Trasporti, Marche ultima per i fondi.
Gregori: «La Regione batta i pugni
sul tavolo del Ministero»

INTERVISTA - L'amministratore delegato di Contram Mobilità evidenzia la drammaticità della situazione insostenibile per le imprese: costi alle stelle per materie prime e calo dei ricavi per effetto della pandemia. Ristori insufficienti

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Stefano Gregori guida la Sasp (Società Anonima Santangiolese Pennese) con sede a San Ginesio, che opera dell’Alto Maceratese fino alla costa adriatica. E’ anche amministratore delegato del Consorzio Contram Mobilità

di Luca Patrassi 

Vero è che guida un’azienda (la Sasp) attiva dal 1910, e dunque ha dalla sua una discreta dose di anticorpi, ma anche un manager navigato come Stefano Gregori ha necessità di puntualizzare le criticità che sta attraversando il settore dei trasporti, a maggior ragione quando si guida – il ruolo è quello di amministratore delegato – anche un consorzio di imprese, il riferimento è a Contram Mobilità – che da parecchi anni si prende cura della gestione dei collegamenti pubblici nell’intero bacino provinciale maceratese.

Si parte dalla fine, cioè dall’effetto che anni di crisi stanno per produrre: «A breve termine – è la constatazione di Gregori – le aziende non saranno più in grado di erogare i servizi previsti ed ancor meno saranno in grado di continuare ad investire: dunque sarà inevitabile la riduzione delle corse e la riduzione della qualità dei servizi mentre si corre il rischio di default delle aziende con buona pace del trasporto pubblico regionale».

Detto dei rischi dietro l’angolo, Gregori spiega come ci si è arrivati. «Dall’ultimo quadrimestre del 2021 c’è stato un aumento esponenziale dei costi delle materie prime (gasolio, metano, energia elettrica) con ricadute devastanti sui bilanci aziendali. I rincari sono proseguiti per effetto della guerra in Ucraina e sono ancora oggi evidenti».

stefano-gregori-saspNon solo costi in crescita, ma ricavi in picchiata per effetto della pandemia: «I ricavi che derivano dal pagamento dei biglietti sono ben lontani da quelli del 2019, da quelli cioè prima del Covid. Dunque un doppio colpo negativo: aumentano i costi e diminuiscono le entrate. E’ evidente che necessitano ristori da parte dello Stato, gli unici contributi pervenuti non hanno coperto integralmente nemmeno il fabbisogno del 2022: siamo stati lasciati da soli a farci carico dei costi». Aumento dei costi, calo degli incassi dai biglietti: una tempesta già perfetta alla quale si è anche aggiunto il rinnovo del contratto di lavoro degli autoferrotranvieri con relativi ulteriori oneri. Però, chi fa l’imprenditore cerca di guardare oltre, sperando che il quadro torni ad essere positivo: «Le aziende hanno continuato a fare investimenti e lo hanno fatto in modalità sostenibile,  l’ottica della transizione ecologica, vale a dire rinnovando il parco rotabile con mezzi a metano ed elettrici che sono più costosi di quelli a gasolio».

Il trasporto pubblico è appunto un servizio pubblico e le tariffe debbono rispondere a criteri di accessibilità anche per le fasce sociali più deboli. Bene, però come evidenzia Gregori «le tariffe dei titoli di viaggio sono sostanzialmente bloccate da otto anni e tutti ben conoscono gli effetti prodotti dall’inflazione in questi ultimi tempi. Peraltro in molte regioni italiane ci sono stati diversi adeguamenti delle tariffe, lo hanno fatto anche le Ferrovie dello Stato». Il quadro è appunto fosco, i dati sono oltremodo negativi e non c’è bisogno di accentuare la criticità della situazione.

Cosa fare? «Immediatamente bisogna attuare i tavoli tecnici per valutare la situazione dei contratti di servizio 2016/2019, poi quelli del periodo Covid fino ad oggi».

stefano-gregoriInsomma le aziende di trasporto chiedono di aprire finalmente i cordoni della borsa per non chiudere prima le porte dei bus e poi quelle delle aziende. Verrebbe da pensare che si tratti delle solite imprese che bussano a soldi alle casse pubbliche, pensiero legittimo fino a quando non si va a vedere il riparto della quota del fondo nazionale dei trasporti. Se state pensando che le Marche sono quelle che ricevono la quota per abitante minore rispetto alle altre regioni italiane, siete marchigiani e già avete capito che anche nei trasporti da decenni di voce in capitolo nel contesto nazionale le Marche ne hanno poca, per non dire nulla. Per dare alcune cifre la spesa per abitante per le Marche è di 73,16 euro mentre Liguria e Basilicata viaggiano al doppio e la penultima della classifica, l’Emilia Romagna, prende comunque dieci euro in più delle Marche.

Che la musica cambi con il governo Meloni? Se lo stanno augurando le imprese di trasporti, ma è una domanda che necessita di una risposta urgente visto che con queste cifre il default è dietro l’angolo.  «E’ giunta l’ora – rileva infine l’Ad di Contram Mobilità Stefano Gregori – che l’amministrazione regionale vada seriamente a sbattere i pugni al Ministero per ottenere il giusto e sacrosanto riallineamento della suddivisione del fondo nazionale dei trasporti». Peraltro, sul fronte del trasporto pubblico, l’Europa dice – regolamento 1370 del 2007 –  che  «ai fini della tutela di un livello sufficientemente elevato sia dell’offerta che della qualità dei servizi, sia garantita la sostenibilità dei contratti in affidamento in essere sancendo l’obbligo in capo all’Ente affidante di compensazione integrale degli oneri del servizio pubblico oltre a un ragionevole utile d’impresa».



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