Francesco Broccolo, l’agro-divulgatore
che ha conquistato i social col dialetto
«Basta con le palme sul lungomare»

CIVITANOVA, IL VIDEO - Professore all'Agraria di Macerata, ha raggiunto i 50mila followers parlando di botanica, agronomia e ecologia fatta “col cervello” in un concentrato di genuinità e informazioni in pura salsa civitanovese: «Cercavo un modo per coinvolgere i ragazzi che non volevano studiare». La sua battaglia personale contro le palme nelle città costiere: «Non siamo a Miami, sono piante belle ma delicate»

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di Federico De Marco

Francesco Broccolo è un agro-divulgatore civitanovese che sta spopolando su Instagram con quasi 50mila followers. Parla di botanica, agronomia e ecologia fatta “col cervello” in un concentrato di genuinità e informazioni in pura salsa civitanovese.

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Francesco Broccolo

Il dialetto è il suo marchio di fabbrica e sono seguitissime le sue rubriche. Come ad esempio su “le piante stro#ze e dove trovarle”, su che cosa si intende esattamente per “grugni”, su come si raccolgono le erbe spontanee e anche sulle curiosità storiche. A 26 anni, dopo una specializzazione in enologia, è già un docente Itp dell’Agraria di Macerata. Però si arrabbia con chi lo chiama influencer: «Non influenzo nessuno, – dice – però sono contento di divulgare qualche informazione sul nostro territorio. Tutti nei social parlano in napoletano, siciliano e romanesco. Io sono marchigiano e parlo marchigiano». Crea i suoi video insieme a Vittorio Gattafoni, 22 anni, giovane videomaker di Potenza Picena: «Oramai pubblichiamo video tutti i giorni. In una giornata ne giriamo diversi così abbiamo materiale per tutta la settimana. Francesco è molto spontaneo e reattivo. Il primo ciak è sempre quello giusto, è sempre buona la prima. Cerco di dare il mio contributo elevando la qualità dei video anche per valorizzare il suo lavoro».

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Broccolo, come mai ha cominciato a fare questi video?
«A dire il vero avevo già una pagina social in cui postavo le foto delle piante. Cercavo un modo per coinvolgere i ragazzi che non volevano studiare. Ma non ha funzionato. Dicevano ugualmente: “che noia è arrivato Broccolo”. Con i video che fa Vittorio, invece, è cambiato tutto. Mi vengono addirittura a cercare, ricordano le cose che dico nei video, anche di quelli più vecchi. Cominciano ad andare in giro cercando di riconoscere le piante. In tanti mi dicono che mi guardano anche i loro genitori, zii e nonni e mi fanno i complimenti. È incredibile. Un paio di giorni fa una mamma mi ha detto che il figlio ha scelto l’agraria guardandomi sui social. Sono cose che fanno davvero piacere».

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Francesco Broccolo e Vittorio Gattafoni

Anche le palme di Civitanova hanno il punteruolo rosso. Quanto è pericoloso questo parassita?
«A dire il vero questa è una mia battaglia personale. Non bisogna fare per forza il lungomare con le palme, non siamo Miami. Tutti hanno riempito i lungomare con le palme ma in realtà abbiamo piante “nostre” molto più carine. Ad esempio nell’area verde del lungomare sud ci hanno messo le tamerici, che una volta venivano piantate sui “grascià”, vicino i letamai. Ne parlava anche Gabriele D’Annunzio dicendo “tamerici salmastre ed arse”. È una bellissima pianta, meno impattante, e soprattutto locale. Le palme sono belle ma delicate. E i Comuni, stupidi, quando queste piante si infettano e muoiono le rimettono uguali. È come un cane che si morde la coda. Ogni tanto arriva un parassita nuovo e fa una strage. Secondo me non bisogna accanirsi. Quando è necessario le piante vanno tagliate, poi magari ne pianti tante altre. A Civitanova, come in tutti i Comuni, bisognerebbe mettere piante locali con un senso logico. Capisco che aspettare venti anni per due lecci non è conveniente a livello politico ma diventerebbero monumentali. Bisogna essere lungimiranti su questo».

francesco-broccolo-instagram-4-434x650Ecologismo a tutti i costi?
«Io sostengo l’ambientalismo logico, fatto col cervello. Non quello fatto da chi ha due piante in terrazzo e poi se la prende col contadino che fa un trattamento per eliminare un parassita e lo fa passare per un disgraziato che ammazza tutto. Oppure chi spiega al contadino, il quale rischia di perdere tutta la sua produzione, che non deve sparare ai cinghiali? Adesso c’è anche la moda del “foraging”, il procacciarsi cibo in campagna. Queste persone spesso sono sterminatrici perché credono che raccogliere la rosa canina per la marmellata sia ecologico, invece stanno facendo un danno enorme all’ambiente perché gli animali di quella zona non troveranno più da mangiare e si sposteranno altrove».

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Noi marchigiani, in senso botanico, quali peculiarità abbiamo?
«Già il nome, Macerata, è curioso. Il toponimo deriva dalla parola “macerie”. Sicuramente perché è stata costruita con i resti, o vicino ai resti, dell’Helvia Recina e altri villaggi limitrofi distrutti dai goti. Poi la città è stata ricostruita sul colle come tutte le altre intorno. Ma un’ipotesi davvero interessante, proposta già 15 anni fa, riguarda la coltivazione della canapa. Era utilissima in territorio marittimo perché per tutte le barche si usavano le corde per chiudere le fessure. Queste corde di canapa richiedevano una lunga macerazione. C’erano, per questo, diversi macereti. Civitanova invece si chiamava Cluana. Una versione romanzata dice che i greci dorici le diedero questo nome vedendo il fiume Chienti in piena. Nella zone di Fontespina, abbiamo una bellissima silene che ogni anno rifiorisce con fantastici fiori rosa nonostante i bagnanti ci camminino sopra. A Porto Recanati invece c’è la zafferanella, detto anche lo zafferano dei poveri. È una piantina che cresce solo in quell’ambiente marittimo. È fantastica perché ci si fa il brodetto diventato presidio slow food».

 

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