Rossella Marinucci, Daniel Taddei e Daniele Principi
di Federica Nardi (foto di Fabio Falcioni)
«L’unica dipendente del Pd provinciale licenziata dopo 37 anni a cinque anni dalla pensione, senza concordare un percorso», «tre dipendenti delle funivie di Ussita senza stipendio che non riescono nemmeno a licenziarsi perché il gestore è irrintracciabile». E poi ancora «diversi casi di vertenze da lavoratori di associazioni religiose, anche dalle perpetue». Il nuovo volto del lavoro in provincia parla di «sfruttamento, precarietà e in alcuni casi estorsione». Parola di Daniel Taddei, Rossella Marinucci e Daniele Principi della segreteria maceratese della Cgil. Sono loro a mettere insieme tante storie individuali che raccontano il dramma di migliaia di persone in provincia. In totale, solo dall’ufficio vertenze, nel 2018 sono passati 892 lavoratori e lavoratrici.
Daniel Taddei e Daniele Principi
Dal 2014 oltre 4mila. Più tutti quelli che i sindacalisti seguono individualmente. «Vogliamo dare voce a quei migliaia di casi che trattiamo ogni giorno e che non vanno alla ribalta – dice Taddei – Perché pur essendo migliaia, sono tutti singoli. Per ogni azienda magari solo pochi dipendenti vittime di questo sistema di sfruttamento. Che con difficoltà riescono a metterci la faccia e denunciare. Il problema principale è il rischio assuefazione dei lavoratori al sistema. Comincia quasi a sembrare normale». Insomma, i dati positivi dell’occupazione in regione o in provincia sono in realtà ampiamente falsati. Come spiega Marinucci «oltre la metà delle assunzioni è a tempo determinato. Anche chi lavora un giorno a settimana risulta occupato. Nel terzo trimestre del 2018 solo il 7,7% dei contratti è stabile. Il 20% dei lavoratori è in somministrazione, cioè tramite agenzie. Tra l’altro le norme recenti stabilizzano i rapporti: ma non con le ditte, con le agenzie stesse. Una situazione permanente di precarietà. A Macerata provincia ci sono 3.200 persone occupate con questa forma di contratto. Aumentano anche i rassegnati e gli inattivi, così escono dalle statistiche e l’occupazione sembra in crescita».
Rossella Marinucci
Le agenzie di somministrazione forniscono lavoratori anche a settori tradizionali. Ci sono così persone che vanno con questi contratti in Regione, enti religiosi, associazioni e cooperative, imprese private di qualsiasi dimensione. Esiste una percentuale massima per questo tipo di contratti (il 30% degli assunti), ma è facilmente aggirabile. «Basta che i lavoratori autocertifichino di rientrare nella categoria degli “svantaggiati” per avere situazioni in cui i lavoratori somministrati dalle agenzie risultano pari o superiori ai dipendenti diretti. Ovviamente poi la responsabilità civile e penale della certificazione ricade sui lavoratori», spiega Marinucci. Altro vaso di Pandora quello del lavoro a chiamata. «Risultano a chiamata anche figure chiave delle piccole aziende, come i cuochi delle pizzerie – prosegue la sindacalista – Con questa forma contrattuale non si può nemmeno accedere a un prestito». Il cambio di paradigma del lavoro ha quindi anche rivoluzionato l’impegno del sindacato, sempre più attento a rappresentare questo nuovo modello di«sfruttamento – dice Principi -. Non vogliamo più lasciare nessun lavoratore solo. Oggi è un problema non solo dei vecchi settori come l’edilizia e l’industria ma anche dei servizi, istituzioni e partiti politici».
Daniele Principi
Taddei ci tiene a ricordare che non tutte le aziende usano questi contratti per sfruttare i dipendenti: «Abbiamo esempi eccellenti come Poltrona Frau, Nuova Simonelli e Giessegi che a questi lavoratori assegnano anche premi di produzione e ciclicamente contrattando la stabilizzazione. Ma come possono competere con altre aziende che vanno solo comprimendo il costo del lavoro? Non può essere questo il futuro del nostro Paese. L’importante non è lavorare e basta, ma farlo con dignità». Dignità messa a rischio anche dalla ricattabilità. «Siamo passati dal lavoro “grigio” – conclude Taddei – a casi in cui le buste paga sono perfette ma al lavoratore viene richiesto parte dello stipendio in contanti. È estorsione ma difficilissima da provare. Un fenomeno antico ma in grande aumento nell’ultimo periodo».
Daniel Taddei
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L’aspetto secondo me più preoccupante :la tesi sbrigativa che la nostra economia può reggere soprattutto grazie alle misure adatte a ridurre il costo del lavoro,che poi si riducono alla precarizzazione del rapporto di lavoro,che equivale a quella dell’esistenza.Il rapporto di lavoro precario o a termine trova agevole applicazione in epoca di pieno impiego,ma ne siamo ben lontani.Problema assolutamente serio e complicato questo del lavoro,al quale ogni forza politica dovrebbe dare la precedenza in uno sforzo(non sarebbe male)congiunto.
Ottima analisi di una situazione che di giorno in giorno diventa più difficile. Concordo con il signor Bonfili che ottimizzare per ridurre il costo del lavoro ha senso solo dove il lavoro abbonda ma non mi sembra sia il caso dell’Italia.
Nel merito dell’articolo confesso di essere rimasto sorpreso (e dico poco, della serie non si può sentire) che il PD provinciale licenzia immagino per ottimizzare l’unico e ultimo dipendente. Allora pensi: possibile che un partito che ancora raccoglie il consenso di un quinto dei votanti non abbia più bisogno di questa collaborazione o non possa più permettersi un ultimo dipendente magari accompagnandolo alla pensione per il breve periodo che resta? E pensi anche: magari è un lavativo che non merita quel posto di lavoro ma poi vedi che da 37 anni occupa quel posto di lavoro e in qualche modo è la memoria storica dal PCI di 37 anni fa al PD di oggi. E infine leggi che sarà CGIL ad occuparsi del contenzioso di questo ‘fortunato’. Mi aspetto ora la chiusura della segreteria provinciale del PD e non vorrei vedere che questa venga affidata a qualche beneficato dell’ultimo minuto per il solo fatto che costa meno ed è meno garantito. Mi aspetto anche una severa vertenza, se ci sarà, che risolva il problema drammatico del dipendente ma soprattutto metta in chiaro che il lavoro non ha solo un valore economico per cui lo si compra di chi costa meno ma ha anche un fondamentale valore sociale.
S’è visto a quali nefaste conseguenze conducano gli arbitrari interventi statali per far salire i prezzi dei beni di prima necessità. A conseguenze ugualmente nefaste si giunge quando lo Stato tenta, con una legge, di far crescere i redditi imponendo un minimo salariale. Non dobbiamo meravigliarcene, perché in realtà un salario non è altro che un prezzo. È un peccato che il prezzo dei servizi del lavoro non sia chiamato con lo stesso nome degli altri prezzi. Ciò impedisce a molti di comprendere che salari e prezzi sono governati dagli stessi principi.
Mi permetto di obbiettare al signor Pallotto che il salario non dovrebbe seguire le leggi di mercato come il prezzo di un qualsiasi altro bene perché è legato al lavoro che non deve mancare a nessuno per consentire a tutti una vita dignitosa. Questo è sano buon senso e qualche economista avveduto comincia a dirlo.
Pensate a come ci siamo ridotti in Italia con i sindacati, ieri ero dal sindacato a fare la domanda di pensionamento con quota 100,una signora inoltrava la domanda direttamente al sito INPS, mentre un’altra vicina, al telefono, stava organizzando i pullman per la manifestazione a Roma contro il governo e quota 100. Mah!!!!
Caro Gabriele Foresi, confrontiamoci su dati e numeri degli ultimi 40 anni riferiti alle economie degli Stati del G7 e di quelli emergenti poi vediamo chi ha ragione e chi no. Smettiamola di sognare!!!
Vada a fare l’esodata. Il lavoro in Italia è ai livelli del caporalato. Il sindacato non dovrebbe più prendere soldi dallo stato così magari andrebbe in giro a dire agli operai di non pensare solo ai casi loro perché oggi tocca a me e domani a te e a dire che quanto viene qualcuno a indagare su casi di mobbing, i colleghi non dovrebbero girarsi dall’altra parte perché prima o poi verrà il loro turno di avviarsi verso casa con una pedata ben assestata.
Trovo semplicemente allucinante l’affermazione che vedo fatta da qualcuno che il salario debba essere assimilato nella sua formnazione a quello di un qualsiasi prezzo.Basterebbe riflettere sul fatto che il mercato,fondato sui consumi,stenterebbe a sopravvivere comprimendo i salari oltre misura.Questo aspetto mi porta a considerare il neo liberismo una non strategia.
I problemi relativi alla mancanza di lavoro parte da lontano.sanno benissimo che una tassazione altissima sul lavoro porta solo meno occupazione.quando hanno fatto scappare più di 2000 aziende all’estero, si sono girati dall’altra parte lasciando sul lastrico moltissime famiglie,chi è rimasto si è trovato a svendere il lavoro,e nei peggiori dei casi a licenziare per tirare a campare.quello che mi preoccupa di più, è che ancora il governo ci gira attorno non sapendo quali pesci prendere.cosa aspettano?.la signora merkel qualche decennio fa,fece tornare forzatamente le aziende tedesche che avevano de localizzato abbassando le tasse,in questo caso lo stato intervenne,ecco perché in Germania c’è meno disoccupazione.quale neoliberalismo?.il liberalismo finisce dove inizia i valori fondanti della costituzione.non hanno capito che quando le famiglie avranno finito tutti i risparmi, non ci sarà decreto sicurezza che tenga.