di Maurizio Verdenelli
Quasi sempre le opere del progresso, a cominciare dalle strade, portano ad una ‘certa’ distruzione del passato. Non in questo caso, non sull’altopiano di Colfiorito dove le tre campagne di scavo ‘commissionate’ dalla società Quadrilatero hanno portato in superficie una storia (appena) sommersa. La preistoria di Colfiorito, una vicenda recentissima se si pensa che di questo territorio si sapeva tutto in riferimento ad un milione d’anni fa, quando ippopotami, rinoceronti, tigri, orsi, mammuth popolavano la ‘palude’ apparendo per la prima volta, queste specie animali, sulla Penisola.
La preistoria di Colfiorito rivela una storia italiana di insediamenti umani, traffici e relazioni tra i due mari, tra il Piceno e l’Etruria. Una storia che non sarebbe emersa se, paradossalmente, non si fosse fatta la ‘invasiva’ Quadrilatero. Una storia affascinante, “decisamente interessante come novità e quantità” (dice il coordinatore degli archeologi, Giorgio Franco Pocobelli) con le Marche e il Maceratese in primo piano, sulle tracce di una società ricca, guerriera che seguiva le mode, le imitava. Una storia con un mistero, un grande giallo ‘chiuso’ in una delle splendide, aristocratiche tombe, circolari, quella più bella, definita: “La tomba del Carro” risalente a 550/580 anni avanti Cristo. A scoprirla, materialmente, e a lavorarci su è stata l’archeologa Tiziana Talocci. Al centro del sepolcro un guerriero con lancia e spada, poi una donna e due fanciulli. Infine il mistero costituito da sei cerchioni in ferro. “Dovremmo chiamarla Tomba dei carri, perché due dovrebbero essere. La biga del guerriero ed un carro a due assi…” che però in quel periodo storico non era stato ancor inventato. Da riscrivere, partendo dall’altopiano umbro-marchigiano, la storia della Scienza e della Tecnica, in particolare della fondamentale ruota? Staremo a vedere. Ne parla per la prima volta lo stesso Pocobelli, fiorentino, a capo dell’equipe di archeologici (che in certi momenti ha raggiunto anche le 25 unità) che ha lavorato nell’area umbra, mentre, spalla a spalla, un’altra equipe (la cooperativa Kora) ha operato sul territorio maceratese portando alla luce in agosto nei pressi di Muccia una splendida villa romana.
“Abbiamo scoperto, ad appena 50 centimetri dalla superficie, all’altezza dello svincolo per Colfiorito, una necropoli nello spazio di 20 metri per cento, con 75 tombe perfettamente conservate risalente al sesto secolo avanti Cristo, tracce di un villaggio di capanne sul pianoro dell’era neolitica (terzo millennio A.C.) ed un insediamento rustico che ha avuto vita dal 2. secolo A.C. al 6. Secolo dopo Cristo” dichiara Pocobelli.
Da sn: il dottor Giorgio F. Pocobelli; l’ex sindaco di Serravalle di Chienti, Venanzo Ronchetti, la dott.ssa Tiziana Talocci e (in piedi) il giornalista Maurizio Verdenelli al termine dell’intervista alla ‘Botteguccia’ di Colfiorito
(Foto di Patrizio Mancini)
Il luogo? Proprio sulla linea (incerta) di confine di Marche ed Umbria, all’ombra della Basilica di Plestia, con Serravalle e Colfiorito, equidistanti, bene in vista. Alla luce sono emersi oggetti in bronzo, rame, e ferro e grandissime quantità di vasi (pure a forma di cavallo e di ariete) di ceramica, finemente dipinti e decoratissimi. La via della ceramica, tra Marche ed Umbria fiorentissima nel rinascimento sulle orme di Raffaello, era stata già aperta secoli prima. Anche buccheri ed anche vasi ‘farlocchi’ (ad imitare la famosa ceramica nera eugubina di gran moda) sono emersi ad evidenziare una società opulenta, modaiola, che dall’altopiano aveva occhi per le tendenze dell’uno e dell’alto mare, lungo momento di congiunzione e passaggio fra Adriatico e Tirreno. A Colfiorito si incontravano piceni, etruschi e naturalmente plestini.
“Tanto materiale. Abbiamo riempito i magazzini (allarmati) della Soprintendenza dell’Umbria a Colfiorito e pure nella sede perugina di Ponte San Giovanni mentre altri oggetti, monili femminili, fibule, collane, bacili, spade, punte di lancia, restaurati hanno trovato posto nelle teche del Mac, il museo archeologico di Colfiorito” dice Pocobelli mentre Venanzo Ronchetti, già sindaco di Serravalle di Chienti, presente all’incontro, sospira pensando al ‘monte’ dei preziosi reperti venuti alla luce dalla necropoli di Annifo (200 tombe, contestualizzate in un arco di tempo dal 9. secolo al 1. secolo A.C.) sulla quale gli archeologici hanno lavorato dagli anni 90 al duemila per un decennio.
Dice Pocobelli che ieri ha chiuso i cantieri di scavo aperti nel 2011 su mandato della Quadrilatero (e il controllo della Soprintendenza: “non è stato facile, mi creda”): “E’ stata una grossa esperienza. Tantissime ‘cose’ sono emerse laddove si pensava che non ci sarebbero mai state: così poteva apparire dalle risultanze dalla propedeutica campagna di ricognizione all’apertura dei cantieri, quattro anni fa. Poi, man mano, nei tre siti differenziati lavorando da giugno fino ai primi rigori dell’inverno, è venuto fuori ciò che non avresti mai creduto. Molte cose ‘visibili’ ed altre ‘invisibili’, ai non esperti (s’intende) ma ancora più interessanti ed illuminanti circa la vita dell’altopiano, un territorio ricchissimo di acque, con regolari ‘allagamenti’. Quei sei/settemila buchi per pali nel terreno non avrebbero entusiasmato il viandante, ma all’archeologo hanno rivelato, con il loro allineamento, la presenza di un villaggio di capanne…”.
A palafitte data la presenza del lago, tanto straripante, allora?
“No, perché non c’era una sponda cui attraccare. Invece l’equipe, che ha lavorato a Serravalle, ha rinvenuto tracce di capanne, a Dignano, laddove la montagna comincia ad innalzarsi…una possibile riva”.
Marche ed Umbria hanno collaborato?
“Si, senz’altro. Ci sono stati incontri tra la soprintende umbra Maria Luisa Manca e quella anconetana, Nicoletta Frapiccini. E con ‘Kora’ non sono mancati contatti e collaborazione”.
La necropoli?
“Meravigliosa. I morti ci hanno indicato la vita dei vivi. Tombe circolari segnalati da piccoli agglomerati di calcare ad indicare le tombe familiari e quelle dei potenti, con i ‘clientes’ tutti disposte intorno al ‘capo’”.
Avete indagato anche nel periodo della battaglia tra la cavalleria di Annibale e i Plestini, tracce?
“In questo caso no: la scaramuccia deve essere stata piuttosto breve da non lasciare tracce, almeno leggibili al giorno d’oggi”.
I lavori della strada hanno subito stop dal lavoro degli archeologi?
Pocobelli dice ‘sì’ con il capo: “Frequenti, ma la società, che peraltro ci pagava, è stata comprensiva dei diritti della storia, anzi della preistoria che il progresso ci svelava inopinatamente”.
Diciassette anni fa il terremoto umbro marchigiano con epicentro proprio nella zona archeologica: è stato sempre un territorio sismico, l’altipiano?
“Sempre. Abbiamo trovato cedimenti segnaletici in tal senso (‘spanciamenti’) nei muretti fatti di blocchi di calcare negli insediamenti. Il terremoto è stato, insieme all’acqua (imbrigliata dai Romani e definitivamente dai Varano) il pericolo numero uno di queste popolazioni. Che, adesso lo sappiamo, non era soltanto ‘stagionale’, fatta di pastori dediti alla transumanza, ma anche e soprattutto di gente agiata, guerriera, mercantile, stabilmente insediata sull’altopiano a dominare due civiltà”.
I greci sono arrivati mai a Colfiorito?
“No, loro no, Ma sono stati gli unici”.
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Ma quello è il cofano di Audi !!!
È CARLO MAGNO…fu colto dalla tormenta mentre da San Claudio era andato a Colfiorito a comprare le patate Rosse…
La storia….da riscrivere? :-/
E’ di sicuro Carlo Magno, visto che non sta sepolto a san Claudio.
Dissento; i greci ci sono stati, è evidente il simbolo delle olimpiadi.
Un giacimento archeologico di prim’ordine dunque, e v’è da star certi che anche qui valenti ed audaci studiosi sapran trarre ispirazione per rivoluzionare consolidate concezioni intorno a più d’un’intera epoca storica. Riguardo all’assenza a Colfiorito di tracce di grecità può darsi che già nella notte dei tempi i Greci, nel risalire verso il crinale appenninico muovendo dall’adriatico pelago, amassero fermarsi piuttosto a Camerino, dove ancor oggi li vediamo trascorrere lunghissimi periodi di intenso studio e ricerca presso l’accogliente e familiare università locale.