Marco Severini
Mercoledì 15 gennaio 17 nella biblioteca statale di Macerata viene presentato il libro “Licia. Storia della prima italiana che ha denunciato un questore” di Marco Severini (Pensiero e Azione Editore, 2019), l’ultimo libro dello storico in forza all’ateneo maceratese che nasce da una lunga testimonianza rilasciata all’autore da Licia Pinelli, la moglie del ferroviere anarchico precipitato dal quarto piano della Questura di Milano nella notte tra il 15 e il 16 dicembre 1969.
Il questore a riguardo è quello di Milano di mezzo secolo fa, Marcello Guida, che al pari di altri vertici istituzionali, raccontò una serie di bugie sulla morte dell’anarchico. La morte di Pinelli e la strage di Piazza Fontana di quattro giorni prima sono considerati gli avvenimenti che hanno dato inizio ai cosiddetti “anni di piombo”, una delle stagioni più drammatiche dell’età repubblicana. Licia Pinelli e le sue figlie Claudia e Silvia si battono da 50 anni per la ricerca della verità e per ottenere una giustizia che nessun tribunale ha finora accordato. Il libro di Severini rilegge quei terribili eventi dalla prospettiva di una donna sola e coraggiosa e s’inserisce in un filone di storia delle donne che nel 2019 ha dato vita, fra l’altro, alla monografia sulla legge che nel 1919 ha riconosciuto la capacità giuridica della donna. Dopo i saluti istituzionali, coordina l’evento la professoressa Lidia Pupilli, direttrice scientifica dell’Associazione di Storia Contemporanea.
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Licia Rognini Pinelli, che è nata a Senigallia, militante e vedova dal coraggio e dalla dignità esemplari, non fu nemmeno avvisata dalla questura di quello che era successo al marito quella notte: epilogo tragico di un fermo illegale e di interrogatori senza tregua, nell’ambito di una delle diverse operazioni di depistaggio e inquinamento di quei tempi difficili; e lo venne a sapere da alcuni giornalisti del Corriere. Licia Pinelli denunciò per diffamazione aggravata il questore Marcello Guida (i cui omaggi Pertini si rifiutò platealmente di ricevere quando si recò in visita a Milano da presidente della Camera: non tanto perché si ricordasse del suo passato-presente di fascista e di direttore del carcere-confino di Ventotene, quanto perché su Guida gravava l’ombra della morte di Pinelli). In seguito, Licia Pinelli denunciò per omicidio e altri reati tutti i funzionari che ebbero a che fare con suo marito nei locali della questura milanese. La prima causa fu presto archiviata; la seconda ebbe vita più lunga e travagliata ma alla fine il giudice Gerardo D’Ambrosio archiviò, escludendo sia il suicidio sia l’omicidio, ipotizzando un malore non nella forma dello svenimento vero e proprio ma in quella di un malore appunto in cui la combinazione tra un venire meno di energie e di sensi e una reazione istintivo-fisiologica di difesa avrebbe portato alla caduta dalla finestra… Alcune analisi e studi successivi accettano l’esclusione del suicidio e dell’omicidio volontario ma respingono la plausibilità di quello che giornalisticamente (ma non nelle parole di D’Ambrosio) fu chiamato “malore attivo”, aprendo ad altre ipotesi. Giuseppe Pinelli, che era arrivato in questura col suo motorino Benelli, seguendo la macchina di chi era venuto a prenderlo, è stato ricordato sui muri della nostra provincia in occasione del cinquantesimo della morte con un manifesto funebre a cura di un circolo anarchico di Tolentino.
L’ufficio era del comissario Calabresi che nelle ricostruzioni televisive pare non fosse presente e qui tutto un altro pezzo di anni di piombo. Non si trattò di suicidio come venne dimostrato da alcuni particolari non conciliabili e se non si trattò di omicidio volontario rimane l’incidente. Ma questo incidente mai si è saputo come avvenne.
Nel giardino di Piazza Fontana a Milano ci sono due lapidi affiancate su Giuseppe Pinelli, simili ma non identiche. Entrambe ricordano il “ferroviere anarchico innocente”, ma in quella del Comune è “morto in Questura” e in quella degli studenti e democratici “ucciso”. Sta tutto qui il dramma assurdo di una verità che a cinquant’anni è ancora negata. Pinelli era stato fermato e trattenuto illegalmente in Questura per tre giorni, accusato con Pietro valpreda per le bombe e la strage del 12 dicembre alla BNA, bombe per le quali fu poi accertata la definitiva responsabilità della destra eversiva di Ordine Nuovo. Fu accertata definitivamente anche l’opera di depistaggio da parte di apparati dello Stato (da qui “strage di Stato”) per coinvolgere la sinistra in quella tragica strategia della tensione che avrebbe dovuto portare militari e destra al potere. Sulla morte di Pinelli e sull’accidentalità della sua “caduta” dal quarto piano della Questura milanese, anche in connessione coi velenosi depistaggi accertati, è scaduta da tempo l’ora della verità. Il libro “La bomba” di Enrico Deaglio, di recente uscita, ricostruisce quelle vicende con molta precisione e grande passione.