La prima messa di Natale
nella chiesa di San Giovanni
Il vescovo racconta una favola di pace

MACERATA - L'attuale cattedrale (causa inagibilità del duomo) ha accolto tantissimi fedeli per la messa notturna. Monsignor Nazzareno Marconi ha raccontato una fiaba di un re e di un omino di cui nessuno ricorda il nome e di un regalo speciale

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Il vescovo Nazzareno Marconi alla riapertura della chiesa di San Giovanni

 

Prima messa di Natale nella chiesa di San Giovanni, riaperta il 17 dicembre scorso dopo che per 25 anni il portone d’ingresso è rimasto sbarrato a causa dei danni del sisma del 1997. In tanti ieri notte hanno sfidato il freddo per partecipare alla messa celebrata dal vescovo Nazzareno Marconi nella chiesa barocca che, a causa dell’inagibilità del duomo (per i terremoti del 2016) è la cattedrale provvisoria di Macerata. Una chiesa restituita ad una antica bellezza, quella che aveva nel 1600, che i maceratesi stanno scoprendo e riscoprendo. Nella chiesa è anche stato possibile per i fedeli vedere le tre tavole che compongono la macchina barocca del presepe (pure queste si possono ammirare dopo un restauro). Il vescovo ha poi voluto raccontare una favola di Natale dove ci sono un re cattivo, un omino di cui nessuno ricorda il nome e un regalo inatteso. La morale, ha detto è: «Se il tuo vicino ti sembra pazzo, chiediti: “Di cosa ha paura?” e soprattutto “quale dono gli posso fare per aiutarlo?”. La via della pace passa anche da qui».

Marconi_SanGiovanni_FF-11-325x217LA FAVOLA DEL VESCOVO

«C’era una volta un re molto cattivo, tanto che aveva litigato con tutti i regni vicini, facendo guerra per un nonnulla. Anzi, nel timore di essere deposto, aveva via via eliminato tanti suoi collaboratori e amici finendo per rimanere sempre più solo ed arrabbiato. La gente, sottovoce per timore della sua vendetta, diceva sempre più spesso che era impazzito. Proprio di fronte alla sua reggia c’era un gran bosco e nel bosco un’unica piccola casetta, tanto piccola che nessuno vi faceva caso. Anche il re era convinto di non avere nessun vicino. Nella casetta invece viveva un omino che ogni mattina andava al mercato a vendere cappelli. L’omino dei cappelli aveva un nome, ma nessuno lo ricordava, perché tutti lo chiamavano appunto: “l’omino dei cappelli”. Una mattina l’omino si presentò alla porta della reggia con un pacchetto, piccolo e ben infiocchettato, lo consegnò alla guardia e disse: “È un regalo per il re”. Poi se ne andò al suo lavoro.

La guardia non sapeva che fare: non gli era mai successo in tanti anni che qualcuno portasse un regalo per il re. E poi senza chiedere nulla in cambio. Allora consegnò il pacchetto al suo superiore e di mano in mano, tra gente sempre più stupita, il pacchetto giunse fin sul tavolo del re.

“Sei pazzo?”, gridò il re al suo primo ministro. “Nessuno mi ha mai fatto un regalo. Deve essere una trappola. Magari è una bomba”. E correndo per rifugiarsi nella stanza più vicina ordinò: “Presto, gli artificieri. Di corsa!”. Giunsero subito gli esperti, quando il re era così non bisognava perdere un solo attimo, o sarebbero stati guai seri. Con mille attenzioni aprirono, valutarono, controllarono… e solo quando furono ben certi di cosa si trattasse, portarono il pacchetto ed il suo contenuto al re. “Ma cosa?”, gridò il re; “Mi si vuol prendere in giro?”, sbottò ancora più arrabbiato; “chi ha portato il pacchetto?”. Fu fatta una rapida indagine e venne fuori che era stato l’omino dei cappelli. “Portatelo subito da me”, disse il re quasi gridando: “Che spieghi, che chiarisca, se voleva offendermi avrà ciò che si merita”.

SanGiovanni_FF-19-325x217Le guardie andarono, trovarono, riportarono il povero omino come se fosse stato anche lui solo un pacco. Così il re se lo trovò davanti. “Cos’è questo, cosa significa, cosa avevi in mente?”, disse il re accelerando sempre più le parole. L’omino dei cappelli, si tolse con calma il cappello, fece un saluto al re con un cenno del capo e cominciò. “Caro re, io abito nella casetta del bosco e tu non mi vedi, perché la casa è tanto piccola, ma io vedo bene la reggia, i cortili ed ogni stanza dove tu abiti”.

Il re lo guardava tra il preoccupato e l’incuriosito… “che andasse al dunque”, gli indicò con lo sguardo e stringendo le dita della mano, in un segno che tutti potevano ben capire. “Ho notato – continuò l’omino – che tu vuoi che le stanze siano sempre illuminate. Anche quando vai a dormire, nella tua stanza che è in fondo al palazzo, resta sempre la luce bassa di una abat-jour”. “E dunque?” dicevano gli occhi sempre più curiosi del re. “Poi, pochi giorni fa – riprese l’omino – quando all’improvviso è saltata la luce in tutto il quartiere. Ti ho sentito gridare e sbraitare finché i servi non sono arrivati a farti luce con un candelabro acceso di corsa. E tu gridavi, e ti agitavi, ed accusavi tutti delle peggiori nefandezze”. Tutti divennero muti. Temevano che il re lo avrebbe squartato gridando come un pazzo. Invece anche il re rimase impietrito: voleva capire dove sarebbe finita la storia.

“Così finalmente ho capito – disse l’omino – il mio vicino, il re, ha paura del buio. Per questo ti ho regalato una piccola torcia elettrica, da tenere sempre in tasca, se per caso andrà di nuovo via la luce”.

Non so come è finita questa storia. Chi me l’ha raccontata non ha voluto dirmelo. Ma ho pensato a una morale. Se il tuo vicino ti sembra pazzo, chiediti: “Di cosa ha paura?” e soprattutto “quale dono gli posso fare per aiutarlo?”. La via della pace passa anche da qui».

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