di Maurizio Verdenelli
Macerata, già. Anche nel boom dei favolosi anni 70, gli restava attaccata addosso quella fulminante citazione flaianea “E pensare che pure lì c’è gente che vive e lavora!”. Ma si può?! Eppure, rispetto ad ora, Macerata era ancora ‘granne’. Tuttavia, ricordo ad ogni ritorno, che c’era una ‘cosa’ sulla quale l’ironia del grande Ennio non avrebbe mai potuto fare presa: la Maceratese. Era il calcio a dare, nell’immaginario collettivo, un’immagine sensibilmente più alta del capoluogo di provincia marchigiano. Ancor prima di Turchetto e Dugini il cui ‘avvento’ (e poi quello di Pagliari-Morbiducci) era stato preparato da una squadra di giocatori nati in città e (immediati) dintorni: tutti ‘pistacoppi’ sono stati gli ‘eroi’ di questa leggenda che ora l’ultima promozione da record -mai una sconfitta- illumina con i colori (biancorossi, s’intende) del mito. I loro nomi? Pino Brizi, il più grande in assoluto, e i gladiatori Alberto Prenna e Sergio Macellari, ‘il Falco’ prestato dall’atletica leggera al football. Un tris perfetto dai piedi buoni e dal cuore ancora migliore: calciatori e maestri di sport e di vita per i giovani.
Una leggenda, intessuta attorno alla ‘Rata’, che che nasce nel ’58 quando un ragazzino timidissimo ‘prestato’ dalla Robur per far numero nell’allenamento del giovedì, resta alla Maceratese (grazie all’occhio del mister) e diventa a Firenze campione d’Italia appena 10 anni dopo: Brizi! Una lunga, appassionata storia dove i protagonisti, tutti, si muovono e soprattutto si sono mossi ‘per amore, solo per amore’ nello spazio lungo di 75 anni. Anche se la società è ufficialmente nata nel 1922 con quei signori in tuba e berretto militare fra ragazzi in maglietta col simbolo regio. Così fu per il ‘direttore dei giovani’, l’indimenticabile Tonino Seri che pur malato -la morte purtroppo sopraggiunse di lì a poco nel gennaio 2009- una mattina, vestitosi di tutto punto, ordinò al figlio: “Svelto, portami dall’avvocato (Giancarlo Nascimbeni ndr): c’è da rimettere in piedi il settore giovanile allo sfascio!”.
A Firenze, negli anni del boom economico, con Brizi ci andò Prenna: «Valcareggi fece esordire Brizi in prima squadra, io invece in serie A non ho giocato eccetto alcune partite in Coppa Italia» naturalmente con la Fiorentina. «Sono nato e resto biancorosso» dice ‘La Roccia’. «Ho iniziato diciassettenne nel ’57 con una promozione subito in serie D e nel ’61 ero a Firenze, poi a Rimini e Massa Carrara. Sono tornato a casa nel ’65 in tempo per prendere parte al grande sogno svanito per un solo punto. Capisce? Un punticino e la B volò via! Tante stagioni belle ed altre molto meno e l’avv. Nascimbeni a ‘lottare’ da solo. Erano i tempi nei quali cui c’erano soltanto ragazzi maceratesi e della provincia in squadra». Un cruccio? «Un grave infortunio al ginocchio sinistro che mi ha condizionato per sempre.» Calciatore e carrozziere. Perché Alberto, maceratese con la testa sulle spalle, non ha mai dimenticato che ci sarebbe stato poi un ‘dopo’ e che era meglio iniziare dal ‘mentre’. Campione di bravura e modestia: Cincinnato perfetto.
«Per me fu invece tutto per caso». Scusi, Brizi, perché? «Per la partitella del giovedì, la Maceratese, nel ’58, si avvaleva di alcuni ragazzi della Robur e di volta in volta, toccava a tutti noi. Capitò dunque che quel giovedì, il piemontese mister Ottino, avesse visto in me qualche qualità e che da allora lasciai per sempre e dispiacere il campo dei Salesiani. Nel ’61 andai a Firenze e a dieci anni da quella ‘partitella d’allenamento’ allo Stadio dei Pini, divenni campione d’Italia. Sono le occasioni della vita. Ma ora all’Helvia Recina non vado da 2/3 anni». Ha chiuso pure con la Maceratese? «No. Nutro invece ottimi ricordi, tanta gratitudine, le sono debitore». Il ricordo più bello da allenatore? «Il 5.4.1981, Maceratese-Civitanovese. Gol (di testa) vincente di Morbiducci. Record imbattuti d’incasso (68 milioni di lire “tutti già impegnati”, è ancora il nitido ricordo di Nascimbeni) e di presenze -12.000, venne aperta la curva in erba! Un match evento che è nella leggenda.»
«Alla partita con la Ternana (0-0) che inaugurò l’Helvia Recina nel ’64 io giocavo: sulla maglia il numero 7 – dice Sergio Macellari, 76 anni, fisico perfetto, un’ombra ancora malinconica negli occhi – Ho giocato per dieci anni: dal ’55 fino al ’65. Nel 63’ conquistammo la promozione in 4. Serie con Pietro Castignani. E pensare che al pallone non ci pensavo proprio. Ero un atleta della Sef: lungo, alto 11° hs, giavellotto, disco. I miei insegnanti? Il civitanovese Sandro Melonaro e i proff. Maceratini (Istituto Agrario) e Farabollini (Liceo Classico). Poi il compianto don Serafino Stramucci mi volle iscrivere ad un torneo notturno di calcio, a 16 anni. Bastò poco per capire che ero uno dal gol facile. Ero uno scattista: decisivi, ne ho segnati 15/16, e molti altri ne ho fatti fare con profondi assist. Il presidente sen. Elio Ballesi stravedeva per me. Durante il servizio militare, per tenermi in allenamento e ‘dribblare’ il comandante del Distretto, giocai nel ’61 con il nickname (allora non si chiamava così…) di Martini a Porto San Giorgio».
Che ricordi, Falco? «Il nome me lo mise un mio tifoso speciale: Ennio Di Marzio, usciere dell’Itc di cui ero stato studente. Lo andavo a trovare spesso, gli faceva piacere. Con me veniva ‘Peppe’ Rega, il capitano innamorato folle di Carla, studentessa dell’ultimo anno, che avrebbe di lì a poco sposato. Erano i favolosi anni 60: tutta la città stava dietro alla Maceratese. Pensi che un venerdì di neve, i tifosi per permetterci di giocare la domenica, ripulirono il rettangolo del campo dei Pini! La domenica Macerata regolava i suoi ritmi e i suoi orari in base alla partita in casa della squadra: tutti gli uomini dalle 14 in poi allo stadio, mogli e figli al cinema. Le fidanzate aspettavano invece la conclusione dei ’90 per andare assieme al secondo spettacolo all’Italia, Cairoli, al Corso, allo Sferisterio etc.».
I nomi che ricorda di più? «Castignani e mister Vincenzo Monaldi, portorecanatese, gran preparatore. Tra i dirigenti il sen. Ballesi, Andreani, Carlo Migliorelli e soprattutto l’avvocato Giancarlo Nascimbeni cui la Maceratese deve tantissimo. Tra i giocatori naturalmente il riservatissimo Pino Brizi, Alberto Prenna anche Orlandoni e il ‘tecnico’ Mazzanti. Senta questa. Giocavamo con l’Elpidiense ed in porta c’era Pierelli, biancorosso fino alla stagione precedente. A Mazzanti dissi: ‘Lui ti conosce, tirala da un’altra parte stavolta’. Lui neppure mi ascoltò. La palla venne regolarmente respinta da Pierelli ed io, che mi ero appostato, sapendo che sarebbe finita così, riuscii a ribattere in rete».
Per Macellari, il gioco più bello del mondo finisce il 10 gennaio 1966 con l’assunzione all’Inps. «’Per lei il calcio finisce oggi’ mi disse secco dottor Betti da Camerino. In ufficio si lavora anche di pomeriggio. Avevo solo 27 anni. Non potevo dunque più allenarmi. Divenni poi un allenatore del settore giovanile, e lo sono stato fino a 15 anni fa lasciando come diesse dell’Urbisgalia. Al Santa Croce scoprii Siroti (alla juve) e Lattanzi (al Milan), Alessandro Porro (a Foggia, alla corte di Zeman), Moreno Morbiducci, Giammario Cappelletti, vincendo Trofeo Marche, trofeo Cleti ed anche una ‘panchina d’argento’ della Lega marchigiana nell’81, presidente Lorenzo Braccialarghe». Niente male, ‘ragionier’ Falco… e fuori dallo stadio? «Amo svisceratamente Giacomo Leopardi anche se il giocatore da lui cantato era in realtà di pallone al bracciale…Poi la musica, con Joan Baez in prima fila». La lirica? «Eccome! Con Giochino Rossini sopra a tutti e ‘Il Barbiere di Siviglia’ come opera preferita. Naturalmente sono andato anche quest’anno in Arena anche se Figaro non era in cartellone…Mi può dire se Micheli ha qualche idea in proposito per il 2016? Figaro qua, Figaro là: un po’ com’ero io svariando sull’intera fascia dell’attacco biancorosso».
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Un bel tuffo nel passato,Maurizio. Grazie. scattolini
Sergio Macellari lo ricordo benissimo, in quanto era a Ragioneria con me. Lo chiamavamo “baffo zozzo”, per i baffetti curati, ad onor del labbro. All’epoca nessuno portava i baffi, o la barba, oppure i capelli lunghi, pena il rimprovero del preside Joannin. Io facevo cultura fisica e a volte Sergio sfidava me ed altri a fare ciò che faceva lui: con uno scatto di reni riuscire a mettersi a sedere sul termosifone del corridoio di Ragioneria, che da terra arrivava ad almeno 1 metro e 65 di altezza. Egli ci riusciva sempre, noi non ci provavamo neanche. Era un vero atleta.
Forse Sergio ricorderà Tullio Moneta, di due anni avanti a noi, all’epoca promessa del lancio del disco in atletica leggera. Forse ricorderà la “leggenda” che circolava per Ragioneria e per Macerata sul Moneta, che cacciato dall’aula dal preside Joannin con lo storico “Moneta, prenda la porta e se ne vada”, Tullio sfilò la porta dell’aula e se la portò via… Non avvenne così, ma quel fatto inventato è stato ricordato fino a qualche anno fa tra gli studenti dell’epoca.
Non vedo Sergio da anni. Ma leggere su di lui a su altri che ricordo, come Gaetano Bruno, mi ha fatto piacere, poiché per molti di noi quelli furono anni gli spensierati di animi semplici senza una lira in tasca.