di Mario Monachesi
Raccolta di tributi in ordine sparso ai grandi personaggi e ai fatti della città (terza puntata, leggi la seconda e la prima):
“L’arte di Ivo Pannaggi, pittore e architetto di spirito ultramoderno e internazionale, si distingue per un ardore suo proprio, intenso ma contenuto entro i limiti di una serenità olimpica: classicità tipica dell’arte italiana derivante dal calore del sole italiano e dalla luce della nostra gloriosa tradizione”. (Anton Giulio Bragaglia, 1923);
“Vi esprimiamo la nostra gratitudine in nome del Visvabhaarati per il vostro cordiale giudizio sulla civiltà indiana, giunto a noi per il tramite del Professor Formichi. Siamo anche riconoscenti per l’invio del Professor Giuseppe Tucci dell’Università di Roma, col compito di diffondere fra i nostri studenti la conoscenza della storia e della cultura italiana e di lavorare con noi in vari campi degli studi orientali”. (Rabiandronath Tagore, poeta indiano Presidente Università Visvabhaarati, telegramma al Duce, L’Azione fascista n. 51, 1925);
“Tra i nomi illustri di cui va gloriosa la piccola “Atene delle Marche”, uno piace a noi ricordare in occasione della visita che a Macerata faranno gli studenti universitari cattolici, che ivi terranno il loro XIV Congresso Nazionale. Questo nome è quello di un Gesuita, Matteo Ricci (1552-1610), il primo missionario a cui fosse dato poi piede stabile nel “regno tanto serrato”, come egli lo chiamava, del Celeste Impero, compiendo così il voto con cui la grande anima apostolica di San Francesco Saverio si spense, avida di spirituali conquiste…” (…) “Padre Matteo Ricci riusciva nel settembre del 1583 a iniziare la grande opera, che ad altri generosi era fin dal principio fallita”. (,,,) “Padre Matteo Ricci porta in Cina il genio umanistico dell’Italia verso la fine del sec. XVI, sul cui scorcio la ricerca scientifica prende adagio adagio il sopravvento sulla produzione puramente letteraria”. (…) “Ardito disegno del P. Ricci fu quello di portare la sua parola fino a Pechino…”. (…)Avventure di ogni genere intralciarono l’audace impresa, ma alla fine, nel 1601, riuscì felicemente. Conquistatasi la protezione della Corte Imperiale, l’opera letteraria e scientifica del missionario cominciò a dare i suoi frutti apostolici: la Chiesa cinese nacque allora”. (G. Battista Montini, futuro Paolo VI, La Sapienza, 1926);
“I miei cari e geniali amici Tano e Monachesi hanno nella mostra “Sotto i Trenta” di Macerata manifestato una volta di più la loro splendida genialità che va già suscitando nell’intelligentissima città di Macerata energie novatrici atte ad arricchire la poesia e le arti dell’Impero Mussoliniano.Oltre le accoglienze calde delle Autorità tutte dinamizzate dal più autentico spirito fascista rimane nei miei nervi la gioia indimenticabile che ho provato nell’ascoltare un’aeropoesia virile e spaziale declamata dal suo autore il vibrante ed energetico quindicenne Benedetti”. (Filippo Tommaso Marinetti, L’Azione Fascista n. 15, 1938);
A Scipione (Gino Bonichi) “Credette nell’arte come a un estasi. Era lettore fanatico della Apocalisse, dell’Inno a Caino di Ungaretti nell’originale versione francese, dei Canti dell’Innocenza e dell’Esperienza, scritti profetici di Blake”. (Leonardo Sinisgalli da “Ricordo di Scipione” sul mensile “Meridiano di Roma”, 1938);
ad Alberto Peschi: “Indiscutibile energia di creazione artistica”. (Filippo Tommaso Marinetti, da un articolo del 1942);
ad Enrico Sbriccoli, non ancora Jimmy Fontana: “Tu farai una grande carriera”. (Luciano Tajoli, teatro Lauro Rossi, 1956); di Secondo Moretti…titolare del ristorante Da Secondo:“Un vero artista della cucina”. (Luciano Tajoli, 1956);
“Ogni volta che si viene a Macerata è difficile non rievocare Gino Bonichi, è difficile che il colore e la struttura di questa città non facciano pensare alla breve e dolorosa esistenza di colui che in arte lasciò una viva traccia di se col nome saporoso ed aitante di Scipione. Ci si convince infatti che nessun uomo nasce a caso in questa o in quella località e che, ad ogni modo, ognuno porterà seco per tutta la vita come un sortilegio – anche se sarà emigrato dopo l’infanzia in città lontane, in contrade del tutto diverse – l’indelebile marchio del luogo nativo, l’odore dell’aria che avrà respirato da ragazzo, cioè un odore a cui contribuiscono in egual misura il pulviscolo e l’umidore delle pietre, delle strade, degli orti, dei vicoli e dei fondachi che vedono passare rapidissimo il giallo compasso del sole. Scura al pari di una certosa sulla cima di un colle; gremita di chiese secentesche a pietra viva, a mattoni aggettati; piena di misticismo, di motivi elegiaci, di religiosi stupori di donnesche sensualità, la culla di Macerata s’addiceva al corpo gigantesco e fanciullesco di Scipione, al magistrale pittore che doveva spegnersi come un cero appena ventinovenne, nel sanatorio di Arco. In questa città così ruvida e amabile, camminando per queste strade anguste e disagevoli come sentieri di ronda, ci si può rendere conto dell’infanzia di Scipione e degli istinti che lo avrebbero condotto ai suoi capricciosi e filiformi disegni, alle sue pitture impregnate di rossi sanguigni, disfatti come lune da eclissi. Macerata in certi temporaleschi tramonti d’estate, ha gli stessi incendi purpurei delle tavole di Bonichi. E ancor oggi – a circa 25 anni dalla sua morte – Scipione è più presente che mai. Davanti alla Loggia dei Mercanti, nei coni d’ombra della bella piazza San Giovanni, lungo le ripide scalinate di Piaggia della Torre, ci si può immaginare d’incontrare il suo cardinale decano, i suoi angeli, le sue cortigiane, le sue donne”. (Dario Zanasi, Il Resto del Carlino, 1957);
“Da qualche anno li seguo con molta simpatia. Per me Tulli e Peschi sono fra i più interessanti astrattisti italiani di oggi. E poi sono così giovani! E vi par poco? Sognare. Sperare. Vorrei io essere nei loro panni!”. (Osvaldo Licini, catalogo mostra “Il Cavallino” Venezia, 1957);
“Mio caro Monachesi, l’annunzio di questa esposizione comprendente l’arco di quarant’anni della tua attività artistica mi riempie il cuore di gioia nella certezza che seguirà nel tuo cammino una nuova importante tappa con una sempre più valida testimonianza di una fede sincera nei compiti e nei principi che ti sei imposto fino dal giorno della partenza illuminato dalla lezione di Umberto Boccioni, via da lui iniziata e lasciata aperta sulla quale risplendeva un ambizioso miraggio di grandezza attraverso le infinite difficoltà che trova a penetrare nella massa conservatrice una parola nuova, e per cui alla distanza di molti anni, e nella pur diversa attività, ha stabilito tra noi un vincolo indissolubile di colleganza. Il futurismo volle portare alla luce del sole quello che in un paese di grande tradizione artistica nasce e si sviluppa nell’oscurità di una catacomba, quel movimento che è legge dell’universo e d’ogni cosa umana e che i cultori dell’arte, non rassegnandosi alla legge che li governa, pretenderebbero di fermare per non tradire il proprio ideale di bellezza; amatori, fiancheggiatori, illustratori, utilissimi per una sempre maggiore conoscenza e che potranno altresì fare opera di sicura piacevolezza ma che non fanno la storia; la storia è di quegli esploratori che sanno che a tempo e comodo potranno uscire dalla loro catacomba per lasciare il posto alla nuova squadra. Ciò in qualità di superstite di quel momento che questo matusalemme con grandissima allegrezza ti invia il proprio compiacimento e il più affettuoso augurio tuo Aldo Palazzeschi”. (Aldo Palazzeschi, catalogo mostra “Monachesi domani” galleria Canova Roma, 1971);
“Le Marche vantano un secondo ed un terzo futurismo di notevole livello con uomini illuminati che hanno tenuto alto anche il nome di Macerata. Tra gli altri ricordo Scipione, Bartolini, Licini, Fazzini, Monachesi, Tamburini, Ciarrocchi”. (Remo Brindisi, Il Resto del Carlino inserto Marche, 1982);
“L’arrivo in Cina del Padre Matteo Ricci rappresentò il coronamento del sogno che aveva animato il suo confratello, Francesco Saverio… Quando questi spirò, senza veder realizzato il suo desiderio, era già nato a Macerata, da meno di due mesi, il futuro missionario che, ricalcando le sue orme, sarebbe entrato in Cina guadagnandosi le simpatie del popolo cinese, così da occupare poi un posto nella storia della sua cultura”. (S.S. Giovanni Paolo II, discorso all’Università Gregoriana nel 400° anniversario dell’arrivo in Cina di Matteo Ricci, 1982);
“Trubbiani mi precede scendendo le scale che portano al seminterrato. Ogni tanto preme un interruttore, e le rampe si illuminano per brevi tratti di una luce al neon da cella frigorifera, da sotterraneo di ospedale. Visto così da dietro, con quei capelli crespi a forma di vela, magro, un po’ curvo, chi potrebbe essere? Un secondino che mi porta in cella? Un prete in borghese che vuole mostrarmi una cripta? Ogni volta che mi capita di visitare lo studio di un artista soffro moltissimo. Non so mai cosa dire. Non so nemmeno bene se quello che vedo mi piace o no; e se mi piace per quali ragioni”. (…) “Ma questa volta mi sembra di non potermela cavare così, prima di tutto perché Trubbiani è bravo sul serio, poi perché mi è simpatico; e perché è un vero artista. Dell’artista ha l’aria obliqua, anomala, spaesata”. (…) “-Eccoci-, dice Trubbiani. E siamo nel suo studio: un garagione senza fine, con una luce da acquario”. (…) “La prima cosa che vedo alla mia destra, in terra, sono dei topi grossi come gatti, un corteo di topi enormi, che spingono, si accavallano, si inseguono e si trascinano l’un l’altro”. (…) “Ne conto settanta, poi mi sperdo con orrore a guardarne un gruppo che sta invadendo una culla, dove forse c’era un bambino che non c’è più. E la topesca processione si arrampica su per un bidone dell’immondizia che si rivela zeppo di altri topi”. (…) “Mi guardo attorno; le decine e decine di cesoie, arpioni, ruote dentate, mannaie, catene forgiate in acciaio, zinco, alluminio, bronzo, ferro, e destinate a imprigionare, colpire, agganciare, straziare, tenere gole di anitre, vibratili orecchie di coniglio, frementi pancini di pipistrelli. E penso a Trebbiani, che nel suo sotterraneo, da anni ed anni rappresenta instancabile nelle materie più gelide questo impressionante catalogo di supplizi, quasi volesse – o piuttosto dovesse – fornirci un quadro dettagliato del più pauroso degli inferni…”. (Federico Fellini, da “Trebbiani – Visualizzazioni grafiche per il film “E la nave va”, ediz. Il Labirinto, 1983);
“Collaborare? Lo farei senz’altro, anche gratis. Questo perché mi piace lo Sferisterio, mi piacciono i maceratesi. Eppoi Calise, un “burbero benefico”, un grande onest’uomo davvero”. (Raffaele Curi, Il Messaggero, 1983);
“Silvio Craia ha lavorato bene, e ben meritato, con vera umile fantasia; e poi a seguitato a dipingere, e a far affiorare, dalla pura trasparenza, dal distendersi del supporto, una frase incessante di invenzioni compositive di puro colore, di prorompenti squarci, di umori freschi. Possiamo, dobbiamo, ora, e finalmente, ammirare l’opera timida e veemente di Silvio Craia, pittore nel mondo della pensosa e severa fantasia: spettrali recuperi, simulazione di collages e di spazi timbrici, travaso di bagliori, di intrichi, di esplosioni, di silenzi”. (Emilio Villa, 1986);
Nella partitura del Prometeo appunta: “Arco mobile a la Stefano Scodanibbio”. (Luigi Nono, seconda metà anni ’80);
“Matteo Ricci, umanista, scienziato, uomo di gran fede e dalla memoria prodigiosa, ma soprattutto un uomo che quando gli altri europei andavano per il mondo per conquistarlo, il più in fretta possibile, con tutta la violenza di cui erano capaci, si imbarcò per la sua stupenda avventura animato da un grande desiderio di conoscenza, da un insolito rispetto per le altrui storie e le altrui culture e si fece via via cinese tra i cinesi, che lo accolsero, lo stimarono, lo onorarono, lo chiamarono “Li Madou”. E fu lui, ancor più di Marco Polo, ad aprire la porta tra Occidente ed Oriente, contribuendo alla comprensione degli uomini”. (Giuliana Berlinguer, Panorama n. 1150, 1988);
“Stefano Scodanibbio is amazing. I haven’t heard better double bass playing than Scodanibbio’s. I was just amazed. And I think everyone who heard him was amazed. He is really extraordinary. His performance was absolutely magic”. (Stefano Scodanibbio è straordinario. Non ho mai sentito suonare il contrabbasso come lo suona lui. Sono rimasto stupefatto. Penso che chiunque lo abbia ascoltato sia rimasto stupefatto. Lui è veramente straordinario e i suoi concerti assolutamente magici). (John Cage, da una delle sue ultime interviste, 1991 -1992);
“Ho fatto quattro film con Ferretti, per me fra gli scenografi-registi è il più grande”. (Federico Fellini, Il Messaggero, 1990);
A Guido Garufi:“Guido è bravo”. (Mario Luzi, ospite teatro Lauro Rossi, 1992);
“Ho voluto brevemente sostare davanti al Vostro Palazzo Comunale per rendere omaggio alla decisione con cui, quarant’anni or sono, la Municipalità cittadina proclamava Macerata “Civitas Mariae”. Che cosa vollero significare con quel gesto gli Amministratori comunali di allora? Certamente essi vollero porre la città sotto la protezione della Madre di Dio. Civitas Mariae è, dunque, un titolo impegnativo, un titolo che una Comunità civile deve, in un certo senso, “meritarsi” e ogni giorno confermare col suo concreto stile di vita. Uno stile che riflette in qualche modo quello di Maria. Quali sono le caratteristiche di un simile stile di vita? Per rispondere sceglierei tre parole: sobrietà, accoglienza, servizio. Sobrietà come moderazione, rinuncia agli sprechi, rifiuto della logica del consumismo, risparmio in favore delle necessità più urgenti, sia in casa propria, sia nelle comunità e nelle nazioni più bisognose. Accoglienza, che non vuol dire solo apertura verso gli altri, ma anche responsabilità nei confronti di chi è nel bisogno, mediante un’armonica cooperazione tra pubblico e privato, tra istituzioni e volontariato. Infine servizio, che è atteggiamento evangelico per eccellenza, derivante direttamente dal precetto di amare il prossimo come se stessi. Ecco, carissimi, l’augurio che vi lascio. Vivete così, e Maria Santissima sarà con voi, e vi proteggerà sempre”.(Giovanni Paolo II, discorso in piazza della Libertà in occasione della sua visita a Macerata, 19 giugno 1993);
“Ho conosciuto Macerata nel 1977 quando veni con Phil Woods durante i bei concerti organizzati da Paolo Piangiarelli”. (…) “A Macerata come interlocutore avevo Giovanni Spalletti, con lui riuscivo a parlare di musica e con Pietrosi ed un altro piccolo gruppo di affezionati”. (Mike Melillo, Il Messaggero, 1993);
“Portando il peso del suo ricordo, attraversò molti paesi; arrivò sulle sponde di un fiume (il Potenza, ndr) il cui guado era molto rischioso, a causa della violenza delle acque, e anche perché sulla riva c’èra una grande distesa di limo. Una vecchia barca, capovolta e in parte inabissata, faceva affiorare la prua tra i giunchi. Giuliano, esaminandola, scoprì un paio di remi; gli venne così in mente di impiegare la sua esistenza al servizio degli altri”.(…) “Poiché il varco era conosciuto, i viandanti si presentarono”. (…)“Una notte, mentre dormiva, credette di udire qualcuno che lo chiamava. Tese l’orecchio ma non distinse altro che il mugghiare dei flutti. Ma la voce proseguì: “Giuliano!”. Veniva dall’altra sponda, e ciò gli parve straordinario, data la vastità del fiume. Per la terza volta chiamarono: “Giuliano!”. E quella voce sonora aveva l’intonazione di una campana da chiesa. Accesa la lanterna, Giuliano uscì dalla baracca. Un furioso uragano riempiva la notte”.(…) “Dopo un istante di esitazione, Giuliano sciolse gli ormeggi. L’acqua divenne subito tranquilla, la barca vi scivolò sopra e raggiunse l’altra riva, dove un uomo era in attesa. Era avvolto di una tela in brandelli, con il volto simile a una maschera di gesso e due occhi più rossi di tizzoni. Avvicinando a costui la lanterna, Giuliano si accorse che un’orrenda lebbra lo ricopriva; eppure, nel suo contegno, c’era una sorta di regale maestà”. (…) “Dopo che furono arrivati nel capanno, Giuliano chiuse la porta; lo trovò seduto sullo sgabello”.(…) “Il lebbroso gemeva”. (…) “Nelle ossa ho una specie di gelo! Vieni accanto a me! E Giuliano scostando la tela, si sdraiò sulle foglie morte, accanto a lui, fianco a fianco. Il lebbroso girò la testa. Spogliati, perché possa avvertire il calore del tuo corpo! Giuliano si tolse i vestiti; nudo come il giorno della sua nascita, si rimise nel letto; sentiva contro la sua coscia la pelle del lebbroso, più fredda di quella di un serpente, ruvida come una lima”. (…) “Allora il lebbroso lo strinse; e i suoi occhi assunsero di colpo una luce stellare; i capelli si allungarono come raggi di sole; il soffio delle sue narici aveva la dolcezza delle rose; una nube di incenso si alzò dal focolare, il fiume cantava. Intanto un’abbondanza di delizie, una gioia sovrumana scendeva come un’inondazione nell’anima di Giuliano in estasi; e colui le cui braccia continuavano a stringerlo cresceva, cresceva, raggiungendo con la testa e con i piedi i due estremi della capanna. Il tetto volò via, il firmamento si spiegò; e Giuliano ascese verso gli spazi azzurri, faccia a faccia con Nostro Signore Gesù Cristo, che lo portava con sé in cielo”. (Gustave Flaubert, “La leggenda di San Giuliano” da Tre racconti, tascabili economici Newton, 1994)
“Ho una grande ammirazione per l’arte di Mauro Cicaré, mi piacciono i suoi colori, i suoi scenari, le sue macchine, le facce che materializza, le donne che il destino fa incrociare nelle sue strisce. Mi piacciono le sue storie masticate dalla vita, i suoi sogni fumettistici che sono ponti che portano alla fonte dei sentimenti. Mi piace anche pensare che Cicaré sia un mago o meglio un illusionista che sta inventando, con pazienza certosina, un mondo parallelo al nostro, un universo in cui ci potremo infilare abbandonando questa contemporaneità che sempre più spesso fa rima con volgarità. Sono benedizioni le immagini di Cicaré, sono benedizioni pittoriche che sciolgono la vista e allargano gli orizzonti, sono benedizioni poetiche che arrivano ai cervelli inquinati come boccate d’ossigeno. Mi piace perdermi nei riverberi della letteratura disegnata di Mauro Cicaré e spero che tutto questo piaccia anche a voi”.
(Vincenzo Mollica, catalogo mostra Sala della Provincia di Macerata, 1996);
“Noi, Kangxi, Imperatore Cinese della nuova Dinastia Ching, inviamo a Voi i nostri Ambasciatori plenipotenziari i quali raggiungeranno la Vostra Sede di Roma dopo aver attraversato l’impervia e sconfinata Via della seta. Essi vengono per consegnare direttamente nelle Vostre mani l’editto che Noi andiamo a promulgare: con esso, noi consentiamo ai Vostri Missionari di costruire Chiese, nelle quali insieme potremo adorare il Signore Celeste che ci venne predicato dal Venerabile Li Matou, sepolto tra i nostri Antenati. Sommo Pontefice, mandateci ancora uomini come Lui, disponibili al dialogo tra le nostre civiltà millenarie affinché l’Oriente e l’Occidente riprendano insieme il cammino verso la cosmica Armonia della pace, per la felicità di tutti i popoli della terra. Dalla Città Proibita in Pechino. Kangxi, Imperatore”. (Alessandro Agnetti, Li Matou nel regno del drago, Macerata, 1996).
“Dante Ferretti è un genio, dovrebbe vincere un Oscar ogni anno”. (Nicole Kidman, L’Espresso 17 0ttobre 2002);
“Il “Satyricon” di Fellini è stato un riferimento costante, anche se nel suo caso si trattava di un mondo condannato nel buio di un paganesimo pre-cristiano. Grazie alle meravigliose scenografie che ha realizzato Dante Ferretti ho cercato di suggerire l’idea di una fantascienza realistica ambientata nel passato”. (Martin Scorsese, film “Gangs of New York”, La Repubblica, 2002);
“Mafai amava l’esuberanza altrui. E Scipione era un campione d’esuberanza: alto e grande, biondo, muscoloso, di molta iniziativa, diceva Mario. Nei suoi autoritratti, impossibile non cogliere il volto pieno, la sagoma lunare, di putto ormai adulto, le guance rotonde. Quest’uomo tutto fisicità, dotato di una simpatia contagiosa, sputava sangue. La malattia mordeva con asprezza il suo carattere aperto. Aveva le guance rubizze in eccesso e quel colore insospettiva in tempi nei quali della tubercolosi si parlava con altrettanto terrore che dell’Aids oggi. Si sapeva che il male del secolo poteva minare le tempre fisiche più forti. Così fu per Scipione, l’atleta con il colletto della camicia sempre sbottonato, o il largo nodo della cravatta allentato – tanto la sua forza sembrava non poter essere contenuta dentro i panni. Era nato il 28 febbraio 1904 a Macerata, ma Roma è stata la sua città. La sua vita ebbe spazio solo per una quarantina di quadri. Ebbe anche spazio per lasciare dietro di se una memoria leggendaria che da un gruppo di amici passò a una intera cultura”. (Enzo Siciliano, da “Il risveglio della bionda sirena”, Mondatori, 2004);
“Villa è morto ottantanovenne nel gennaio 2003. La signora Marinucci era morta un anno prima. Gli ultimi mesi della sua vita, di Villa era rimasta solo la corteccia. Quei primi mesi del 1996 la loro casa trasudava una situazione economica che doveva essere tutto fuorché lucente. Non che fosse smessa, era stata come raschiata. Un vulcano spento, e solo restava la cenere. Vi erano radi persino i segni e i libri dello stesso Villa, come gliene fosse importato niente di preservarli. Ricordo poggiata per terra, come fosse un oggetto qualunque e perciò adeguatamente coperta di polvere, una sua “Idrologia”, una di quelle sfere in plexiglas che ruotavano a far muovere l’acqua che vi era contenuta in modo da ridefinire ogni volta il testo che era stato inciso sul plexiglas. (Villa aveva inventato le “Idrologie” nel 1968 e le aveva realizzate con il concorso di Silvio Craia e Giorgio Cegna. Quella “Idrologia” che avevo visto in casa di Villa, alla sua morte l’ho trovata e comprata da un libraio antiquario e oggi fa parte della mia collezione). Chiesi alla signora Marinucci se avessero da vendermi una delle 120 copie di Green, il libro a metà strada tra la poesia visiva e il multiplo d’arte che Nuova Foglio di Macerata aveva edito nel 1971, un libro che cercavo spasmodicamente perché lo giudicavo uno dei libri più belli dell’avanguardia italiana”. (Giampiero Mughini, “Che belle le ragazze di via Margutta”, Mondadori, 2004);
Riferito all’opera poetica di Remo Pagnanelli…“Poesie difficili e bellissime che spero di onorare al meglio”. (Arnoldo Foà, prima di leggerle al teatro Lauro Rossi, 2004); “Matteo Ricci nacque il 6 ottobre 1552 a Macerata, una città dello Stato Pontificio, situata alla sommità di un colle tra le valli parallele dei fiumi Potenza e Chienti, che contava poco meno di 13000 abitanti. Il padre, Giovanni Battista Ricci, che esercitava la professione di speziale, era stato membro delle magistrature civiche e avrebbe fatto parte nel 1596 del Consiglio di credenza della città, a cui erano chiamati a partecipare i notabili cittadini. I Ricci appartenevano da secoli alla piccola nobiltà maceratese e il loro stemma gentilizio era composto da un riccio color turchino in campo rosso porpora. Alla fine del Seicento sarebbero stati insigniti del titolo di marchesi di Castel Vecchio. La madre, anch’essa di famiglia nobile, si chiamava Giovanna Angiolelli. Matteo era il primogenito di una numerosa famiglia che contava, oltre a lui, quattro sorelle e otto fratelli, uno dei quali, Antonio Maria, destinato a diventare canonico di Macerata e un altro, Orazio, a ricoprire incarichi di rilievo nel governo della città. Affidato alle cure della nonna Laria, studiò sotto la guida del sacerdote senese Niccolò Bencivegni fino all’età di sette anni, quando il religioso lasciò l’incarico di tutore per entrare nella Compagnia di Gesù, uno dei più importanti ordini nati nell’ambito della Controriforma. Per proseguire gli studi Matteo frequentò il nuovo collegio gesuita aperto in città nel 1561, dove, stando a quanto racconta il suo primo biografo, Sabatino de Ursis, si distinse come uno dei migliori allievi e manifestò una precoce vocazione religiosa”. (Michela Fontana, “Matteo Ricci-Un gesuita alla corte dei Ming”, Mondatori, 2005);
“Qual è il vero nome di Dio in cinese? La domanda è insidiosa. La Cina è la più antica civiltà del mondo eppure non è mai stata conquistata dal monoteismo”. (…) “E’ il dilemma che nel 1607 viene sciolto dal gesuita italiano Matteo Ricci: dopo aver scartato altri possibili nomi il Dio cristiano per i cinesi si chiamerà Tian Zhu, “Signore del Cielo”. A chiarire chi sia questo essere supremo è consacrata l’immane fatica linguistica, filosofica e politica che Ricci porta a compimento in quell’anno.E’ il catechismo cattolico spiegato all’Impero di Mezzo: non è un testo tradotto, bensì è inventato appositamente per i lettori cinesi, è rielaborato usando valori e concetti locali, nel disperato tentativo di agevolare una evangelizzazione che fino a quel momento era stata un fiasco”. (…) “Personaggio unico nella storia dei rapporti fra l’Europa e la Cina, Matteo Ricci è l’anti Marco Polo, in senso letterale. Il mercante veneziano alla fine del Duecento aveva raccontato il mitico Catai del Kublai Khan agli increduli e sbalorditi lettori europei; il maceratese Ricci invece affronta tre secoli dopo la sfida inversa, tenta di accreditare l’Occidente cristiano come una civiltà degna di rispetto da parte di una Cina orgogliosa della propria superiorità. A differenza di Marco Polo, che ha conosciuto solo la dinastia mongola e non ha mai imparato il cinese, il dotto sacerdote gesuita si immerge nello studio della lingua e dei costumi degli Han, l’etnìa maggioritaria del paese. E a differenza dei francescani e domenicani che lo hanno preceduto , Ricci è il meno eurocentrico e “colonialista” di tutti i missionari cattolici. Si cambia il nome e diventa Li Madou, più tardi i cinesi lo definiranno Xitai, il maestro dell’Occidente”.
(Federico Rampini, La Repubblica, 2006);
Martin Scorsese. Il regista ha più volte lavorato con Dante Ferretti apprezzandone le doti di scenografo
“La storia del cinema mondiale del XX e XXI secolo può essere riassunta in due parole, in un nome ed un cognome: Dante Ferretti”. (Nigel Andrews, Financial Times, 2006); “Lavorare con Dante Ferretti ispira e diverte. La passione si estende al film. Diventa contagiosa. La sua grande attenzione al dettaglio, la sua naturale disposizione a vedere miracoli dove altri vedono spazi vuoti, la sua comprensione di ciò che è unico e magico nel cinema lo rendono un grande collaboratore di qualunque regista. Forse quello che più condivido con Dante è un forte senso di scoperta, la sua sensazione che mondi sconosciuti debbano ancora venir scoperti attraverso il cinema”. (Martin Scorsese, Il Corriere Adriatico, 2006);
“Fummo accolti all’ingresso (Sferisterio, ndr) dal Sindaco Cingolati, un gran signore…”.(Donna Assunta Almirante, ricordando il suo arrivo all’Arena con il marito Giorgio, Il Resto del Carlino, 2006);
“Alla Maceratese ho trascorso quattro anni, tre in serie C2 e uno in serie D, e ho ricordi fantastici, in particolare dell’anno della vittoria del campionato di D, con Giovanni Pagliari in panchina. Non dimenticherò mai la vittoria contro il Camerino nell’ultima giornata di campionato. In città ho molti amici che ogni tanto vengo a trovare e mi sento spesso anche con l’ex presidente della Maceratese Maurizio Mosca”. (Stefano Colantuono, Il Resto del Carlino, 2006);
“Auguro a monsignor Claudio Giuliodori fervidi auspici per la sua missione”. (Giorgio Napolitano, Il Resto del Carlino, 2007);
“Maceratesi, io vi dico che a un vescovo così voi potete chiedere qualsiasi cosa. Don Claudio (Giuliodori, ndr) è un uomo riservato e quasi timido, ma attento alla persona che ha davanti e premuroso di capirla e di aiutarla”. (Luigi Accattoli, Il Messaggero, 2007);
“Io ho una speciale ammirazione, un’empatia con Macerata, con le Marche. Con Macerata rivedo uno degli amici miei più cari, Vladimiro Tulli che è stato alla fine degli anni ’40 uno degli ultimi futuristi italiani, dove l’artista faceva parte del gruppo “Boccioni”, quel gruppo che qui a Macerata ha dato in un certo senso l’avvio al futurismo”. (Giampiero Muggini, Marche guida n. 7, 2007);
“Ferretti viene da una tradizione che gli permette di fondere una grande immaginazione con l’attenzione per i dettagli d’epoca”. (Martin Scorsese, Punto a capo n. 2, 2008); “Amo le scenografie di Ferretti, mi sono sempre piaciute fin dai tempi dei film di Fellini”. (Tim Burton, Punto a capo n. 2, 2008);
Per la morte di Carlo Gargioni…“E’ un grande dolore. Ora i ricordi si sovrappongono. Ripenso a quando facevamo jazz di nascosto dalla mia agenzia, alle mangiate di pesce dalle vostre parti e grazie a lui ho conosciuto il mio compagno dal quale ho avuto un figlio”. (Rosanna Casale, Il Resto del Carlino, 2008);
“A Pechino ho scoperto l’importanza di Padre Matteo Ricci, considerato un personaggio dai tratti mitici. Parlando con gli studenti, con orgoglio e sorpresa, mi sono reso conto che loro ritengono più importante questa figura che Marco Polo”. (Giovanni Allevi, Il Resto del Carlino, 2009);
A Sante Monachesi: “Indocile alunno di Boccioni e umile maestro dell’assoluto”.(Herman Seger, Il Resto del Carlino, 2010);
“Quando Padre MatteoRicci muore, all’età di 58 anni, nel maggio del 1610, trionfa “sui suoi nemici persino nella morte”. Wanli concede l’onore del patrocinio imperiale alle sue esequie, a cui partecipano i mandarini Xu Guangqi e Li Zhiao. Matteo Ricci fu il primo ma non l’ultimo dei gesuiti a trovare sepoltura in terra cinese”.
(Paolo Mieli, Il Corriere della Sera, 2012);
“Sono stato a Macerata alcuni anni fa per salutare Jimmy Fontana”. (Renzo Arbore, Il Corriere Adriatico, 2012);
“Salutami tutti, un grande abbraccio a ognuno. Ho trovato tanta fede genuina a Macerata, tanti modelli di santità popolare: Luigino Rocchi, le mamme di don Domenico Foglia e don Fernando Morresi…”. (Ersilio Tonini, Emmaus n. 30, 2013);
“Macerata è bellissima, una cittadina ricca di storia, con un centro piacevole, ottimi ristoranti. Un amico ce l’avevo, purtroppo Gian Paolo Proietti (più conosciuto come Micio) è scomparso alcuni anni fa. Lui era un dirigente della Voce del Padrone, la casa discografica per la quale ho lavorato. Lui se ne andò per fare l’impresario nella lirica e ha lavorato anche allo Sferisterio. Ci legava un rapporto di amicizia e di reciproca stima.”. (Vince Tempera, Il Resto del Carlino, 2013);
“Mi è molto dispiaciuto che sia venuto a mancare il signor Marangoni, il re della cioccolata. Sciverei un racconto sul chicco d’uva ricoperto di cioccolato: una geniale invenzione, è uno dei link con la mia memoria gustativa”.
(Ascanio Celestini, La Rucola n. 179, 2013);
“Dante Ferretti, uno dei dieci italiani di maggior successo in America, viene addirittura subito dopo Cristoforo Colombo e prima della “Signora Ciccone” in arte Madonna”.
(Barack Obama, stampa americana, 2014);
“Dante Ferretti è il più grande di tutti i tempi, capace di catapultarti, con la sua capsula del tempo, in un altro mondo, in un’altra dimensione”. (Leonardo Di Caprio, Cronache Maceratesi, 2014).
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Chissà come mai non c’è nessun tributo per Carancini…. 🙂 🙂
Bravo ! E’ bene ricordare sempre che anche la nostra piccola città ha dato i natali a personaggi importanti che spesso vengono dimenticati e non sempre valorizzati. Forse nel nostro DNA è sempre presente discrezione e riservatezza forse eccessive di cui prima o dopo ce ne dobbiamo liberare. Comunque grazie
Bravo Mario