Pierandrei guida Medicina da oltre 20 anni
«Potenziare il rapporto con il territorio.
La nostra è una sanità di prossimità»

INTERVISTA al medico a capo del reparto nell'ospedale di San Severino: «E' necessario che un periodo della formazione specialistica di internisti e geriatri venga effettuata in strutture più periferiche come la nostra»

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Giovanni Pierandrei e la “sua” squadra

di Luca Patrassi

E’ il dottor Giovanni Pierandrei  il direttore della unità operativa di Medicina interna dell’ospedale di San Severino, ruolo che riveste dal 2002. Formazione universitaria e specializzazione alla Università Cattolica di Roma e ritorno nel suo territorio di nascita e di residenza (appunto San Severino) dopo le esperienze lavorative a Camerino e a Macerata.

Ci presenti il reparto, attività e numeri.

«L’unità operativa di San Severino svolge attività di ricovero e attività ambulatoriali. L’attività di ricovero si svolge in reparti distinti: 21 letti al primo piano dell’ospedale sono riservati alla Medicina interna, 18 letti al terzo piano sono dedicati  alla Lungodegenza che nel 2022 e nei primi mesi del 2023 è stata trasformata in Medicina Covid. Il numero dei ricovero medi in Medicina è di circa 700 l’anno,  in Lungodegenza circa 180. Le attività ambulatoriali sono numerose e sono di Medicina Interna, di Cardiologia, di Medicina vascolare, di Geriatria e di Medicina respiratoria, facciamo consulenze per il distretto soprattutto nell’ambito delle demenze e dell’unità valutativa Alzheimer, abbiamo ambulatori dedicati allo scompenso cardiaco, alla insufficienza respiratoria in ossigeno terapia, alla gestione della terapia anticoagulante, un day service farmacologico. Le prestazioni  ambulatoriali svolte nel 2023 sono state oltre settemila».

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Giovanni Pierandrei

La cosa che le ha dato maggiori soddisfazioni in questi anni?

«Gli oltre venti anni di direzione dell’unità operativa sono stati faticosi ma anche molto soddisfacenti sotto il profilo professionale e umano per  avermi  permesso di realizzare, con l’aiuto di tutti i miei collaboratori, la mia idea di Medicina Interna basata su un approccio olistico al paziente, orientata  alla gestione complessiva e non settorializzata utilizzando principalmente le armi della  valutazione clinica. Verosimilmente, proprio l’essere una struttura periferica dotata di minor tecnologia ha aiutato a realizzare questo approccio, attualmente riconosciuto come il più valido per il paziente complesso. Altra fonte di soddisfazione è stata la relazione costruita negli anni con i colleghi del territorio che ha permesso l’instaurarsi di un franco e proficuo rapporto di collaborazione che ha migliorato e semplificato la gestione dei pazienti.  Questa stretta collaborazione ha permesso anche l’attuarsi di una sorta di “prevenzione “ intesa, ovviamente non come prevenzione primaria, ma prevenzione di complicanze e ricoveri. Negli anni abbiamo sviluppato nel nostro territorio un modello di Medicina di prossimità , un modello attualmente considerato  vincente nella gestione della cronicità e da realizzare su larga scala  per il futuro del sistema sanitario».

Gli obiettivi nel mirino per i prossimi anni?

«In pratica la sfida per il futuro e il mio impegno futuro sono di traslare e sostenere queste esperienze potenziando il rapporto tra Medicina interna ospedaliera e Sanità territoriale nel nuovo modello di sanità previsto dal decreto 77 evitando eccessi di burocratizzazione e spersonalizzazione della assistenza. Investendo soprattutto sulla formazione del nuovo personale sanitario facendo sì che si “innamori” della medicina clinica».

C’è in Italia un problema legato alla mancanza di specialisti, i giovani sembrano preferire altri lidi all’estero a fronte di carriere più facili e di compensi maggiori. Vede anche altre motivazioni?

«Credo che i giovani specialisti (internisti e geriatri) attualmente formati in ospedali con elevata tecnologia  e presenza di molte specialistiche d’organo, una volta giunti in unità operative periferiche, abbiano difficoltà a calarsi in queste realtà e spesso ne sono impauriti, solo più tardi riescono ad apprezzare la ricchezza, l’utilità e la bellezza della Medicina clinica, per cui è a mio avviso necessario  che un periodo della formazione specialistica di internisti e geriatri  venga delocalizzata  dagli ospedali universitari ed effettuato in strutture più periferiche come la nostra».

 

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