Mario Monachesi
di Mario Monachesi
(seconda puntata, leggi la prima)
“Nel tempo, che ‘l comune di Firenze e gli altri collegati feciono perdere gran parte della Marca alla Chiesa di Roma, il Conte Luzzo venne nella Marca con più di mille lance, e puose il campo a Macerata dal lato d’una porta, che si chiama la Porta di Santo Salvadore; e dall’altro lato si puose Messer Rinalduccio da Monteverde, che allora era Signore di Fermo, puose lo campo da un’altra porta, cioè a quella del Mercato; ed ivi al terzo dì diedero battaglia alla terra, credendola aver per forza. E lo conte Luzzo con la sua brigata ruppono le mura appresso delle mura di San Salvadore in tre luoghi, avvegnadioché della sua gente assai ne fossero feriti e morti. E partendosi il quarto dì la detta oste, e ritornando in quello di Fermo, da ivi a pochi dì, una sera a tre ore di notte, venne una grandissima acqua a Macerata; e correndo forte le vie della terra, menando l’acqua ogni bruttura delle strade, turò una fogna. Di che l’acqua non tossendo uscire di fuori, ne fare il suo corso, entrò per le case, che gli erano dappresso. Di che andando una femmina per lo vino, che volea cenare, andando di sicuro, trovò la casa piena d’acqua; e prima che di ciò s’accorgesse, entrò nell’acqua infino alle cosce, ond’ella cominciò a gridare accorr’uomo. Lo marito, correndo al romore, per aiutare la moglie, e ‘l lume si spense, si trovò nella detta acqua; ed essendo nell’acqua cominciò a gridare accorr’uomo.
Li vicini, udendo il romore, scendeano le scale, per sapere che fosse: e quando erano all’uscio, non poteano uscire fuori per l’acqua, che era per le vie, e per le case. Di che anco eglino cominciarono a gridare, avvisandosi fosse il diluvio”. (…)
“Li Priori rispondono, e dicono: suona, campanaro, suona, campanaro, all’arme, che sie impeso. Lo campanaro cominciò a sonare all’arme. Le guardie, che erano in piazza, pigliarono l’arme, e vanno alle bocche delle vie della piazza, mettendo le catene, gridando: all’arme, all’arme, . Ogni gente, sentendo la campana, usciva fuori armata, pensando essere assaliti dal Conte Luzzo”. (…)
“E così sono spesse volte e ignoranti e matti i popoli, che in tempo di guerra massimamente, cadendo un quarto di noci, e rompendo una gatta un catino, si moveranno a romore, credendo, che siano nemici: e su questo come tordi ebbri, s’anderanno avviluppando, perdendo ogni loro intelletto”.
Franco Sacchetti, novella LXI, “Cento novelle”, in Verona nella stamperia Giuliari, 1300-1400;
“Bella città della grandezza di Libourne, è sita su un colle di forma quasi rotonda, che da ogni parte si va egualmente elevando verso il centro”. (…) “Vi notai un palazzo in pietra da taglio, con la facciata tutta a punta quadrata di diamante, come il palazzo del cardinal d’Este a Ferrara: è un tipo di costruzione gradevole a vedersi. Si entra nella città per una porta nuova che reca quest’iscrizione in lettere d’oro: Porta Boncompagno, e che fa parte del tracciato di strade rifatte da questo papa. Qui è la sede del legato per la Marca”.
Michel Eyquem de Montaigne, “Journal du voyage en Italie par la Suisse et l’Alemagne”, 1581;
“A dieci miglia da lì, in una campagna fertile sulla riva del Potenza, abbiamo attraversato le rovine della città un tempo chiamata Helvia Recina. Ci sono ancora grandi resti di un anfiteatro che era costruito in pietra e mattoni mescolati insieme come quello di Rimini. Di qua dal fiume siamo sempre stati tra dei pendii per due miglia, dopo i quali siamo arrivati a Macerata, patria di Sisto V, dove abbiamo dormito. Si dice che questa città sia piuttosto grande e abbastanza piacevole; ma era tardi e d’altra parte era tempo cattivo, a tal punto che non abbiamo passeggiato affatto”.
Francois-Maximilien Misson, “Nouveau Voyage d’Italie”, ediz. Van Bulderen-La Haye, 1691;
Johann Wolfgang von Goethe
“Camminando verso Macerata, fui quasi per dir così, macerato dalla strada cattivissima ed accidentalmente dal luogo piovoso, il quale non ci fece osservare altro che l’arco di trionfo alzato quasi innanzi la nostra osteria, in memoria ed onore del cardinale Pio, il di cui busto di bronzo sta di sopra”.
Johann Caspar Goethe, “Viaggio in Italia” 1740;
“Macerata si trova su una bella collina, dall’alto della quale si svela da lontano il mare Adriatico; è la residenza di un governatore, la cui giurisdizione si estende su una gran parte della Marca di Ancona. In questa città, c’è una porta di mattoni, , decorata da pilastri toscani; ha la forma di un arco di trionfo, e fu costruita dal Card. Pio, il cui busto in bronzo si trova sopra l’arcata; questa porta decora l’entrata della città, ma l’arcata di mezzo e le due piccole porte ai lati sono strette ed alte. La chiesa delle Vergini è di Bramante, come il palazzo comunale. Dai Barnabiti ci sono dei quadri del Vasari. Attualmente a Macerata si stampa un giornale letterario. A due miglia e mezzo da Macerata, sul ciglio del cammino, all’uscita da un ponte di legno molto lungo e molto basso, che si trova sul fiume Potenza, ci sono le rovine di Ricina, in cui si nota un anfiteatro: si tratta di semplici mattonati, o resti di pietre e mattoni molto informi, e non si può ben dire di che cosa fosse questo monumento: più lontano si vedono resti di tombe”.
Joseph Jérome Le francais de Lalande, “Voyage d’un francois en Italie, fait dans les années 1765 et 1766”;
“Macerata è una tra las mayores città visitate”.
Francisco Goya, nel corso del suo viaggio in Italia tra il 1769 e il 1772, da “Bell’Italia”, 2011;
“Macerata. Una grandiosa cappella dedicata alla Madonna della Misericordia, interamente rivestita di marmo. Due belle opere del Conca: un’Assunzione e una Natività. La Madonna dell’altare è del Perugino. Nel Palazzo Buonaccorsi, il cui proprietario è il fratello del cardinale omonimo, morto recentemente a Roma, si vedono alcuni quadri abbastanza belli, ma per i quali si usano parole molto più elogiative di quanto meritino. La città ha un perimetro di due miglia e mezzo ed è situata su un’altura. Ha cinque porte; vi si vedono alcuni palazzi che fanno una certa figura, fra gli altri quello della Torre, in corso di completo rifacimento. Lo stesso vale per la Cattedrale. Questa città è popolata da settemila anime. La piazza del Municipio è abbastanza grande; il palazzo municipale è opera del Bramante. In questa stessa piazza c’è una bella sala di spettacolo con quattro file di palchi; d’inverno, durante il carnevale, c’è sempre l’opera. In questa città c’è una nobiltà numerosa e una camera rotale. Vi si contano quaranta famiglie fornite di un equipaggio. E’ situata su un’altura, posizione che offre una vista incantevole su quasi tutti i palazzi. Da Macerata a Recanati la pianura è superba, intensamente abitata e coltivata”.
Donatien-Alphonse-Francois marchese De Sade, “Viaggio in Italia”, 1775;
“Giace la Città di Macerata nel centro della Provincia della Marca sopra un agiato Colle. La di Lei circonferenza compresi i Su borghi è di scarse miglia due Italiane. Sovrasta verso Ponente della Città altra contigua Collina alla di cui sommità esiste il Convento de’ Minori Osservanti. Da Ostro, e Tramontana alla distanza di miglia tre circa scorrono i due Fiumi Chiesto, e Potenza. La Città è cinta di Mure, e piccoli Torrioncini. Presso Porta Romana, che riguarda la Collina de’ Minori Osservanti, ed a Tramontana di essa Porta è collocato un Fortino triangolare di non mediocre struttura. A Levante della Città stessa, e presso la Porta del Mercato, che riguarda uno dei Su borghi esiste altro quasi consimile Fortino. A Ostro della Città medesima, e presso la Porta detta delle Grazie si vede altro Fortino di forma sferica. A Tramontana della Città stessa non esiste alcun Fortino per esser da quella parte erto, e scosceso il terreno. L’interno della Città per lo più è un falso piano, e si osserva qualche strada molto scoscesa, che dalla Piazza grande tende verso Ostro. Vi sono molte grandi, e bene intese Fabbriche tanto di Ecclesiastici, che di Secolari, ed il Popolo è molto più numeroso di quello può comprendere comodamente il fabbricato, sorpassando le 14 mila anime. Fin dai tempi remoti fu privata di ogni sorte di Artiglieria”.
Lettera di un maceratese ad un suo amico di Pavia, “Descrizione sulla caduta di Macerata capo della provincia della Marca Anconetana presa per assalto dalle Truppe Francesi, Legionarie Romane, dagli Ebrei e Patriotti Anconetani il dì 5 luglio 1799”;
“Attraversando una pianura fertile e ben coltivata si arriva a Macerata. Questa città di dodicimila anime, situata sopra una graziosa collina, occupa l’antico insediamento di Helvia Ricina, le cui bianche rovine sparse qua e la nei d’intorni, assomigliano a delle anime morte su un vecchio campo di battaglia. Merita di essere vista la chiesa della Misericordia. La sua magnificenza ricorda al viaggiatore che egli si trova ancora nella patria dell’arte, nel mentre l’Adriatico, la cui superficie azzurra si avvista all’orizzonte, lo avverte che si trova ai confini dell’Italia”.
Jean-Joseph Gaume, “Les trois Rome Journal d’un voyage en Italie”, ‘800;
“A Macerata mi diede il benvenuto sulla porta della città un caporale dell’esercito pontificio, il quale si prese poliziescamente la libertà di esaminare il mio passaporto. L’uomo per oltre fu cortesissimo e garbato e mi indirizzò ad una locanda non lontana dalla porta, dove fui trattato con tanta gentilezza e discrezione che quella brava gente con tutta la loro grandissima fede mi divenne per tanta bontà d’animo straordinariamente cara. Mi feci un bel fuoco con rami secchi d’olmo e tralci di vite, lessi una rapsodia di Omero e dormii così tranquillo come se mi fossi trovato vicino al collegio paolino di Lipsia. Era mia abitudine al mattino lasciare l’alloggio senza aver fatto colazione confidando nella buona sorte, e fermarmi alla prima locanda che mi fosse capitata per via. La regione era paradisiaca a destra e a manca; ma di mangiare nemmeno l’ombra. Dietro Macerata la strada devia a sinistra verso l’Abruzzo…”.
Johann Gottfried Seume, “Spaziergang nach Syrakus im jabre”, viaggio fatto in Italia nel 1802;
“Macerata viene di seguito, dopo tre miglia; questa città è situate sull’alto di una collina, dalla quale per l’ultima volta si vede l’Adriatico. All’uscita c’è una porta in mattoni decorata da pilastri di ordine toscano; ella è fatta a guisa di un arco di trionfo; è dovuta al Cardinal Pio, il cui busto è sopra l’arcata, in ciascun lato vi è una piccola porta. Macerata ha una piazza che rappresenta un triangolo tronco, in cima vi è la Cattedrale, in basso il Municipio a cui si arriva tramite un portico con un caffè, ai lati sono la prefettura, la prigione, la torre campanaria, ed un corpo di guardia. Le scale e la corte del municipio mostrano dei ritrovamenti di Helvia Ricina, della quale abbiamo visto i resti vicino al Potenza. Ci sono pochi bei palazzi a parte quello di Ferri, fatto a punta di diamante; esso ha tre porte d’entrata ed è ornato da pilastri e balaustre”. (…)
“In qualche chiesa vi sono dei quadri preziosi. La casa dei Compagnucci possiede anche qualche antica iscrizione”.
Philippe Petit Radel, “Voyage historique, chorographique et philosophique dans les principales villes de l’Italie, en 1811 et 1812”, 1815;
“Se pure si devono passare zone non sempre toccate dalla civiltà, lo si dimentica a Macerata, una delle città più gradevoli e prospere dello Stato Pontificio. I bei palazzi, le comode strade, la linda locanda dall’aria inglese ben s’accordano con questo luogo incantevole. La città s’affaccia sul ciglio di un colle scosceso e domina una vallata ricca e pittoresca, punteggiata dai cascinali di piccoli possidenti e la sublime distesa del mare. Macerata è stata capoluogo della Marca anconetana e poi è stata inclusa nel Regno d’Italia al tempo di Napoleone. Essa porta ben visibili i segni del proprio passato”.
Lady Sidney Morgan, “Italy”, 1821;
“(19 giugno) Presso Macerata salutiamo i primi albori del giorno. Molto più bella avrei trovata questa città, se della sua esterna nettezza i cittadini fossero più solletici. Alla locanda della Posta per brevi momenti mi ristoro del disagio della precedente notte. Quindi mi reco a visitare la cattedrale, e così veggo qualche più bella strada, e la piazza principale della città. Desioso di osservare l’arco di trionfo che decora la Porta Pia, precedo lungo quella strada il mio legno, e così prolungo la passeggiata per la ridente collina cui la città istessa sovrasta. Da questo colle si gode della più vaga veduta, che fino all’Adriatico si stende. Beninteso sono le coltivazioni che rivestono le contigue campagne; esse sono difese di siepi vive, di “spino bianco” e di “paliurus”, che si tengono tagliate a foggia di eleganti spalliere. Dappertutto scorgonsi piantagioni di gelsi e di viti nella più florida vegetazione. Tutto annunzia l’attività e l’industria che regnano in questa fertilissima contrada della Marca. Un miglio circa fuori di Macerata si passa il Potenza su di un ponte di legno. Questo fiume al pari del Chienti, si scarica nell’Adriatico. A destra della strada incontransi considerevoli avanzi di un antico anfiteatro”.
Michele Tenore, “Viaggio per diverse parti d’Italia, Svizzera, Francia, Inghilterra e Germania”, L. Sonzogno, Milano, 1828;
“Macerata è a due passi e gode di un magnifico colpo d’occhio: da una parte la catena immensa degli Appennini, che congiunge le Alpi all’estremità del regno di Napoli; dall’altra il mare Adriatico, confine di azzurro che separa l’oriente dall’occidente, vasto campo di battaglia solcato dalle flotte di Venezia e che è attraversato oggi tre volte al mese dal battello a vapore che va da Ancona a Trieste. Quando si entra nella cattedrale di Macerata si vedono numerosi fedeli, inginocchiati devotamente dinanzi a due quadri di Vanvitelli. Questi due quadri sono oggetto da parte del popolo di un particolare culto. Ecco quello che rappresentano: L’arrivo di Traiano ad Ancona e La Continenza di Scipione. Uno non si aspetta di vedere le figure di Traiano e di Scipione nella chiesa di San Giuliano. Il paganesimo ha radici profonde in Italia e si incontra dovunque”.
Joseph-Eugène de Villardi, marquis de Montlaur, “Essais litteraires: portraits, paysages et impressions”, Paris, 1844;
“Contammo un numero notevole di palazzi di grandi pretese architettoniche, molti dei quali erano di così vaste dimensioni, che ci chiedemmo a quanti a quanti e a quali ospiti dovevano servire. Quegli imponenti edifici avevano infatti file interminabili di saloni in grado di accogliere migliaia di persone. Purtroppo erano tutti ermeticamente chiusi e i padroni assenti. Forse abitavano a Roma, a Firenze o, chissà, a Parigi! Questi splendidi edifici sono tutti in mattoni…” (…)
“Il mattone è qui di ottima qualità, molto chiaro, di grana finissima il che gli conferisce una superficie liscia e regolare nelle parti maggiormente esposte all’occhio”. (…)
“A un miglio dalla città c’è la famosa chiesa dedicata alla Madonna delle Vergini costruita dal Bramante. Di conseguenza viene considerata molto bella e chiunque abbia una qualche propensione al buon gusto non può che ammirarla. Personalmente invece ritengo che sia difficile immaginare un edificio più freddo, spoglio, privo di carattere: una pianta a croce greca con una cupola candida nel mezzo, tutta pilastri, stucchi, imbiancatura a calce, altari dorati e finestre a tabernacolo del tipo “piccola Sion”. (…)
“Nessun forestiero può lasciare Macerata senza andare a vedere l’anfiteatro costruito appena fuori le mura per gli appassionati del gioco del pallone. Se non dovesse aver notato l’imponente complesso – c’è sempre un qualche maceratese pronto a ricordarglielo”. (…)
“Si tratta di una costruzione enorme, in laterizio chiaro, che comprende una serie semicircolare di “logge”, o palchi che dir si voglia, ciascuna con uno stanzino privato sul retro; un ugualmente vasto emiciclo di sedili in mattoni a vista una fila sopra l’altra; infine una gran muraglia che forma la corda dell’arco e che chiude un ampio spazio aperto”. (…)
“Macerata si presenta oggi come una città operosa, la più operosa del cosiddetto Piceno con l’esclusione di Ancona. Ma non saprei dire se sarà sempre così. La ferrovia tende a richiamare sul proprio percorso la popolazione dei centri vicini. Macerata però non ha la ferrovia. Inoltre non si trova prospiciente a nessuna delle grandi vallate che, come quelle del Potenza e del Chienti, si sviluppano da settentrione a mezzogiorno. Dovrebbe pertanto scendere dal colle in cui si trova e allungare, per così dire, un braccio per mettersi in contatto con la vita che d’ora in avanti correrà soltanto su arterie d’acciaio”.
Thomas Adolphus Trollope, “A Lenten Journey through Umbria and the Marches”, Londra, 1862;
Alfredo Panzini
“Il monte su cui sorge Macerata divide la valle del Potenza da quella del Chienti e noi, lasciata a manca la città, in quella valle scendemmo per una via bellissima, larga e tutta indorata dal tramonto. Delizioso era l’andare veloce fra le verdi piante, i campi fragranti di messi, lungo il placido fiume! Il paesaggio si svolgeva solenne e nuovo davanti alle ruote e un senso di freschezza ci penetrava nel cuore”.
Alfredo Panzini, “Le piccole storie del mondo grande”, viaggio fatto nel 1898, Ediz. Treves, Milano, 1901;
“Un ampio viale circonda le mura, una specie di terrazza ombreggiata dagli alberi e protesa su una veduta mirabile di miglia e miglia”. (…)
“E’ senza dubbio motivo d’orgoglio per gli abitanti di Macerata ospitare non soltanto un’università, ma una scuola d’agraria e mantenere in ottimo stato i propri edifici”. (…)
“Anche se non c’èra granché d’interessante entro le mura, merita andarci per le vedute che si godono dalla cerchia dei viali a terrazza. La si può percorrere più di una volta, poiché le vedute che si hanno in ogni direzione sono così belle che ci vorrebbe molto tempo per imprimersele nella memoria”.
Katherine Hooker, “Wayfarers in Italy”, 1902;
“Macerata, sulla sua grande collina isolata e ammassata su colline più piccole a terrazza, ricoperte di oliveti e di vigneti, dove il grano ondeggia violaceo e dorato al sole di luglio, è tra le più nobili città collinari delle Marche. In questa regione estesa e versatile, interrotta ovunque da grandi colline e vallate, non esiste niente di più delicato e squisito della campagna da cui Macerata sorge come un’acropoli, essa stessa il luogo più nobile, felice e operoso tra tutti i vecchi Stati papalini, una città in armonia con se stessa, che gioisce ad ogni nuovo giorno. Quest’aria di contentezza, o di pace se si preferisce, vi colpisce immediatamente nella piazza dove vi lascia l’automobile, e viene solamente aumentata dalla luminosità e dalla pulizia dell’Albergo Centrale con il suo aspetto quasi conventuale e dall’allegria e dall’educazione della Trattoria Fanfulla, dove è un piacere pranzare o cenare. In tutte le Marche non c’è altro luogo, oltre Macerata, dove uno straniero può sentirsi più a casa o dove può ricevere un benvenuto più caldo”. (…)
“…a Macerata credo che si potrebbe stare senza mai rimpiangere ciò che ci si è lasciati alle spalle a Firenze e a Siena”. (…)
“Ogni giorno trascorso a Macerata è un piacere, non c’è nulla da perdonare o sorvolare; la città vi si offre senza vanità e senza falsa umiltà, con una perfetta interpretazione della propria affascinante bellezza provinciale…”. (…)
“Il monumento più antico che resta a Macerata è la piccola chiesa di Santa Maria della Porta, a metà del Corso, che ha alcune parti che risalgono a tempi molto antichi, di certo al decimo secolo; anche la facciata è in parte un’opera tardo romanica, con un portale del quattordicesimo secolo. Forse l’unico altro monumento che può risalire al quattordicesimo secolo è la Fonte Maggiore senza la porta del Duomo, duecento iarde a nord. Questa era la fontana più rilevante di cui potersi vantare Macerata”. (…)
“Però, a parte le vie, le viuzze e le case, , che spesso sono medievali proprio come ci si aspetterebbe, Macerata, per quanto antica, risale al quindicesimo secolo, al periodo degli Sforza e del ritorno al potere del Papato. A questo periodo appartengono la chiesa della Madonna della Misericordia, col suo bel dipinto della Madonna con San Giuliano, Sant’Andrea, San Sebastiano e San Rocco di un discepolo del Perugino, la residenza del Podestà vicino alla pittoresca piazza del Mercato, la porta del Convitto e la loggia dei Mercanti…”. (…)
“Volendo ammirare dei dipinti a Macerata, tuttavia, non bisognerebbe cercarli nelle chiese, perché sono stati trasferiti tutti nella pinacoteca della Biblioteca Comunale, che si ritiene la migliore biblioteca delle Marche. Là, tra altre opere pregevoli, c’è uno splendido Crivelli, una Madonna col Bambino dipinta nel 1470, due opere di quell’incomparabile maestro che è Allegretto Nuzi di Fabriano, un elegante trittico dipinto nel 1369 e una Madonna col Bambino e San Giuliano e Sant’Antonio che proviene dalla chiesa parrocchiale di Monte Cassiano; due pannelli con quattro santi forse di Lorenzo Salimbeni, seguace del Nuzi, e una bellissima Crocifissione dipinta su fondo d’oro con la Santa Vergine e San Giovanni”.
Edward Hutton, “The cities of Romagna and the Marches”, 1913;
Luigi Pirandello
Maurizio: “…ho passeggiato con lui tutta una notte, per il viale attorno alle mura. Sei mai stato a Macerata?”.
Fabio: “Ti assicuro che è stata per me una notte fantastica, tra lo sprazzare d’una miriade di lucciole per quel viale: accanto a quell’uomo che parlava con una sincerità spaventosa; e, come quelle lucciole innanzi agli occhi, ti faceva guizzare innanzi alla mente certi pensieri inattesi dalla più strana, lugubre, misteriosa…”.
Luigi Pirandello, “Il piacere dell’onestà”, (commedia probabilmente scritta a Macerata), 1917;
“I passeggeri arrivati da Roma col treno notturno alla stazione di Fabriano dovettero aspettare l’alba per proseguire in un lento trenino sgangherato il loro viaggio su per le Marche…” (…)
“Scoppiata la guerra, il figliuolo, chiamato sotto le armi, s’era iscritto al corso accelerato degli allievi ufficiali; dopo tre mesi, nominato sottotenente di fanteria e assegnato al XII Reggimento, brigata Casale, era andato a raggiungere il deposito a Macerata, assicurando loro che sarebbe rimasto colà almeno un mese e mezzo per l’istruzione delle reclute; ma ecco che, invece, dopo tre soli giorni lo mandavano al fronte. Avevano ricevuto a Roma il giorno avanti un telegramma che annunziava quella partenza a tradimento. E si recavano a salutarlo, a vederlo partire…”.
Luigi Pirandello, “Quando si comprende” (Novelle per un anno), 1921-22;
“Subito dopo l’Ave Maria, le campane della chiesa di San Giorgio chiamavano i fedeli del mese di Maggio. Davanti alla chiesa, sulla breve piazza, una fontana era sempre assalita dai ragazzi, per gioco. Qualche donna alzava la voce per rimproverarli. Poi, riempita la sua grande brocca, e postasela in capo con agile movimento, se ne andava per la strada un po’ in erta, fendendo la folla con un lieve ondeggiar del busto. Qualche altra, appoggiatala al fianco a guisa di anfora, ripigliava la sua strada. Laggiù in fondo, al dì là d’una delle porte delle antiche mura, che poteva sembrare un arco di trionfo, se non fosse stata coronata da merli, si scorgevano gli alberi del viale volto verso l’Adriatico, dominato dal monte Conero, e un lembo di cielo profondo e azzurrissimo. In quell’ora, noi entravamo in chiesa, spesso di ritorno dai giardini”.
Pia Poloni, “Il ciclista sconosciuto”, Ancora, 1934;
“Non so se lei conosca Macerata. E’ una città alta sopra la dorsale di un colle fra le valli quasi parallele del Potenza e del Chienti. Da questa finestra dalla quale le scrivo, vedo il mare dove sfociano i due fiumi, vedo, fino al monte di Ancona, un immenso orizzonte di campagna ondulata, tutta varia di paesi sui cocuzzoli; i colori di questo inverno sereno diffondono il senso dell’infinito. L’appartamento che abitiamo Piero ed io tiene tutto l’ultimo piano di un decrepito palazzo che fu un tempo illustre”.
Salvator Gotta, “Signore salvaci, ci perdiamo”, Mondadori, 1947;
“A Macerata, di cui mi s’era rivelata l’importanza avuta nel Settecento, in quanto sosta a mezza strada tra Bologna e Roma e la particolarità che un certo numero d’inglesi di detta epoca avesse, per ragioni di economia o di salute, trovato conveniente di prendervi dimora, mi divertivo a immaginare, sulla scorta dei libri di viaggio dei loro infaticabili compatrioti, quali tenaci abitudini, quali interessi e pregiudizi di casa propria quali pensieri potessero serbarvi in contrasto con quelli della buona e pia società del luogo. Ma tornando ai rapporti umani favoritimi sia pure indirettamente da Lotto, io sento, per la inalterata vivacità del ricordo, che debbo dir qualcosa della Giulia, la padrona di una locanda di Macerata, la quale mi aveva preso sotto la sua protezione, forse perché ero magrolino e frequentavo tanto le chiese. Infatti, mi preparava pasti succulenti per i ritorni serali alla fine di faticose giornate nelle cittadine e nei villaggi del vicinato. La Giulia era una di quelle donne latine che già a trent’anni mostravano tale sicurezza di sé nel loro contegno di vita, nelle loro saggie inclinazioni, nella loro innata ma ruvida bontà e onestà, che sembravano capaci di dominare il mondo intero. (…)
“Non posso quindi dire che partecipasse delle grazie della settecentesca “Locandiera” goldoniana; pure, di quest’ultima aveva la scioltezza di parlata e il gusto della risposta pronta”.
Bernard Berenson, “Pagine di diario”,Electa Editrice, Milano, 1958;
“A due passi da Macerata, le galline razzolano, il fieno s’ammucchia odoroso intorno alle informi rovine di una città romana, Helvia Recina, le quali devono sostenere il confronto coi numerosi e monumentali pagliai sparsi nelle vicinanze. I contadini, in campagna, si sono impossessati di ogni edificio, sia pure antico ed illustre. Si ha qui il senso di una vera invasione agricola, di un assoluto predominio della campagna sulla città, come se in questo paese fosse accaduta, non so quando, una formidabile rivoluzione rurale”.
Vincenzo Cardarelli, “Opere complete, Mondadori, 1962;
Virgilio Brocchi (ritratto di Emilio Sommariva)
“Era sindaco di Macerata il repubblicano avvocato Milziade Cola, magnifico principe del foro; e gli era accanto nella Giunta municipale, repubblicano anch’esso e anch’esso grande avvocato, nella sua bella e fresca virilità l’avvocato Arturo Ciotti; e deputato al Parlamento era il socialista avvocato Lamberto Antolisei, di cui ancora si vendeva una cartolina illustrata che lo rappresentava al fianco di Maffeo Pantaloni, il grande maestro della economia politica, egli pure maceratese e pur lui allora – e non per sempre ahimé! – di fede democratica”.(…)
“Lamberto Antolisei già era mio amico: secondo l’intesa, venne a prendermi a casa…”.(…)
“Uscimmo per la porta cittadina, al fianco della quale sorge il famoso Sferisterio per il gioco del pallone, e imboccando il borgo Cairoli ci udimmo d’improvviso squillare dinnanzi la fanfara garibaldina. Affrettammo il passo con essa verso il politeama Marchetti: nell’atrio ci attendevano gli amici del Comitato ordinatore della cerimonia”.(…)
“Mi sentii abbracciare alle spalle, mi volsi: era Battista Tassara, il venerando scultore dei Mille; mi disse: “Sappi, Virgilio Brocchi, che sempre ti vorrò bene per quello che hai detto questa sera”.(…)
“Spesso mi seguiva nelle mie belle passeggiate, o su oltre il manicomio, oltre il pietrone detto “Il Gransasso” e oltre la magnifica Scuola Agraria; oppure oltre la chiesa delle Vergini, o per i pendii verso la valle del Chienti, e più spesso lungo le deliziose piccole valli che rompono il pendio del colle su cui sorge Macerata, per la strada ripida ombreggiata dalle grandi querce, che riposa a valle, attraversa il Potenza, e sale per gli opposti colli verso Montecassiano e Recanati”.
Virgilio Brocchi, “Care ombre della mia nostalgia”, Arnoldo Mondadori Editore, 1962;
“-Grazie, figliolo. – E indicando la cupola di una Chiesa che appariva alta sul pendio; solinga in mezzo alla campagna, domandò: – La riconoscete? – E’ la Chiesa delle Vergini? – Si figlio; e poco lontano c’è il Cimitero dove riposa la zia Laura, e dopo pochi istanti soggiunse indicandolo: – Eccolo. La corriera passò sotto il bel Camposanto adagiato come un bianco nido fra il verde; e le donne dentro la vettura si fecero il segno della croce. A capo del sobborgo di San Giovanni Battista la diligenza si arrestò Cinzio ne staccò “la vetta” e prima che egli voltasse i suoi bovi da trapelo un bel trotto disteso con un allegro scampanio di bubboli. Le donne del popolo si affacciavano alla finestra cantando, e schiamazzando i fanciulli saltavano fuori dalle case e inseguivano correndo la corriera. La rincorsero fino al piazzaletto che si allarga tra lo Sferisterio e Porta Mercato. Da quella porta di solito la diligenza entrava in città e per strette vie tortuose saliva fino alla Piazza Grande,…”.
Virgilio Brocchi, “I tempi del grande amore”, Mondadori, 1965;
“La città sorge sul cocuzzolo di un colle tra la valle del Chienti e la valle del Potenza che luccicano chiari a chi li guardi scorrere dall’alto, dalle mura del sole o dalle mura dell’ombra, tra il purpureo mareggiare dei foraggi e l’ondeggiare biondo delle messi dilaganti fino alle opposte colline su cui sembrano affacciarsi, dal Gran Sasso al Catria e dalla Sibilla al Vettore, le vette dell’Appennino centrale. Nessun monumento storico, ma molti austeri e nobili palazzi ornati di bei nomi aristocratici, vie che cinghiano in tondo a livelli differenti il cocuzzolo del colle su cui sorge la città, e lunghe ripide gradinate di pietra o cordonate di mattoni, che scendendo congiungono le vie, e là si chiamano piagge”. (…)
“E c’èra allora una piccola Università per cui passavano maestri insigni, e una Corte d’Appello che fu palestra a giuristi e avvocati di altissimo ingegno e di vastissima dottrina”.
Virgilio Brocchi, “Confidenze”, Arnoldo Mondadori Editore, 1966;
“La bella sala della “ Società Filarmonica” era già affollata; e già sul palcoscenico, disposta intorno al pianoforte, l’orchestra accordava con lunghi miagolii gli strumenti; e poiché a Macerata tutti si conoscevano come se facessero parte di una grande famiglia, e tutti erano inclini a cordialità verso i concittadini diventati forestieri facevano onore alla loro città, molte signore e molti signori si alzavano per far festa alla mamma, alla moglie e alla bambina del loro deputato, ministro della Pubblica Istruzione, che aveva voluto accompagnare le sue donne al concerto con il senatore Manfredi suo suocero e zio, che era lui pure un’illustrazione di Macerata”.(…)
“La mattina di sabato uscirono i due giornali settimanali di Macerata: tutti e due esaltavano con i più vivi colori del giornalismo provinciale le musiche di Franco Zonari e dicevano lo stupore di “tutta la cittadinanza colta che affollava la sala della “Filarmonica”, di fronte alla rivelazione della bambina meravigliosa che aveva sonato le composizioni di grandi maestri come una vera pianista”.
“Nella sala di casa Salvanelli in via Crescimbeni, con gli occhi umidi di commozione la nonna leggeva forte a suo figlio e a Cecilia quelle parole, mentre Laura Pia giocava con le fanciullone del conte Bonaccorsi giù nel giardino che pareva sospeso sulla profonda valle del Chienti recinta in fondo in fondo dalle vette già nevate dei Sibillini”.
Virgilio Brocchi, “Sua figlia”, Arnoldo Mondadori Editore, 1966;
Ignazio Silone
“Concetta. Non aspetti per oggi l’arrivo d’alcuni di quei fraticelli detti spirituali?
Matteo. Ci stavo pensando proprio adesso. Ma non so a che ora arriveranno?
Concetta. Saranno parecchi?
Matteo. Non so, anzi non si sa mai. Di sicuro questa volta ne arriveranno un paio da Macerata, che è uno dei loro centri più vivi; ma, strada facendo, altri possono unirsi a loro.
Concetta. Verranno da Macerata fino a Sulmona a piedi? I poveretti giungeranno estenuati.
Matteo. Certo che, senza il sostegno di una grande fede, solo pochi, i più giovani, resisterebbero. Basta pensare allo strapazzo dei lunghi tratti di montagna, ai temporali, così frequenti in questa stagione,…”(…)
“Concetta. Ma se questi fraticelli di Macerata vengono qui per parlare con fra Pietro e, come tu dici, gli sono graditi, perché non cercano ricovero nella sua badia?” (…)
“Fra Ludovico da Macerata. Abita o lavora da queste parti un tessitore, un certo Matteo da Pratola?
Matteo (festoso). Sono io. Tu arrivi da Macerata ?
Fra Ludovico da Macerata. Si, sono fra Ludovico. Viva San Francesco.
Matteo. Evviva. Sei solo?”. (…)
“Il papa risponde con un gesto e un sorriso al saluto dei suoi frati e si dirige verso il tavolo.
Celestino v (osservando un foglio). Notizie di fra Jacopone da Todi. E’ stato qui? Dovevate avvertirmi.
Fra Angelo. Quel foglio ci è stato lasciato da Pietro di Fossombrone…
Celestino v. Ora egli si chiama Angelo Clareno, non dimenticarlo. E il suo amico Pietro da Macerata si chiama Liberato…”.
Ignazio Silone, “L’avventura d’un povero cristiano”, premio Campiello 1968, Mondadori, 1968;
“Ogni città ha un culmine: una cupola, un campanile, una torre, una rocca; il culmine di Macerata era per me il piccolo negozio della signora Eloisa Franchi sotto le logge di Piazza; logge assai meno grandiose di quelle di Treja. Con la carrozza tirata dal cavallo entravamo per una porta che era una cancellata come per un giardino aperto. Anche li le ruote cambiavano rumore, forse cambiava l’acciottolato. La zia diceva a Gigio dove voleva scendere. Dopo, quando andammo con l’automobile, nessun cambiamento di rumore e discesa fissa in un piazzaletto senza fisionomia; ma anche da quel punto si raggiungeva facilmente il culmine passando avanti alla pasticceria Pompei dove qualche volta la zia entrava per comprarmi una pastorella, cosa che non faceva mai a Treja. A me del dolce importava poco, ma a Macerata non lo disprezzavo perché il viaggio metteva fame”.
Dolores Prato, “Giù la piazza non c’è nessuno”, Einaudi, 1980;
“Vera abitava con la madre in via Crescimbeni, una strada lunga e stretta che si curvava lungo il lato sud della città, sopra le Mura da Sole, quelle che guardano alla valle del Chienti e all’Appennino, poiché la città era posta sul colle di traverso, rispetto al mare, e il sud guardava i Sibillini imbiancati e gelidi, mentre il nord vedeva le colline tappezzate di campi e paesi e dalla punta, dietro l’abside del Duomo, alto come un fortilizio, sopra il borgo detto delle Fosse, sopra la porta di San Giuliano, nei giorni chiari si scorgeva il mare. Tanto era lunga via Crescimbeni che si poteva prenderla da due imboccature, corrispondenti a due porte della città, Porta Convitto e Porta Sferisterio, questa la più lontana venendo dalla Villa, ma la più facile, senza salite, anche se Marinella la evitava per non passare davanti al brutto edificio della Casa del Fascio, rosso, con la torretta mozza, la bandiera esposta e le Camicie nere sulla porta”.
Ferruccio Parazzoli, “Il tempo in villa”, Longanesi, 1994;
“La notte del 24 giugno 1817, un gruppo di teste calde di Macerata, una cittadina nei pressi di Fermo, decise di attaccare autonomamente le forze di polizia nei d’intorni della città, probabilmente nella speranza di innescare una rivolta spontanea. Gli attacchi furono respinti, con il risultato che mentre aumentò la pressione sull’organizzazione clandestina, le forze di polizia del papa, nel tentativo di stroncare il movimento clandestino rivoluzionario, invasero Macerata con un supporto di truppe di rinforzo”.
David Alvarez, “Spie in Vaticano”, Newton e Compton editori, 2003.
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Complimenti all ‘autore per la cura e la ricerca. È un piacere leggere queste pagine.
Grazie, Mario: riportando alla luce queste pagine, restituisci profondità storica a questa città eanche prospettiva.