La scoperta dell’acqua calda
e il coraggio che non c’è

L'INTERVENTO di Giacomo Buoncompagni, presidente Aiart Macerata, dopo la tragedia di Corinaldo. Da tempo tutti sanno cosa avviene all'interno dei locali ma solo dopo l'8 dicembre si parla di nuovo allarme sociale

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Giacomo Buoncompagni

 

di Giacomo Buoncompagni*

La tragedia di Corinaldo di venerdì scorso ci aiuta “finalmente” a riflettere su aspetti emergenziali e critici che riguardano il tema dell’educazione e della devianza minorile, a far riemergere fatti di cui molte persone, ragazzi e adulti compresi, sono a conoscenza da tempo e che i media tendono a rappresentare oggi come “nuovi”.
Vado oltre il tema sicurezza delle strutture che ospitano persone e sono destinate a spettacoli, perché la questione che voglio evidenziare non è questa, ma l’aspetto educativo e le pratiche giovanili legate all’utilizzo di droghe, alcool e tutte quelle pratiche circoscrivibili nel concetto di devianza, ma che si sono nel tempo “normalizzate” perché riconosciute come “divertimento”, riproducibili soprattutto in luoghi (ormai subculturali) come le discoteche presenti nelle Marche, in Italia, in Europa.
Ci sono problemi culturali-educativi alla base che sono ormai fortemente radicati e che si sono trasformati in veri e propri rituali: arrivare alla festa già ubriaco, comperare vodka al supermercato prima di andare a ballare perché poi in discoteca la bevuta costa 8 euro in più, uscire non prima delle 24 perché le feste iniziano a riempirsi di persone dopo le 2 di mattina e tutto questo cercando di ballare ammassati il più possibile, nonostante la capienza dei locali, perché così ci si diverte, perché cosi si fa, o meglio quello è l’obiettivo prima ancora di uscire di casa.

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La caduta di una balaustra a Corinaldo

Non è moralismo e non è necessario sempre puntare il dito verso qualcuno o qualcosa.
Le responsabilità sono molteplici e non riguardano singoli proprietari, artisti o gruppi di giovani.
Il fatto veramente sorprendente è che queste non sono cose sconosciute, la maggior parte di noi è a conoscenza di quello che avviene all’interno di alcuni locali perché le ha viste, sentite o vissute in prima persona, adulti compresi, ma facciamo finta di nulla aspettando ogni volta la tragedia con la speranza però che non succeda a un nostro familiare o amico.
L’ impressione è che ciò che manchi sia probabilmente il coraggio.
Il coraggio dell’amico che non segnala questi comportamenti per non essere escluso dal gruppo, il coraggio del genitore che ha perso la sua autorevolezza e si lascia guidare dalle mode mediatiche del momento, il coraggio dei “nuovi artisti “che spettacolarizzano il disagio trasformandolo in forma d’arte, spacciandosi per micro-celebrità in Rete, il coraggio dei proprietari dei locali notturni che monetizzano il divertimento e le difficoltà dei giovani.
Tutto questo è realtà da molto tempo e va oltre il problema sicurezza delle strutture, è sorprendente che la maggior parte de i media parlino di tutto questo come nuovo allarme sociale dall’ 8 dicembre 2018.
Trasformare questa (sub)cultura della finta cecità in una cultura del coraggio che significa denuncia, educazione civica, maggiore relazione scuola-famiglia, una maggiore trasparenza e cultura della comunicazione, a partire da quella affettiva, è la vera urgenza anche se sarà un percorso lungo che forse vedrà altre tragedie.
Avere però il coraggio di comunicare ciò che non funziona è la miglior forma di responsabilità e di prevenzione subito attuabile da tutti e in qualsiasi contesto perché purtroppo senza coraggio ed educazione..si può morire anche cosi.

*Giacomo Buoncompagni, dottorando UniMc, presidente Aiart Mc- Collaboratore Red Rete Educazione Digitale

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