di Giancarlo Liuti
Uno dei mali del nostro attuale modo di vivere sta, secondo alcuni, nella scarsa “integrazione” fra coloro che sono “diversi” per ragioni etniche, culturali ed economiche, la qual cosa determina una società divisa in compartimenti stagni che la rendono assai meno solida e compatta di quanto sarebbe proficuo per il bene comune. Secondo altri, invece, di “integrazione” ce n’è pure troppa, con un piatto e rassegnato conformismo che appanna le virtù individuali, le mortifica e non premia i migliori. Non intendo addentrarmi nelle ragioni e nei torti di tali modi di giudicare noi stessi. Sta comunque di fatto che oggigiorno prevale, in politica e non solo in politica, una sorta di anonimo egualitarismo per cui “uno vale uno” a prescindere da come la pensa, da quello che dice e da quello che fa. Giusto così? Ho forti dubbi in proposito, ma pare che il partito o movimento portatore di tali idee potrebbe vincere, quando ci saranno, le elezioni e andare al potere.
Ma lasciamolo perdere, questo discorso, che per le sue infinite implicazioni rischia di diventare noioso. E torniamo alla parola “integrazione” che tanto spazio occupa nei media e nei dibattiti culturali. Ci si consenta, allora di trasferirci in quel rettilineo, circa un chilometro, che a Macerata si chiama Corso Cavour e da Piazza della Vittoria conduce a Piazza Garibaldi. Lo conosco sin troppo bene, ci passo tutte le mattine e lo vedo frequentato da persone di almeno cinque etnie diverse, alcune provenienti dall’Africa settentrionale e centrale, altre dall’Asia cinese e indiana, altre da paesi dell’Est europeo. Gli “italo-maceratesi” sono ovviamente di più, ma non tanto.
Come li si riconosce, gli africani, gli indiani e i cinesi? Dalla forma del viso e dal colore della pelle, certo. Ma anche dalla lingua. Vero è che loro masticano un po’ l’inglese, cosa nella quale noi italiani non siamo affatto brillanti (la nostra scuola, ahinoi la nostra scuola!). Ma quando parlano fra di loro essi preferiscono esprimersi nella rispettive “lingue madri”, che sono parecchie: i congolesi lo “swaili” e il “kiluba”, i nigerani lo “yoruba”, i gabonesi il “bantù”, gli indiani lo’”hindi” o lo ’”urdù”, i marocchini l’arabo, i cinesi in uno dei tanti dialetti del loro immenso paese. E la reazione degli italo-maceratesi non può essere che questa: “Ma come cazzarola parla, quissi? A me me pare marziani!”.
Tuttavia anche a Macerata la cosiddetta “integrazione” ha fatto e sta facendo passi avanti. Sono sempre più numerose, infatti, le donne di questi “diversi” che, imparato l’italiano, lavorano a domicilio come “badanti” di nonni o bisnonni e in tal modo consentono alle donne nostre di esercitare un mestiere o una professione fuori di casa. Le donne loro, dicevo. Alcune, di religione musulmana, portano il velo. Tutte, o quasi, spingono passeggini con dentro bellissimi bambini – la natalità, per quelle etnie, continua ad essere garanzia di futuro, mentre da noi, sempre più vecchi, le nascite continuano a calare – e se ti fermi a fargli una carezza le mamme sorridono e dicono “grazie”.
E le parole? Ormai ci conosciamo con alcuni di loro e quando li incontro un paio di parole le ho imparate: “Salam” o “Sabah alkmeir”, ed essi mi salutano dicendo “Buongiorno”. E può capitare che ci si offra un caffè. Con una pizzetta salata? No, quando si tratta di mangiare preferiscono negozi – in corso Cavour ce ne sono due: “Kebab” e “Doner Kebab” – fatti apposta per loro. Le differenze, insomma, ci sono e non sono poche. Ma, via via, diminuiscono. Parlare di “integrazione” è esagerato, me ne rendo conto. Tuttavia è questo il traguardo verso il quale ci siamo muovendo, loro e noi. Un traguardo che si chiama “mondo nuovo”, un mondo in cui i nostri valori civili si diano la mano con la loro più giovanile energia fisica e intellettuale. Non per caso corso Cavour porta il nome di Camillo Benso, conte di Cavour, uno di coloro che nell’epoca risorgimentale si batterono per il superamento di un’Italia disintegrata in tante realtà diverse, uno di coloro, insomma, che credevano nell’integrazione umana e sociale. Non è forse questo il “mondo nuovo” verso il quale, nonostante le tenaci resistenze che vi si oppongono, i popoli d’ogni continente si stanno faticosissimamente muovendo? Il cammino sarà lungo, i passi indietro non mancheranno ma quelli avanti saranno più forti. E sono contento che qualcosa di simile la si possa già intravedere a Macerata, lungo corso Cavour.
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In effetti Cavour era un massone ed ha contribuito con estrema abilità a realizzare i disegni della massoneria sovranazionale, il parallelo con la politica dell’immigrazione propugnata attualmente dai poteri invisibili è perfettamente centrato. Correggerei soltanto il riferimento alla lunghezza di corso Cavour che non è di un chilometro ma di 400 metri assai scarsi: errore che testimonia una volta di più la raccapricciante mediocrità delle scuole maceratesi…
Non credo proprio che la cultura del dottor Liuti possa essere messa in discussione da un banalissimo errore…metrico,tuttavia è vero che da piazza della Vittoria a piazza Garibaldi intercorrono non più di 300/350 metri.
L’importante è che l’integrazione non sia sinonimo di uniformità, ma, invece, di rispetto delle leggi del Paese ospitante e rispetto delle differenze sociali e culturali tra gli individui.
Ma anche i nostri giovani esprimono energia fisica e intellettuale. E ciononostante faticano a trovare lavoro.
Se il Liuti non sa quant’è lungo quel corso Cavour è perché possiede una cultura smisurata.
Quando la città retta a democrazia si ubriaca di libertà confondendola con la licenza, con l’aiuto di cattivi coppieri costretti a comprarsi l’immunità con dosi sempre massicce d’indulgenza verso ogni sorta di illegalità e di soperchieria; quando questa città si copre di fango accettando di farsi serva di uomini di fango per potere continuare a vivere e ad ingrassare nel fango; quando il cittadino accetta che, di dovunque venga, chiunque gli capiti in casa, possa acquistarvi gli stessi diritti di chi l’ha costruita e ci è nato; quando i capi tollerano tutto questo per guadagnare voti e consensi in nome di una libertà che divora e corrompe ogni regola ed ordine; c’è da meravigliarsi che l’arbitrio si estenda a tutto e che dappertutto nasca l’anarchia e penetri nelle dimore private e perfino nelle stalle?
In un ambiente siffatto, in cui il maestro teme ed adula gli scolari e gli scolari non tengono in alcun conto i maestri; in cui tutto si mescola e si confonde; in cui chi comanda finge, per comandare sempre di più, di mettersi al servizio di chi è comandato e ne lusinga, per sfruttarli, tutti i vizi; in cui i rapporti tra gli uni e gli altri sono regolati soltanto dalle reciproche convenienze nelle reciproche tolleranze; in cui la demagogia dell’uguaglianza rende impraticabile qualsiasi selezione, ed anzi costringe tutti a misurare il passo delle gambe su chi le ha più corte; in cui l’unico rimedio contro il favoritismo consiste nella molteplicità e moltiplicazione dei favori; in cui tutto è concesso a tutti in modo che tutti ne diventino complici; in un ambiente siffatto, quando raggiunge il culmine dell’anarchia e nessuno è più sicuro di nulla e nessuno è più padrone di qualcosa perché tutti lo sono, anche del suo letto e della sua madia a parità di diritti con lui e i rifiuti si ammonticchiano per le strade perché nessuno può comandare a nessuno di sgombrarli; in un ambiente siffatto, dico, pensi tu che il cittadino accorrerebbe a difendere la libertà, quella libertà, dal pericolo dell’autoritarismo?
Platone Repubblica cap.VIII
Pavoni, è una bellissima pagina di Platone, sembra scritta stamattina.Certo che poi Platone ha le sue idee su come si forma lo Stato, diciamo che qualcuna è un po’ opinabile. Ma questa pagina scritta 23/24 secoli fa, è ancora così attuale, mi dimostra che non abbiamo ancora capito un c°°°o.
La sconfitta dei Borbone non fu provocata dallo slancio dei garibaldini né dal valore delle loro armi. Fu letteralmente comprata a peso d’oro.
Vittorio Emanuele II di Savoia era solito prelevare quanto gli serviva dalle casse dell’erario e spendere senza porsi troppi problemi.
Lotta al brigantaggio nel Meridione. Pulizia etnica. Settecentomila vittime tra banditi, patrioti, ragazzotti, donne incinte, bambini, vecchi.
Giuseppe Garibaldi un onesto bab.beo.
La repressione dei fedeli a Francesco II delle Due Sicilie, le vittime non vennero registrate da nessuna parte. Morti senza onore, senza tombe, senza lapidi, senza ricordo. Morti di nessuno. Terroni.
Nel 1860 era nata l’Italia una monarchia poco democratica, fondata sulla tangente. (Lorenzo Del Boca ottimo giornalista vivente)