Era il 16 giugno 2019. Il Papa con il caschetto entra in duomo a Camerino. Si ferma a pregare davanti alla statua della madonna con la testa decapitata. Poco prima è arrivato in piazza a Cavour dove è stato accolto dal grido «Francesco, Francesco». Poi insieme al vescovo Massara è entrato all’interno della chiesa danneggiata dal terremoto. Per precauzione ha messo il caschetto e si è fermato per pregare.
Dopo è uscito dalla chiesa per andare a pregare con i sindaci del territorio. Arrivato alle 8,37, ha visitato la zona delle casette per poi raggiungere il centro di Camerino, ancora zona rossa a tre anni dal sisma. Alle 9 piazza Cavour è già brulicante e in fervente attesa. Nei cellulari scorrono immagini del papa al villaggio Sae: «Ha dato la mano a tutti, a tutti».
In una piazza dove i segni del terremoto sono evidenti, i palazzi rinforzati con assi di legno a sostenere gli infissi, Papa Francesco ha letto l’omelia. Una omelia per i terremotati in cui ha ricordato che sono passati tre anni e c’è il rischio che le promesse fatte vengano dimenticate e per dire che «ci vuole più forza a ricominciare che a cominciare».
Un messaggio di speranza ascoltato dalle circa 300 persone che sono entrate in piazza Cavour, da tre anni zona rossa. «Di fronte a quello che avete visto e vissuto, mi pongo questa domanda. Cosa è mai l’uomo, se quello che innalza può crollare in un attimo, se la sua speranza può finire in polvere? Cosa è mai l’uomo perché di lui si ricordi? Dio di noi si ricorda».
«Non fare delle nostre disgrazie un nido. Avvicinandoci a Dio, l’uomo pur soffrendo ricostruisce» il punto centrale dell’omelia di Francesco sotto il cielo e tra le rovine di Camerino. Ed ancora, «sono venuto per stare semplicemente con voi, per pregare con voi. Non abbattetevi, non cedete alla disperazione se i tempi si allungano per la soluzione dei vostri problemi mentre i territori si desertificano». Un lungo silenzio è venuto subito dopo le parole, di particolare intensità di Francesco.
«Il Signore ci dà una certezza, egli si ricorda di noi – ha detto durante l’omelia – Ritorna col cuore a noi, perché gli stiamo a cuore. Quaggiù troppe cose si dimenticano in fretta, ma Dio non ci lascia nel dimenticatoio. Siamo piccoli sotto al cielo, impotenti quando la terra trema. Ma per Dio siamo più preziosi di qualsiasi cosa. Chiediamo la grazia di ricordare ogni giorno che non siamo dimenticati da Dio, che siamo i suoi figli amati, unici, insostituibili. Ricordare ci aiuta a non arrenderci. I ricordi brutti arrivano anche quando non li pensiamo. Lasciano solo malinconia e nostalgia, ma come è difficile liberarsi dai brutti ricordi. Per liberare il cuore dal passato che ritorna dai ricordi negativi, dai rimpianti che paralizzano serve qualcuno che aiuti a portare i pesi che abbiamo dentro. Gesù dice che oggi di tante cose non siamo capaci di portare il peso. Non ci toglie i pesi come vorremmo noi, che siamo sempre in cerca di soluzioni rapide e superficiali. No, il Signore ci dà lo spirto santo. Di cui abbiamo bisogno e che non ci lascia soli sotto i pesi della vita».
«Speranza, di quale speranza si tratta? Le speranze terrene sono fuggevoli, sono fatte di ingredienti terreni che prima o poi vanno a male. Quella dello spirito è speranza a lunga conservazione, non scade. È una speranza che lascia dentro pace e gioia indipendentemente da quello che capita fuori e che nessuna tempesta della vita può sradicare. Una speranza che non delude. Che dà forza ad ogni tribolazione».
Il Pontefice ha detto che «Ci vuole più forza per riparare che per costruire, per ricominciare che per cominciare. Questa è la forza che Dio ci dà, chi è vicino a Lui non si abbate: ricomincia, riprova, ricostruisce. Soffre, ma riesce a ricominciare e ricostruire. Sono venuto oggi semplicemente per starvi vicino. Sono qui a pregare con voi Dio che si ricorda di noi perché nessuno si scordi di chi è in difficoltà».
Poi ancora pensando al terremoto: «Sono passati quasi tre anni, il rischio è che dopo il primo coinvolgimento emotivo e mediatico la tensione cali, le promesse vadano a finire nel dimenticatoio, aumenti la frustrazione di chi vede il territorio svuotarsi sempre più. Il signore spinge a riparare, non dimentica chi soffre. Cosa è mai l’uomo? Dio che si ricorda di noi. Il signore non dimentica di questa tragedia». Poi ale 11 il Pontefice ha detto l’Angelus in cui ha ricordato i rifugiati, ha espresso la sua preoccupazione per le tensioni nel Golfo Persico. Poi ha detto «un saluto speciale e di incoraggiamento agli abitanti di San Severino, che saluto, e saluterò dall’alto sorvolando in elicottero la loro città». Al termine della messa c’è stato l’applauso della piazza.
Poi un ‘finale di partita’ degno di Lui: l’incontro al palasport con i ragazzini della Prima comunione. “Francesco, Francesco!” hanno ritmato i giovani e gli anziani della città al passaggio del papa, al centro della piazza. Poi, ‘tirandolo letteralmente giù’ dalla modesta auto al centro del corteo in partenza per la ‘terra di nessuno’, la zona interdetta. E Bergoglio si è donato con tutto il cuore, come al villaggio Sae, salutando uno per uno i malati, accarezzando affettuosamente un bambino simbolo concreto di una città che vuole tornare a vivere, ad essere giovane e con il diritto di invecchiare tra le proprie antiche mura
(Estratti degli articoli di Maurizio Verdenelli e foto di Fabio Falcioni del 16 giugno 2019, rielaborazione di Matteo Zallocco)
Il Papa col caschetto, preghiera al duomo L’urlo della piazza: «Francesco»
Le promesse invece sono state dimenticate
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Ipocrisia al comando..