasione, soprattutto per il centrosinistra, di fare quella “buona politica” che si nutre di aperto confronto dialettico, serena valutazione delle diverse vedute e ricerca di una sintesi che consentisse alla città di affrontare l’oggi e il domani con la consapevolezza che il passato non è mai tutto da buttare ma il presente e il futuro esigono, per l’appunto, “storie nuove”. Invece niente. Stucchevoli e velenose “verifiche” per non verificare nulla, assemblee elusive, evasive, imbastardite dall’ipocrisia delle riserve mentali, dimissioni del segretario senza che ancora, dopo tre mesi, se ne conoscano le ragioni.
Ed è stato un grave errore, da parte degli esponenti della vecchia guardia, l’essersi trincerati in difesa della loro superata ma non colpevole idea di sviluppo e, peggio ancora, l’aver mantenuto un ostinato e indispettito silenzio sui certi “traffici “ che quella idea, allora in linea coi tempi, aveva purtroppo portato con sé. In tal modo essi indussero l’opinione pubblica a reazioni di tipo esclusivamente moralistico e perciò, paradossalmente, si comportarono da masochisti che godono nel farsi male da soli. Il metodo? Anch’esso masochistico: assediare Carancini, indebolirlo, far leva su suoi ipotetici limiti caratteriali, creargli difficoltà su ogni scelta e ogni delibera (il comportamento in consiglio della commissione urbanistica presieduta da Luigi Carelli, suo sodale di partito, ha dell’incredibile) senza considerare che tutto questo nuoce gravemente non solo al Pd, la qual cosa sarebbe perfino trascurabile, ma ai reali interessi della città, che non sarà governata benissimo ma sarebbe governata assai meglio se l’amministrazione voluta dagli elettori fosse sostenuta da quel minimo di compattezza che è logico pretendere da una maggioranza politica.
Ma tornando alle Marche debbo ahimè constatare che se qualcuno s’è indebitamente arricchito con la “vecchia storia” del cemento ora c’è il rischio che qualche altro – magari le stesse persone – si appresti ad arricchirsi indebitamente con la “nuova storia” della “green economy”. E allora? Tutto dipende da quella costante che come nefasto marchio sulla società italiana prescinde dal cemento in sé e dalla “green economy” in sé, una costante che si chiama avidità individuale e strisciante disponibilità a corrompere ed essere corrotti. Incentivi pubblici al fotovoltaico? Giusti, in teoria. Ma cosa c’è di “green” in certe enormi distese di pannelli che stuprano il paesaggio e sottraggono decine di ettari all’agricoltura? E gli incentivi all’eolico? Anch’essi giusti, sempre in teoria. Anche quando deturpano il Parco dei Sibillini? E gli incentivi al biogas? Sacrosanti, se favoriscono il risparmio energetico nella coltivazione dei campi. E se invece appestano l’aria, inquinano l’ambiente e con migliaia di kilowatt servono non già alle attività agricole ma a vendere gas ed elettricità al miglior offerente?
Ora la gente si ribella, si levano dovunque proteste, chi continua a dire che i grossi impianti servono all’agricoltura viene categoricamente smentito dalla Coldiretti e la Regione sembra tornare, in ritardo e con timidezza, sui suoi passi. Ma il sospetto è che sotto mentite spoglie i guai del cemento continuino, e non perché cementificazione e “green economy” siano la stessa cosa, figuriamoci, ma perché non cambia il modo di gestirle, sia nel privato che nel pubblico: illimitata cupidigia, gretto affarismo e totale irresponsabilità sociale nel primo caso, miopia culturale, calcoli elettorali e, al limite, vantaggi personali nel secondo. Il problema, insomma, non sta nelle idee e nei progetti, ma, come s’usa dire, sta nel “manico”: il manico privato di chi se ne approfitta e il manico pubblico di chi non controlla che nessuno se ne approfitti o addirittura gli dà una mano. Ma questa, ripeto, è un’epidemia che ha aggredito tutti, non solo i politici. Un’epidemia che si è inesorabilmente diffusa in proporzione alla quantità del denaro in gioco: nel Parlamento, nei gruppi consiliari, nel Governo e nei partiti, un po’ meno, ma non tanto, nelle Regioni, ancora meno – ma siamo lì – nelle Province, assai meno – ma c’è – nei Comuni. Il virus è identico. Un’epidemia durissima da curare, se non in un tempo chissà quanto lungo. E sperando che il malato, l’Italia, non ci lasci la pelle.
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Caro Giancarlo leggendo il suo articolo e difficile rispondere ha preso diversi punti e tutti sono fondamentali e difficili da risolvere e rispondere. Io di politica non mi interesso ma le vorrei dire cosa penso a riguardo rispondendo con una risposta al tutto. Tutte le cose dal cemento alla green economy bio gas ecc. Potrebbero essere buone se fatte in giusto modo, cioè facendo si le cose ma avendo l’accortezza di trovare soluzioni e rimedi e soprattutto evitando i disastri. Ma invece cosa succede nella realtà? >Troviamo tutti affaristi e speculatori che non se ne fregano della qualità o della finitala delle cose costruite ma pensando solo al guadagno si creano mostri, come possiamo vedere le opere costruite degli aborti che tra qualche tempo saranno interessate da grossi problemi. Problemi che si potevano risolvere dall’etica e dal essere coscienti, invece tutti ci hanno guadagnato e speculato sulle spalle dei cittadini più o meno coscienti delle cose che si stavano facendo anche per comodo i favori, cosi sarà anche per le cose future penso anche peggio del passato quando all’uomo avido per natura gli si propone qualcosa dietro ci deve essere il guadagno, ma guadagnare sulle opere da fare significa abbassare la qualità delle cose fatte, questo si vedono dagli appalti pubblici o grossi appalti privati fanno i lavori da molte ditte in sub appalto e l’ultimo che fa i lavori per forza di cose non riesce più a dare la qualità, le faccio un esempio mi ricordo quando facevano le mura da sole più o meno sopra i giardinetti delle suore cerano diverse ditte a fare i lavori e a vere i lavori fatti con materiali di scarsa qualità o mescolando sabbia per chiudere le fughe dei mattoni e usando pezzi di mattoni per ripristinare il muro ed oggi vediamo i frutti l’erba che cresce sempre di più e i mattoni che si stanno muovendo di nuovo, purtroppo noi dovremo ripagare il tutto e come quelle opere ce ne sono a centinai strade ponti gallerie e altro ancora. Ma qualcuno ci ha guadagnato e nessuno a controllato come sempre e PERRFETTAMENTE UGUALE A OGGGI, quindi ci sono poche probabilità che qualunque cosa si faccia si fatta per il meglio ma sarà fatta per guadagnarci il più possibile mettendoci meno soldi possibili anche se vengono pagati i materiali di buona qualità ed il lavoro deve essere eccellente, ma già so che non sarà cosi, lo vediamo sulla politica che ci da l’esempio e qui non voglio commentare nulla perché sono talmente schifato che solo dire politica mi fa rimettere. Le cose si ripeteranno fino a quando non si imparare a rispettare quello che c’è intorno e lo si deve fare dalle nuove generazioni noi siamo intaccati da questo spirito di avidità senza sapere che ci si rovina. Credo che lavorare sulle nuove generazioni e fondamentale e prima si fa e prima si risolveranno le cose altrimenti vedo come unica soluzioni l’estinzione dell’uomo stesso dato le cause della rovina della terra le ha procurate di persona. LA CONCLUSIONE E’ NON COSA SI FA? COME LA SI FA’!
Dott. Liuti,
Secondo lei se un terreno a vocazione agricola dalle nostre parti ha un valore di EURO 15.000,00 / 20.000,00 ad ettaro che salgono facilmente a EURO 70.000,00 / 90.000,00 sempre ad ettaro se il terreno diventa edificabile con un centro residenziale o commerciale che sostituisce i seminativi- può generare un intreccio tra costruttori e Amministratori pubblici che in molti casi stravolge ogni tentativo di seria programmazione e gestione territoriale e agricola ?
Sempre secondo lei visto che “Gli interessi dei grandi costruttori sono molto spesso coincidenti con quelli fondiari, chi costruisce case da tempo compra le terre su cui edificare e non sempre le comprano con l’edificabilità già sancita nei piani regolatori – può essere che il tutto sia da sempre gestito dai soliti ?? (che poi se analizziamo bene la storia di questi soliti non mi pare ci sia necessità di fare pure i nomi-costoro se fossero scolari sarebbero tutti ripetenti e piu vecchi delle loro maestre )
Ancora-secondo lei può essere ora dopo che l’edilizia sta attraversando un momentaccio questi soliti stiano facendo le sesse identiche cose ma con altri materiali ??
Per finire non pensa che almeno adesso anziché manovrare il cemento questi soliti abbiano finalmente trovato il materiale da manovrare più idoneo a loro stessi ???
Si insomma il letame ….!!!!!????
Claudio e certo che è cosi, loro comprano il terreno e lo pagano una scemenza e poi lo fanno passare edificabile e ci guadagnano il 200% e certo che oggi hanno cambiato gli obbiettivi e staranno su altri settori forse i rifiuti, l’acqua, politica, associazioni? non lo so. l’unica cosa che si capisce e che le cose non cambiano mai. poi magari la domenica vanno in chiesa, ma se DIO ESISTE COME FA’ A CANCELLARE LA LORO AVIDITÀ’? O DI CHI LI COPRE O GLI DA LA SICUREZZA DI STARE NEL GIUSTO E CHE ANDRANNO IN PARADISO?
@ javier
Se un terreno agricolo, magari non rirriguo e non atto a determinate colture, diventa edificabile altro che 200% dell’aumento del suo valore…
Un ettaro agricolo del valore di € 15.000 (cioè un campo tra i peggiori) se diventa edificabile vale anche almeno € 200.000, se in posizione strategica…
Il problema è che quasi tutte le attività economiche governate, regolate, gestite, incentivate dagli enti pubblici (dall’edilizia alle nuove energie rinnovabili, senza dimenticare le opere pubbliche e la gestione dei grandi centri commerciali) recano ormai un costante vizio di fondo: dietro l’interesse pubblico apparentemente perseguito si nasconde (per modo di dire, perchè a volte è palese e grosso come una casa: vedi, ad esempio, la recentissima vicenda del biogas) un corposo interesse privato, che, anzichè essere concorrente con l’interesse pubblico, è in realtà prevalente e quindi si caratterizza come il vero motore di ogni singola iniziativa.
E così si determina il trionfo degli speculatori, in un intreccio perverso con amministratori pubblici che da questa commistione tra politica e affari ricavano benefici diretti ed indiretti a titolo personale, e per questo tradimento effettuato ai danni delle collettività amministrate meriterebbero non la pena di morte, ma quanto meno l’esilio a vita.
Sì, perchè questi signori che pretendono di fare i soldi con le carte truccate non possono definirsi imprenditori. Gli imprenditori rischiano del proprio, investono e non sanno se la loro scelta sarà fruttuosa o meno. Invece colui che compra un terreno agricolo solo perchè sa in anticipo che di lì a poco, con la complicità di qualche aministratore, quel terreno diventerà edificabile, non è un imprenditore dell’edilizia, è solo uno speculatore. Chi investe nel biogas solo perchè ha deciso in anticipo con la complicità della Regione tutti i passaggi normativi affinchè con un investimento di due milioni di euro possa tirarci fuori in 15 anni dai 10 ai 15 milioni di euro di guadagno netto (costituito dai soldi pubblici delle incentivazioni e realizzato ai danni dei cittadini che abitano e lavorano vicino agli impianti) è solo uno speculatore.
Purtroppo oggi il manico pubblico e il manico privato, se non sono la stessa cosa, sono comunque sempre più difficili da distinguere.
L’obiettivo di creare un’economia verde – ossia di spostare i cicli economici verso produzioni e consumi che rispettino i cicli naturali – non porterà un reale giovamento se la green economy replicherà i meccanismi della vecchia economia “fossile”, fondata su profitto e speculazione finanziaria.
La green economy non può infatti essere un mero strumento per risollevarsi dall’attuale crisi economica, ma può essere l’occasione per cambiare strutturalmente il sistema che l’ha provocata: oppure si rivelerà l’ennesima bolla verniciata di verde. La sfida è rendere “democratica” questa transizione. Ma sta accadendo? “La crisi si ha quando ‘il vecchio muore ed il nuovo non può nascere’, sosteneva Gramsci. Ed oggi sembra che il vecchio (…) stia ancora controllando con il suo pensiero unico ed egemonia culturale il dibattito sull’economia verde – intesa come un’economia basata esclusivamente sul mercato.
L’assalto ai “mercati naturali”, che prevede la creazione di nuovi “beni commerciabili,” quali i permessi di emissioni del carbonio e i loro derivati o la Borsa verde. O il meccanismo in corso di “monetizzazione della natura”, con relativi certificati e titoli.
Per non rischiare la “bolla verde” e la subitanea finanziarizzazione della green economy, con l’acqua o altre risorse che diventano commodities, la strada maestra è attuare una strategia di difesa e valorizzazione “pubblica” dei beni comuni (acqua, aria, suolo, ecc.), come sanno le comunità che nel mondo si oppongono ai più svariati abusi.
Gli strumenti sono molteplici e possono essere utilizzati, se vogliono, dalle numerose istituzioni pubbliche che governano il territorio (Regioni, Province, Comuni).
Gli interventi non vanno lasciati esclusivamente in mano al mercato e sempre più spesso alla speculazione selvaggia sorretta da forti interessi finanziari e affaristici, vanno pianificati ed organizzati all’interno di un sistema che pone al centro l’interesse pubblico e quello della salvaguardia dell’ambiente e del territorio.
L’articolo di Liuti è interessante perché dimostra che quando non ci si capisce nulla la si butta sull’etica. Per questo si dice che sono tutti un pò tutti corrotti: sia gli amministratori e i costruttori edili di una volta e adesso lo stesso gli imprenditori green. Il motivo per il quale si sbaglia non è perché la gente è cattiva, ma perché la gente non vuole ragionare con la propria testa. Dopo aver creduto a chius’occhi al global warming tutti siamo andati verso la ricerca delle fonti alternative. Il fotovoltaico è una enorme bufala: una tecnologia arretratissima di 80 anni. Le centrali biogas trasformano i prodotti agricoli in gas, ma i prodotti agricoli con che cosa si fanno? Col petrolio. Senza petrolio l’agricoltura non sarebbe meccanizzata e la produzione scendere a un decimo. Dunque, non sono la soluzione, anche se non è assolutamente vero che sono inquinanti. L’aumento del prezzo dei prodotti agricoli dipende dall’aumento del prezzo del petrolio e questo dipende anche dal fatto che l’Italia è un paese che brucia petrolio e metano come fonte energetica. Ma noi non vogliamo diminuire l’incidenza delle tasse sul petrolio, facendo così aumentare il costo della vita e marginalizzando lavori di raccolta e manutenzione della montagna. Non vogliamo le centrali nucleari. Non vogliamo praticamente nulla continuando a scrivere articoli moralisti e senza reale bersaglio come quello di Liuti.
Tutto si decide sulla paura. Per la paura che esplodesse non si è voluto il nucleare. Per paura che tutto il territorio diventasse un pannello solare non si vuole più il fotovoltaico. Per paura dell’inquinamento e della perdita agricola non si vuole più il Biogas.
Siamo ormai alla resa dei conti contro una politica inetta, raffazzonata, e all’occorrenza pure ladrona, causata da un elettorato che mai ha controllato i politici e che oggi si rende conto di avere l’acqua alla gola.
L’ultima vicenda eclatante di malaffare della Regione Lazio, in cui tutti i partiti sono coinvolti, ha finito a fare crollare definitivamente fiducia nella Casta politica.
Ora, ci sono due alternative, forse tre.
La prima, che la Casta politica velocissimamente ritorni ad un livello etico ormai perso da oltre 65 anni, eliminando numero e superstipendi a tutti i parlamentari e consiglieri regionali, eccetera, prebende varie e spese superflue.
La seconda alternativa, drammatica, è che l’elettorato levi tutto il suo suffragio ai vecchi partiti e leader ammuffiti, nonchè alle nuove sirene tipo Matteo Renzi e Movimento 5 Stelle, portando ad un vuoto di potere ed aprendo la strada alla dittatura del “Governo dei Garanti”, impersonato oggi dal governo Monti.
Terza alternativa, che auguro non avvenga mai, e che la gente vada dietro ai “forconi”, che potrebbero iniziare ad esprimersi con giustizieri di tipo gappista, e quindi con la eliminazione fisica di politici di ogni colore, ormai cordialmente odiati da tutti, salvo dalle anime pie e da chi con essi ci mangia.
Demonizzare il biogas, gli ogm eccetera non porta da nessuna parte mentre è ragionevole discutere e dividersi su regole e finalità. Dopo decenni di svilimento dell’agricoltura e dei suoi operatori non si ridà sviluppo e dignità al settore inseguendo modelli bucolici ed ambientalisti che poi non sono mai esistiti. L’agricoltura nasce dall’incontro tra fatica e sapere, figuriamoci se proprio oggi dovessimo scacciare scienza e tecnologia a colpi di forcone…
Caro Gianni Menghi,
io cerco di provocare sempre una reazione. Ma se la politica continua così, al che “forconi” vedrete.
Qua le uniche parole sensate mi sembrano quelle di claudiob…ci si dimentica che fare gli imprenditori in Italia e’ talmente poco redditizio ormai che senza la manna dal cielo statale nessuno tira fuori un centesimo di investimenti!
vorrei dire solo questo come al solito il sig. giorgio rapanelli non sà quello che dice.COSE senza senso.