L’istante meraviglioso di Davoli,
un incontro tra amore e poesia

LA RECENSIONE del nuovo libro del poeta maceratese a cura di Guido Garufi
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La copertina del nuovo libro di Filippo Davoli

 

Lo scrittore Guido Garufi invia una recensione del nuovo libro dell’amico e collega Filippo Davoli.

“Dentro il meraviglioso istante” è il titolo dell’ultima fatica letteraria di Filippo Davoli. Fatica per chi non è poeta autentico perché, al contrario, chi lo è , non sente affatto la scrittura come “lavoro” ma più semplicemente come vocazione, meglio ancora come “necessità”. Davoli ne ha scritte molte, di raccolte di versi, a partire dal suo primo lepido libello che fu In epigrafe, ben trentacinque anni or sono. Lo ricordo bene perché fui io il prefatore e mentore. Davoli giovane si dava da fare, ricordo il suo gemellaggio con Remo Pagnanelli, le interviste a casa sua (di Remo), i dibattiti alla Radio. Insomma, Filippo è uno che si è dato sempre da fare, si è “mosso”, anche e soprattutto nella nostra Macerata: i readings di poeti importanti presso il cortile comunale, l’intervento di Arnoldo Foà al teatro Lauro Rossi, la convocazione di Franco Loi, la realizzazione di una rivista cartacea, “Ciminiera” , che assemblò, ai tempi, letture trasversali (anche in campo musicale e pittorico) ed oggi, che va di moda internet, l’ottima rivista “Nuova Ciminiera” che considero elegante e ficcante per gli articoli mai descrittivi ma sempre densi e pensati, con l’assemblaggio di una nuova generazione di voci e di critici (questo è sociologicamente fondamentale).

Qui si dirà: e il libro “novissimo”? La sede giornalistica non è spazio di approfondimento, ma piuttosto di notizia articolata. Del resto altri, e da tanto tempo, hanno parlato delle sue opere, nel segmento offerto ai libri: dal “Sole 24 Ore” a “Il Tempo”, la RAI, “La Stampa”, “Avvenire” ed altre testate nazionali. Oggi la nota che precede il libro è dell’amico professore Giovanni Tesio, mio sostanziale coetaneo, meticoloso e puntuale. Tesio non è “uno” che “parla e scrive a caso”, come del resto Massimo Raffaeli (nel libro che precede questa novità). Oggi mancano critici che vadano oltre le 15 righe del giornale, oltre la notizia ben scritta ma applicabile a qualsiasi autore (io stesso ho fatto un test e ho scritto ironicamente su tale “moda”). Questo “meraviglioso istante” di Davoli è affiancato da una breve notizia di Davide Rondoni: secca ma esplicita, come da parte di chi se ne intende.

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Filippo Davoli

Vediamo meglio cosa sia il “meraviglioso” e quindi “l’istante” e, più di tutti “dentro”. Esiste (ci sono saggi a proposito) una “semantica del titolo”. L’istante è il “momento” durante il quale si accumula l’emozione (e-moveo, cioè “entro in movimento”, parto, mi sposto da…); questo istante fulmineo e pulsante è il “tempo” della poesia che ha bisogno di questa “base” elettrica ed illuminante: fase breve, intermittente (come le pulsazioni del cuore). Ma si deve entrare “dentro” questa emozione perché lo scriba applichi al foglio le parole e distenda la mano. Da tale “interiorità” (dal di dentro, voglio dire) si parte; senza questo “vissuto”, senza l’ausilio di tale “concentrazione”, non si può scrivere, non si scrive, non si è autorizzati a scrivere. Ma attenzione. Senza entrare nello specifico dei singoli testi (la raccolta è massiccia, con le sue 140 pagine) aggiungo questa riflessione relativa allo stile e lingua di Davoli, da sempre – e in questa stazione del suo viaggio ancora di più – fedele a se stessa.

Ci troviamo di fronte ad un linguaggio piano, apparentemente “descrittivo”, probabilmente atonale, mi verrebbe di dire, impropriamente, “orizzontale”. Ma vediamo più da vicino. La colta ed autorevole lingua è tale anche perché si legge, non solo tra le righe, il fertile rimbombo-rimando a maestri del nostro Novecento. Voglio dire che la seconda condizione per “scrivere” proviene solo e solamente dalla ininterrotta lettura di testi altrui. Dunque la letteratura (la poesia nel nostro caso) come bussola per il proprio “alfabeto”. La prova-provata di quanto sto almanaccando sta nel prelievo di termini propri del secondo ermetismo (non quello cadetto), penso alla Barca di Mario Luzi: terminologia illustre ed emblematica, forse araldica. Ma Davoli nella sua “discesa” sulla storia e sul quotidiano, si sente attratto dalla storia, dalla storia da “raccontare”, tentando più di una volta la convocazione verso l’Alto, lo sguardo verso l’Alto. Se posso aggiungere, concludendo e riflettendo sulle clausole, vale a dire i versi finali dei singoli componimenti, ci leggo ancora la traccia indelebile del primo libello (“In epigrafe”) del quale ho parlato: le clausole sono gnomiche, pedagogiche, mai sospensive; tentano una finta chiusura, tentano il giudizio sul mondo e sulla storia. Eredità, questa, totalmente montaliana; più brevemente, la poesia come memoria ma insegnamento.



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