Dante Ferretti, tre Oscar
per diventare profeta in patria

Il rapporto contrastato con la sua città, l'affetto con la sorella Mariella, e la storia segreta delle dimissioni fantasma da assessore alla cultura. La collaborazione con la Giunta Menghi e i veleni della politica che non lo risparmiarono. Un festival del cinema sfumato con Scorsese e De Niro a Macerata
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di Maurizio Verdenelli

“Sapessi che festa stanno facendo in mio onore in questo momento: i nostri genitori ne sarebbero orgogliosi”.
Quelle parole, in una comunicazione al solito intercontinentale giunsero nel cuore della Notte (degli Oscar) in casa Lelli, nel febbraio del 2005. Ferretti, che aveva appena vinto il suo primo Oscar, aveva abbandonato a sorpresa il party per telefonare “a casa”, a Macerata, a Mariella, la sorella/madre. Dante, l’eterno fratellino minore (”Mi raccomando, appena arrivi a Roma, telefonami e stai attento quando passi per Colfiorito: la strada è brutta”) dava a Mariella Ferretti coniugata Lelli l’ultima, infinita soddisfazione.
Di norma le telefonava, nella bottega del padre all’ombra della Torre, un giorno sì e l’altro (talvolta) pure, da tutte le parti del mondo. Per Mariella era di gran lunga il momento più bello di tutti. Pochi minuti, baci, saluti. Poi, se io mi trovavo in negozio, confidava con voce piana e consapevole: “Era Dante…”. Soffocando poi quell’attimo di beatitudine fraterna, accennava a quella lontananza …in termini economici: “Speriamo che non abbia telefonato dall’altro capo del mondo, altrimenti sai la bolletta…”. A buon conto, Mariella non chiedeva mai al fratello dove stesse. “Da dove ha chiamato?” chiedevo in cerca di qualche scoop. “Al lavoro, no?!” rispondeva con circospezione, lei. Una ‘sacerdotessa’: impossibile strapparle altro seppure mi stimasse forse perchè ero stato il primo giornalista a ‘scoprire’ Dante. Era successo un giorno in bottega. Mariella mi fece vedere piena d’orgoglio la fotografia del fratello addirittura su una rivista d’architettura. Era, Ferretti, lo scenografo (fino ad allora sconosciuto ai più) che aveva realizzato il tetro convento del celebre “In nome della rosa”. Un maniero che era sorto come un fungo sulla Tiburtina alla periferia di Roma. Seguii personalmente il maceratese più noto nel mondo, e più ignoto nella sua città, praticamente da solo, nomination dopo nomination. Forse per motivi di concorrenza, le altre testate snobbarono per anni lo scenografo fatto conoscere ai suoi concittadini da “Il Messaggero”. “Dante aveva scoperto Roma a 13 anni una volta che aveva accompagnato il padre per la consegna di un mobile” mi rivelò una volta Mariella. “Una folgorazione autentica. Tornò a casa con un’idea fissa in testa: lui a Macerata non ci sarebbe certo rimasto…”.

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Quella notte del 27 febbraio, Mariella Lelli in Ferretti pianse di gioia. Era gravemente malata. Il fratello si era prodigato per strapparla ad un male terribile: il ricovero al Policlinico Gemelli, i migliori specialisti. Un mese più tardi si sarebbe spenta con quella grande soddisfazione del cuore: il ‘suo’ Dante, un ragazzo dal carattere un po’ chiuso e forse difficile, che certe volte faceva dispiacere il padre perché preferiva il cinema allo studio, ce l’aveva fatta. Aveva conquistato il tetto del mondo del Cinema, Hollywood era ai suoi piedi!

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ferretti-1-300x183Ricordo anche un’altra Notte degli Oscar. O meglio, qualche settimana dopo. Anno: 1998. Ferretti, assessore comunale alla Cultura, era furente al telefono con il sindaco: Anna Menghi. Pretendeva (giustamente) che le sue dimissioni date da tempo e congelate per motivi di tattica politica, fossero finalmente tolte dal ‘frigorifero’ dalla giunta più tormentata della storia repubblicana del capoluogo. La Notte degli Oscar era passata, la nomination per Kundun non aveva fruttato Oscar e niente addolciva l’indignazione dello scenografo, ben lontano dal ‘gioire per la sua città’ come  tre notti fa (leggi l’articolo). “Si annunci subito che me ne vado, basta tatticismi, non ne posso più!” aveva tuonato. “Che si fa, ora?” mi chiedeva al telefono, Anna.  In precedenza, prima della nomina di Ferretti, ero stato infatti io a sottoporle una lunga serie di nomi. All’ennesimo ‘no’, in ordine di tempo quello di Arnaldo Giuliani (contavo molto sull’amicizia personale che mi legava al grande giornalista civitanovese, che era stato capo cronista del Corriere della Sera e direttore del Corriere Adriatico) ebbi l’imbeccata giusta. “Perché non proponi Dante Ferretti?” mi disse la carissima collega Simona Marini che qualche anno fa, per un biennio, affiancando Anna Dalponte ha mostrato a tutti come si porta avanti un ufficio stampa strategico come quello dello Sferisterio. “Ma và! dopo la figura che hanno fatto qualche anno fa, quando lo chiamarono per una scenografia e poi non se ne fece più nulla, lui, di Macerata non vorrà neppure sentire parlare…”. Ci provai in ogni caso, per scaramanzia. Dopo trattative segrete nella bottega di Piaggia della Torre con i familiari, ‘beccai’ Ferretti nella sua casa di Roma mentre risaliva dalla cantina. Fu un momento fortunato: …disse subito di sì alla Menghi che esultò con un grido di gioia, a braccia alzate.

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ferretti-3I guai vennero subito dopo. Nemo propheta in patria, ma forse adesso sì…  dopo tre Oscar. E’ il ‘protocollo Macerata’, che ci volete fare? Ferretti venne dunque accolto sostanzialmente male dalla politica che si sentiva spodestata dal grande tecnico. Lo attaccò l’opposizione e l’attaccò pure la maggioranza, agitata da appetiti delusi. La politica cittadina scrisse la peggiore pagina della sua pur mai brillante storia repubblicana. Io personalmente fui attaccato sui giornali di partito e perfino sui manifesti murali. E il mio giornale, “Il Messaggero” ricevette un’informativa da parte di un personaggio importante della cultura maceratese –oggi ancora di più. In cui testualmente si diceva che il mio “intervento era ritenuto determinante alla nomina a sorpresa di Dante Ferretti ad assessore alla cultura. Si dava per certo, infatti, che era stato lo stesso dottor Maurizio Verdenelli a prendere i contatti con il predetto Ferretti, tramite sue conoscenze personali e professionali”. Per carità: era tutto vero ma per me si profilava l’accusa formale di aver disatteso “l’equidistanza” che un capo redazione deve avere nei confronti della realtà cui è tenuto ad indagare. Poco importava se avevo raggiunto, nelle Marche (e pure in Abruzzo e pure in Umbria) record di diffusioni mai toccati prima. L’accusa era chiara e ben fondata. Stavo per diventare un caso unico nella storia del giornalismo nazionale dove come noto l’equidistanza viene religiosamente osservata ma, devo rivelare che davanti al marchio d’infamia, alla rovina economica, preferii smentire prima che …il gallo cantasse tre volte, che Dante vincesse 3 (+3) Oscar. Oggi, tuttavia, dopo tanti anni vorrei rendere completa confessione: sì, sono stato io il protagonista di quella operazione giornalisticamente poco ‘equidistante’ che, se realizzata compiutamente, avrebbe portato di lì a qualche mese a Macerata un festival del Cinema unico in Europa con Martin Scorsese e Robert De Niro in prima linea. Dante intanto, attaccato naturalmente in modo ancora più massiccio, si era ‘segretamente’ dimesso su invito dello stesso Martin Scorsese. Il grande regista aveva alla fine imposto questa scelta al suo prezioso scenografo che si era incupito notevolmente da quando aveva accettato quello ‘strano’ incarico dalla propria città. Un atto d’amore ancora una volta malripagato.

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Peccato. Ma era destino per una giunta attraversata da umori diversi e clamorosi ‘tradimenti’ ma che in questi giorni a 15 anni di distanza è tornata inopinatamente a far parlare di sé, in modo addirittura planetario nel nome di due ex assessori. Non solo Ferretti ma anche e soprattutto Roberto Romagnoli (leggi l’articolo dopo la sfida-scudetto Milan-Juve), con delega al Bilancio, il quale non mancava mai di telefonare al ‘suo’ sindaco puntualmente al ’91… forse per farsi perdonare l’hobby che ogni fine settimana lo teneva lontano dal Palazzo: l’attività arbitrale.

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Intanto mentre Roberto si è praticamente reso invisibile in questi giorni alla grande stampa sportiva, Dante ha annunciato che tornerà a Macerata non prima di 4 mesi. Sarà allora l’occasione per tentare di inserire questa eccellenza, questa icona assoluta, in qualche modo ma stabilmente nel salotto buono di casa: lo Sferisterio. Ecco una buona battaglia per Carancini (che ieri ha aperto il Consiglio comunale con una citazione doverosa per Ferretti) e Pettinari. Il presidente della Provincia peraltro si è già fatto le ossa in tal senso per imporre in cartellone il talento di Giancarlo Del Monaco.
Una buona battaglia, in definitiva, non far più sentire Ferretti -mi confidò lui, prima di ‘Carmen’ splendida meteora- il ‘fantasma dell’Opera’. Quella maceratese, s’intende.


P.S. Naturalmente conservo la lettera/esposto al ‘Messaggero’ nel mio salotto di casa in un’elegante cornice dorata, realizzata off course da Federico Lelli Ferretti, nipote di Dante, nella Bottega di famiglia in piaggia della Torre.



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