«Strappata da mia madre a 4 anni,
la portarono a Servigliano e ad Auschwitz:
non fece mai più ritorno»

GIORNO DELLA MEMORIA - Giuliana Vannini, a Sarnano, ha incontrato gli studenti del liceo delle Scienze umane, Linguistico e Scientifico Alberico Gentili di San Ginesio per raccontare la vicenda di sua mamma, Grete Schattn, che la notte dell’8 ottobre 1943 venne portata via dalla sua casa perché ebrea
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Giuliana Vannini

di Monia Orazi

Strappata dalle braccia della mamma mentre dormiva a quattro anni, la notte dell’8 ottobre 1943 a Fermo, nella casa dei nonni, a due passi dal liceo classico: Giuliana Vannini ha testimoniato di fronte alla platea degli studenti del liceo delle Scienze umane, Linguistico e Scientifico Alberico Gentili di San Ginesio, in occasione della Giornata della Memoria, il suo terrore da bambina che nel cuore della notte ha visto due figure nere portarle via la madre, Grete Schattner, che aveva la sola “colpa” di essere ebrea.

L’incontro, aperto dai saluti del preside Donato Romano e del sindaco di Sarnano, Luca Piergentili, si è tenuto ieri nella sala congressi Brunforte di Sarnano, dove gli studenti hanno ascoltato con grande attenzione la storia di questa donna. Grete Schattner aveva solo trent’anni e fu una delle milioni di vite sterminate dai nazisti nei campi di concentramento. Era nata in Romania nel 1913 e finì la sua breve vita ad Auschwitz, dopo essere stata nel campo di concentramento di Servigliano per sette mesi, poi trasferita a Fossoli, da dove partivano i convogli della morte destinati ai campi di sterminio tedeschi.

Una donna educata e gentile, così l’hanno descritta alla figlia, elegante e coltissima, una laurea in Medicina quasi in tasca, si era dovuta fermare prima della tesi, per l’entrata in vigore delle leggi razziali del 1938. Giuliana Vannini, la chioma bianca ed 84 anni di ferma saggezza e vivace intelligenza, aveva taciuto a tutti la sua storia terribile, fino a quando nel 2019 ha deciso di visitare il campo di concentramento di Servigliano. Lì avviene l’incontro con Paolo Giunta La Spada, direttore della Casa della Memoria di Servigliano, lei spalanca le porte dei ricordi, racconta per la prima volta la storia di sua madre, inizia quel percorso a ritroso, per ritrovare le sue radici e fare pace con il suo passato, che l’ha poi portata a raccontare la sua storia per non dimenticare l’orrore della Shoah e dei campi di concentramento nazisti, per evitare che la storia si ripeta. Paolo Giunta La Spada è un ricercatore ed insegnante, ricostruisce grazie ai documenti i frammenti mancanti della vicenda umana di quella ragazza di trent’anni, che durante le vacanze in riviera romagnola conosce Uberto Vannini, se ne innamora, ma non può sposarlo perché le leggi razziali vietano i matrimoni con gli stranieri. Il loro amore però va avanti, nasce una bambina, Uberto viene fatto prigioniero quando la figlia ha dieci mesi, la famiglia da Bologna si trasferisce a Fermo, dove il nonno paterno era segretario comunale. Dopo il fallito tentativo di nascondere Grete in un convento, o di farla fuggire su una barca di pescatori a Porto San Giorgio, ipotesi ben presto tramontata, il peggiore degli incubi diventa realtà, la donna viene trasferita a Servigliano. Dai momenti lieti di una vita borghese, si ritrova da sola, senza presenze amiche in una baracca. Restò nelle Marche per sette mesi, il 16 maggio del 1944 salì sul convoglio numero 10 per Auschwitz e non fece mai più ritorno, sterminata dai nazisti. Un trauma, quello della perdita della madre, che Giuliana Vannini aveva superato con la forza della sua giovinezza, senza l’appoggio convinto di una famiglia che non le ha mai perdonato sino in fondo le sue origini. Unica eccezione l’amata zia Luciana, che lei è sempre venuta a trovare in estate a Fermo, la stessa città che le ha tolto la madre, le ha restituito un grande amore, il marito Sandro, una bella famiglia formata da tre figli e quattro nipoti.

Un racconto pacato il suo, intervallato dagli aneddoti storici del docente Giunta La Spada, ed alla fine rispondendo alle domande degli alunni ha detto: «Ragionate sempre con la vostra testa, dovete avere spirito critico, essere indipendenti». Durante la mattinata c’è stato spazio per alcune testimonianze degli studenti, attimi di riflessione e la scoperta di un’altra bella storia: quella di due coniugi di Monte San Martino, Quirino Stortini e Sperandia Azzurri, proclamati Giusti tra le nazioni, che durante le persecuzioni razziali, nascosero fino alla fine della guerra in alcuni locali sotto casa,  la famiglia Volterra di Ancona, padre, madre e tre figli, permettendo loro di salvarsi, a rischio della propria vita. Una pagina di straordinaria solidarietà rimasta ignota ai discendenti degli Stortini, fino a quando da Israele una di quelle persone da loro nascoste, Viviana Volterra ha mandato una lettera che ha portato allo scoperto la loro storia. Oggi a Monte San Martino il Giardino dei Giusti ricorda la loro bellissima storia. La mattinata si è conclusa con la lettura, da parte del bisnipote degli Stortini, studente del liceo, della frase del Talmud, libro sacro ebraico: «Chi salva una vita, salva il mondo intero».

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