Una delle cave tra Treia e Cingoli
La provinciale cingolana allagata
“L’intensa attività estrattiva nel territorio tra Treia e Cingoli ha provocato un vero e proprio dissesto idrogeologico tuttora in corso e l’apertura di nuove cave è una bomba a orologeria pronta a esplodere che solo la Regione può disinnescare”. Questo in sintesi l’appello della sezione maceratese di Italia Nostra, che punta il dito contro l’aggiornamento del Piano provinciale delle attività estrattive (Ppae) dopo l’inchiesta di Cronache Maceratesi (parte 1 – parte 2). La preoccupazione dell’associazione ambientalista nasce soprattutto dalla possibilità che vengano aperte due nuove cave al confine tra Cingoli e Treia: una in località Schito e una a Pian della Castagna. In un territorio dove lo scenario è “da post bombardamento – dice Italia nostra in una nota – le numerose cave presenti, molte delle quali in stato di abbandono, hanno praticamente cancellato il sistema di smaltimento delle acque costruito in secoli di utilizzo accorto e sostenibile di quei territori, in accordo con la stratigrafia dei terreni. I continui allagamenti che si verificano nella sottostante vallata non sono il frutto dei cambiamenti del clima ma la prevedibile conseguenza di un’attività umana ben definita”.
Il terreno a Pian della Castagna, al confine tra Treia e Cingoli
Nel territorio individuato per le nuove cave inoltre ci sono “veri e propri capolavori della storia dell’architettura come le adiacenti villa Valcampana (edificio neoclassico su progetto di Luigi Poletti) e villa Carnevali (edificio liberty di inizio ‘900 , progettato da Cesare Bazzani) e il palazzo delle Cento Finestre (edificio del ‘600, dall’attribuzione incerta), tutte in località Schito di Treia, a poche centinaia di metri dalle cave in fase di valutazione”. Da qui l’appello alla Regione perché disinneschi “una bomba potenzialmente devastante per il territorio – prosegue l’associazione – L’aggiornamento del Ppae sarebbe conforme alle previsioni della programmazione regionale, ma è stato approvato nonostante il parere negativo della Regione. Un assist più o meno voluto che un’amministrazione contraria avrebbe potuto cogliere per bloccare il tutto. Il fatto è che la politica industriale nei nostri territori, pianificata e attuata negli ultimi decenni a tutti i livelli (da quello politico a quelli economico e finanziario), basata esclusivamente su cementificazione e sfruttamento indiscriminato del territorio è completamente fallita. Anche se qualcuno fa ancora finta di non vederlo. Gli effetti sono sotto gli occhi di tutti: un mercato immobiliare in crisi di astinenza con i pusher fuggiti, che stanno fornendo altri clienti perché quelli di una volta non sono più affidabili. Abbiamo un territorio dissanguato, sfigurato da cantieri interrotti e cave abbandonate, incapace purtroppo di offrire ad un numero sempre crescente dei suoi abitanti una prospettiva di vita serena con un lavoro stabile e proficuo”. Secondo Italia Nostra è ora di “liberarsi agevolmente dei vili ricatti basati sullo scambio paesaggio-lavoro che, in occasioni come queste, vengono sempre messi sul tavolo della discussione. La Regione è oggi nelle condizioni di poter porre rimedio a tutto questo. È un suo dovere intervenire sulla questione delle nuove cave in provincia di Macerata, perché le procedure lo prevedono. Sempre per quelle norme, è un suo potere imprimere la necessaria inversione di marcia alla disastrosa gestione del territorio attuata sinora”.
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Io credo che le cave indispensabili per l’edilizia, dovranno essere individuate e sfruttate con criterio. ma chiuderle, non credo si faccia un gran beneficio all’economia della provincia.